CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10447 del 20 maggio 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – POTERE DI SCELTA DELLE PROVE IDONEE A DIMOSTRARE LA VERIDICITA’ DEI FATTI – STRAORDINARI ‘FUORI BUSTA’
Svolgimento del processo/Motivi della decisione
1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 cod. proc. civ.:
“Con sentenza n. 208/2013 del 14/2/2013, la Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’l.N.A.I.L. ed in riforma della decisione del Tribunale della stessa sede, rigettava l’opposizione svolta dalla società avverso una cartella esattoriale portante crediti dell’Istituto per premi e somme aggiuntive per complessivi euro 4.461,40 in relazione ad importi ‘fuori busta’ erogati ai dipendenti e non denunciati ai fini assicurativi e previdenziali in relazione al periodo dal 2001 al 2005. Riteneva la Corte territoriale che l’accertamento svolto in sede di accesso della Guardia di Finanza di cui al verbale del 22/5/2005, le risultanze della documentazione rinvenuta in tale circostanza, di fatto significativa di una ‘contabilità parallela’, e gli ulteriori esiti istruttori raccolti in corso di causa deponessero per l’avvenuta corresponsione ai dipendenti di somme di denaro a titolo di straordinario non risultanti dalle buste paga.
Avverso l’anzidetta sentenza la S.G. S.p.A. propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’I.N.A.I.L. resiste con controricorso.
Equitalia centro S.p.A. (già Equitalia Cerit S.p.A.) è rimasta solo intimata.
Con i due motivi la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697 – 2739 cod. civ., degli artt. 115, 116, 202 – 257 e 442 e ss. cod. proc. civ., dell’art. 24, commi 5, 6 e 7 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46 nonché omesso e/o errato esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione alla ritenuta prova dei fatti su cui è basata la pretesa dell’I.N.A.I.L. in relazione a ciascuno degli anni considerati. Rileva che la Corte territoriale ha tenuto conto delle risultanze di un file reperito dagli accertatori nel computer della società che neppure era stato prodotto agli atti di causa e che in ogni caso non era una copia definitiva rappresentando soltanto una previsione di ore di lavoro straordinario. Evidenzia che erroneamente non è stata attribuita rilevanza alle dichiarazioni rese dai lavoratori, liberamente interrogati e considerati inattendibili, laddove, al contrario, gli stessi, quando avevano affermato di non aver mai ricevuto pagamenti ‘a nero’, andavano reputati credibili non fosse altro che per l’interesse contrario, considerati i benefici retributivi e contributivi connessi all’eventuale opposta evenienza; evidenzia, altresì, che sono state svalutate deposizioni di testi sicuramente attendibili così come non è stato tenuto conto del fatto che negli anni precedenti rispetto all’accesso della Guardia di Finanza le ispezioni del nucleo dei Carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro e dell’I.N.P.S. non avevano mai evidenziato irregolarità. Rileva ancora che la stessa documentazione asseritamente dimostrativa dell’esistenza di una ‘contabilità parallela’, non era stata prodotta agli atti di causa dall’I.N.A.I.L. e che comunque anche in questo caso si trattava di mere previsioni di spesa, al fine di monitorare l’attività della società, prive di valenza probatoria in termini di effettività di avvenuti pagamenti corrispondenti agli straordinari ‘fuori busta’. Sottolinea l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto assolto l’onere probatorio sulla base di meri indizi e mere presunzioni e suggestioni e, dunque, senza che fossero emerse prove effettive delle circostanze poste a base delle pretese.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, siccome fra loro connessi, sono manifestamente infondati.
Nell’insieme, tutte le censure consistono in un’argomentata rilettura dei fatti di causa e della documentazione prodotta ovvero richiamata in sede di verbale di accesso in azienda della Guardia di Finanza del 22 maggio 2005, all’esito della quale si afferma sostanzialmente che la motivazione della sentenza impugnata non troverebbe riscontro negli atti, e che la Corte di appello non avrebbe considerato o rettamente considerato varie circostanze.
Quanto alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 c.c., parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito; 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori. E poiché nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste.
Non senza aggiungere, quanto ai suddetti profili di violazione di legge, che è altrettanto costante l’insegnamento di questa Corte per cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. n. 16038/13).
E’ di tutta evidenza che, tanto con riguardo alle sopra indicate violazioni di legge quanto con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, pur sotto un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso in questa sede di legittimità.
La Corte territoriale, lungi dall’applicare impropriamente la regola dell’onere delle prova ovvero dal considerare irregolarmente le fonti di prova sottoposte alla sua valutazione, ha ritenuto che gli esiti dell’accertamento svolto dalla Guardia di Finanza – e così in particolare i riepiloghi rinvenuti su un quaderno a quadretti di colore verde coincidenti con le annotazioni effettuate su due libri delle retribuzioni non vidimati contenenti la registrazione delle ore effettivamente lavorate dal personale dipendente, dai collaboratori e da altre persone non identificate -, le dichiarazioni testimoniali rese dal capitano E.D.T. – il quale aveva riferito in ordine ad una serie di vendite ‘a nero’ con conseguente ricavo di somme non contabilizzate, destinate, poi, tra l’altro, alla erogazione di compensi non inseriti in busta paga -, complessivamente valutate con l’utilizzo ragionevole del potere discrezionale attribuito dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., fossero significative della fondatezza della pretesa dell’I.N.A.I.L.; ad avviso della Corte, peraltro, il descritto quadro probatorio anche corroborato dal comportamento processuale ed extraprocessuale della parte appellata – che non aveva inteso rivelare le complete generalità delle persone (‘T.’, ‘V. M.’, ‘D.’) alle quali risultavano corrisposti compensi settimanali in base al numero delle ore prestate -, e non scalfito dalle opposte deduzioni – stante la non verosimiglianza delle giustificazioni fornite dai titolari del S.G. relativamente al complesso delle scritturazioni (‘parallele’) con le annotazioni sulle stesse – e dalle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio dai lavoratori destinatari dei pagamenti – ritenuti inattendibili in quanto ‘partecipi dell’illecito’.
Rispetto a tale argomentazione, i rilievi della ricorrente impingono in valutazioni di fatto riservate al giudice di merito, sollecitando soltanto una nuova lettura delle risultanze probatorie, operazione preclusa in sede di legittimità.
Del resto, il nuovo art. 360, n. 5, cod. proc. civ., introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni in L. n. 134 del 2012, norma che, ai sensi dell’art. 54, comma 3 D.L. cit., è applicabile ai ricorsi proposti avverso una sentenza pubblicata successivamente al trentesimo giorno dall’entrata in vigore (12/8/2012) della legge di conversione, ammette il ricorso solo per l’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Detta riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/14).
Nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicché neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dall’odierno ricorrente.
In conclusione, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza ai sensi dell’art 375 cod. proc. civ., n. 5″.
2 – La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ..
3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. con la quale la ricorrente ha sostanzialmente ribadito le ragioni poste a fondamento dei motivi di ricorso, insistendo nel sottolineare che la documentazione extracontabile posta dai giudici di appello a base della decisione non era mai stata prodotta agli atti di causa, che in ogni caso il contenuto della stessa avrebbe potuto avere al più valore meramente indiziario, che erroneamente era stato ritenuto soddisfatto dall’I.N.A.I.L. l’onere probatorio sullo stesso gravante. In realtà ai suddetti rilievi la medesima relazione ha offerto una esauriente replica; in ogni caso va ulteriormente evidenziato che le valutazioni della Corte territoriale (cui spettava in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova cfr. ex multis Cass. 14 novembre 2013, n. 25608) sono state basate su molteplici elementi di giudizio (dichiarazioni testimoniali del capitano della Guardia di Finanza E.D.T., relative non solo al contenuto di plurime scritturazioni, diverse da quelle ufficiali, rinvenute in sede di accesso – quaderno con riepiloghi, libri non vidimati – e contenenti dati significativamente tra loro coincidenti, ma anche all’accertamento di vendite ‘a nero’ con conseguente ricavo di somme non contabilizzate – verosimilmente destinate proprio alla erogazione dei compensi non inseriti in busta paga comportamento processuale e extraprocessuale della parte appellata); tali elementi sono stati, nel complesso, soppesati con l’utilizzo ragionevole del potere discrezionale attribuito dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e ritenuti idonei, in quanto non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze del processo (stanti la non verosimiglianza delle giustificazioni fornite dai titolari del S. e la inattendibilità delle dichiarazioni rese dai lavoratori destinatari dei pagamenti) a ritenere provata la pretesa creditoria.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
4 – In conclusione il ricorso va rigettato.
5 – La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
6 – Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
La suddetta condizione sussiste nel caso in esame.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’INAIL, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater; del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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