CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 gennaio 2018, n. 1315
Tributi – Irap – Imprese operanti in concessione e a tariffa nei pubblici servizi – Agevolazione – Art. 1, co. 266, legge 296 del 2006
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 28.10.2014 la S.I.A., con sede in Brescia, esercente attività di trasporto pubblico locale di passeggeri, impugnava la sentenza n. 1265/67/2014 della CTR Lombardia, depositata in data 11.3.2014; la società esponeva di avere presentato istanza di rimborso Irap per euro 169.404 in relazione all’anno 2008, adducendo di avere diritto all’applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 1, comma 266, legge 296 del 2006 che ha previsto la deduzione dalla base imponibile Irap del cuneo fiscale, con esclusione, però, dal beneficio delle imprese operanti in concessione e a tariffa nei pubblici servizi , e di avere quindi impugnato il silenzio rifiuto relativo all’istanza di rimborso davanti alla CTP di Brescia che accoglieva il ricorso;
la CTR Lombardia, con la sentenza impugnata, accogliendo l’appello dell’ufficio ed in riforma della CTP, riteneva, invece, che la società non avesse i requisiti per godere dell’agevolazione, operando in regime di concessione e a tariffa; contro tale sentenza ricorre la S.I.A. sulla base di sette motivi, ripercorrendo, in via preliminare, l’antefatto del ricorso, ed in particolare le vicende giuridiche della agevolazione suddetta, che, in quanto possibile aiuto di Stato, era stata oggetto di attenzione da parte della Commissione Europea, che la aveva infine autorizzata, previ chiarimenti da parte dello Stato italiano.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
La società ricorrente ha depositato memoria datata 18.10.2017.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 53 d. Ivo 546 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., affermando che la CTR ha errato nel non accogliere la proposta eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Agenzia per omessa specificazione dei motivi di gravame.
Il motivo è infondato.
In relazione alle caratteristiche dell’appello, questa Corte ha avuto modo di affermare che il requisito di ammissibilità relativo alla specificità dei motivi del mezzo di impugnazione non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (Sez. VI – 2, n. 21336 del 2017).
Anche con riferimento specifico al processo tributario, questa Corte ha affermato che “la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi dell’art. 53, comma primo, dei D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora l’atto di appello … benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione e questa non possa ritenersi “assolutamente” incerta, essendo interpretabile, anche alla luce delle conclusioni formulate, in modo non equivoco” (Cass. 6473/2002) ed, inoltre, “non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, le parte espositiva e le conclusioni” (Cass.1224/2007)”(Sez. VI – 5, n. 20379 del 2017).
L’interpretazione data dalla CTR non è, quindi, censurabile.
Con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., consistente nel fatto che lo stesso Stato italiano, nei chiarimenti alla Commissione Europea sulla natura della agevolazione in questione, aveva precisato che la stessa si applicava solo alle concessioni traslative, quale non è quella di specie; Il motivo è inammissibile.
Premesso che la norma applicabile è l’art. 360 n. 5) c.p.c. nella “nuova” versione, anche nel processo tributario (Sez. Un., n. 8053 del 2014), atteso che la stessa opera per i ricorsi relativi a sentenze depositate dopo 1’11.9.2012, e, nella specie, la sentenza impugnata è stata depositata nel marzo 2014, le stesse Sezioni Unite sopra citate hanno
affermato in tale sentenza, tra l’altro, che l’omissione deve riguardare un “fatto storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.
Ora, premesso che il fatto denunciato come omesso dalla CTR appare, in ricorso, come quello della interpretazione della norma che lo Stato italiano ha fornito alla Commissione Europea nel corso dell’istruttoria aperta da quest’ultima per verificare la compatibilità della misura con l’ordinamento dell’Unione (cioè per verificare se la stessa non si configurasse come aiuto di Stato), mentre nella memoria del 18.10.2017 lo stesso è indicato nella interpretazione da parte della Commissione stessa della misura per escludere la sussistenza di un aiuto di Stato, si deve affermare che l'”interpretazione” di una norma non è comunque un fatto storico ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Oltretutto, la CTR non ha ignorato che la agevolazione fosse applicabile alle imprese che non operavano in concessione e a tariffa, ma ha semplicemente ritenuto che, sulla base delle clausole del contratto specifico, non ricorressero nel caso concreto i requisiti per la stessa.
L’interpretazione della norma, sia quella fornita dallo Stato italiano alla Commissione, sia quella adottata da quest’ultima non si riferiva certo al caso concreto ma era, ovviamente, di carattere generale e lasciava libero l’interprete di valutare la ricorrenza dei requisiti della agevolazione nel caso singolo, come la CTR ha fatto.
Con il terzo e quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 11 d. Ivo 446 del 1997, al d. Ivo 422 del 1997 ed ai principi giuridici distintivi tra concessione e appalto di servizio, nonché omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. in relazione a clausole del contratto che avrebbero escluso la natura concessoria del rapporto in questione.
I motivi sono infondati.
La sentenza della CTR, infatti, ha valutato, sulla base dell’analisi specifica del contratto intercorso tra le parti, che nel caso di specie si fosse in presenza di una concessione, che non dà diritto all’agevolazione in questione. Ogni altra analisi dei principi sulla distinzione tra concessione ed appalto, che sia derivante da normativa, da documenti dello Stato italiano o da giurisprudenza amministrativa, è, in realtà, nell’economia della sentenza, non determinante, perché, al di là di ogni valutazione, nella sostanza la CTR ha deciso in base a meri elementi di fatto, e cioè il contenuto concreto del contratto specifico intervenuto tra le parti.
Tale valutazione, di mero fatto, avrebbe potuto essere contestata solo adducendo un errore nei criteri interpretativi del contratto ai sensi degli artt 1362 e ss c.c., asserendo, per esempio, che una data espressione di una clausola del contratto non doveva avere il significato ad esso attribuito dalla CTR in violazione di tali canoni interpretativi, ma non adducendo un errore sulla interpretazione del contenuto delle singole clausole o nell’addotto omesso esame di alcune di esse.
Così facendo si richiede, in sostanza, a questa Corte di riesaminare in concreto il contratto e di compiere anch’essa, quindi, una valutazione di mero fatto, inammissibile in questa sede. Con il quinto e sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme, indicato come ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., ed in particolare dell’art. 11 d.Ivo 446 del 1997 e d. Ivo 42 del 1997 sui presupposti della tariffa remuneratoria e la differenza tra corrispettivo e tariffa, ed omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. I motivi sono infondati per le stesse ragioni esposte in relazione ai motivi terzo e quarto.
Anche in questo caso la CTR ha ravvisato la natura tariffaria del rapporto sulla base della specifica analisi delle clausole del contratto, senza dare valore determinante né alle risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate né ai principi generali in base ai quali si potrebbe distinguere tra le due figure. Resta però preclusa, in questa sede, l’analisi sulla correttezza della interpretazione data dalla CTR alle specifiche clausole del contratto, salvo addentrarsi in un inammissibile giudizio di fatto, così come l’analisi della circostanza, dedotta dalla ricorrente, ma anch’essa di puro fatto, secondo cui nella specie il servizio di trasporto pubblico locale era stato affidato alla stessa previa partecipazione ad una selezione pubblica. Dalla sentenza della CTR emerge che tutti questi elementi sono superati, nella valutazione complessiva, dalla considerazione della prevalenza data all’analisi concreta delle singole clausole del contratto; pertanto, in mancanza di una contestazione sui criteri ermeneutici del contratto adottati dalla CTR, di cui all’art 1362 c.c., addurre una diversa interpretazione delle specifiche clausole contrattuali si tramuta nella richiesta di revisione di un giudizio di mero fatto, come già detto inammissibile in questa sede.
Con il settimo motivo di ricorso deduce motivazione illogica, contraddittoria ed insufficiente della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Il motivo è infondato.
La contraddittorietà della motivazione deve, infatti, riguardare elementi intrinseci della stessa, e non le affermazioni in essa contenute con le conseguenze da esse derivabili, estranee alla sentenza.
Nella specie, infatti, la ricorrente lamenta che, a prender per buone le considerazioni della CTR secondo cui la stessa opera in regime di concessione e a tariffa, per cui non avrebbe diritto all’agevolazione, si dovrebbe trarre la conclusione per cui la stessa opera in un mercato protetto; questo però contrasterebbe con il mancato accertamento della remuneratività della tariffa.
In realtà, però, come già detto, la CTR ha preso a base della sua analisi norme specifiche del contratto, rilevando, tra l’altro, che dal potere di revoca dell’affidamento del servizio da parte dell’ente pubblico o dalle tipologie di controlli che quest’ultimo si è riservato sulle modalità di effettuazione del servizio, si dovesse ritenere che il rapporto fosse di natura concessoria: quanto al sistema di remunerazione del servizio la CTR, sempre dalla analisi specifica del contratto, ha rilevato che lo stesso prevede un corrispettivo soggetto a rideterminazione sulla base delle risorse regionali disponibili e una minuziosa disciplina delle tariffe di contenuto antitetico a quello di libera determinazione dei prezzi, concludendo nel senso che, tali specifiche clausole, indicassero la natura tariffaria della remunerazione.
Come si ripete, si tratta di una valutazione di fatto, che di per sé non può essere tacciata di contraddittorietà, illogicità o insufficienza. Ogni motivo di ricorso che tenda ad una rivalutazione del contenuto delle clausole è pertanto non accoglibile in questa sede.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico della ricorrente e si liquidano in euro 5.000.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater dpr 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta i motivi primo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo perché infondati.
Dichiara inammissibile il secondo motivo.
Pone a carico del ricorrente le spese processuali di questa fase, liquidate in euro 5.000 e l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis e quater dell’art. 13 dpr 115 del 2002.
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