CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 marzo 2018, n. 5415
Iva – Avviso di rettifica – Merce di provenienza extracomunitaria – Deposito fiscale
Rilevato che
– la F.V. S.p.A. ha impugnato due avvisi di rettifica emessi dall’Agenzia delle dogane di Firenze per il recupero di Iva all’importazione scaturente dalla omessa introduzione fisica di merce di provenienza extracomunitaria nel deposito fiscale Iva gestito in modo virtuale dalla F.V. S.p.A., circostanza che, per l’Ufficio, aveva reso illegittimo l’assolvimento dell’Iva mediante autofatturazione ai sensi dell’art. 50-bis del d.l. n. 331 del 1993;
– l’Ufficio quindi richiedeva in solido all’importatore ed al gestore il versamento dell’Iva non effettuato all’atto dell’importazione;
– la sentenza di primo grado, sfavorevole per la contribuente e per il gestore del deposito, è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana;
– il giudice di appello, posta la premessa che la virtualità della gestione del deposito risultava dalla sentenza penale di patteggiamento resa nei confronti del gestore del deposito, condivideva la valutazione dell’Ufficio sulla essenzialità, al fine di riconoscere l’efficacia dell’autofattura, della introduzione fisica della merce nel deposito Iva;
– contro la sentenza la società ha ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;
– l’Agenzia delle dogane è rimasta intimata.
Considerato che
– il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., violazione dell’art. 50-bis, comma 4, lett. b, del d.l. 331 del 1993;
– il giudice d’appello ha ritenuto, in contrasto con i documenti prodotti, che la merce non fosse transitata nel deposito fiscale ai fini Iva, ponendo a base del proprio convincimento la sentenza penale di patteggiamento resa nei confronti del legale rappresentante, tuttavia non comprendendo la portata di tale statuizione;
– il motivo è inammissibile, perché sotto lo schermo della violazione di legge, denuncia la valutazione in fatto compiuto dai giudici di merito;
– è del pari inammissibile il secondo motivo, il quale denuncia in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 444 c.p.c. ravvisata nella errata valutazione della sentenza penale di patteggiamento;
– la ricorrente si duole di una valutazione sul contenuto di un documento del quale, però, non trascrive i passi che ritiene malamente intesi, precludendo quindi alla Corte di comprendere il senso della censura;
– resta da aggiungere che la sentenza impugnata, là dove ha ritenuto di poter valorizzare la sentenza di patteggiamento ai fini della prova della falsità delle annotazioni di introduzione della merce nel deposito Iva, è in linea con il consolidato principio secondo cui una tale pronuncia costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice, il quale, ove intenda disconoscerne l’efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione: detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento (tra altre, Cass. n. 2724 del 2001; n. 19505 del 2003, n. 24587 del 2010; n. 13034/2017);
– il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2 e 10 della Direttiva 77/388/CEE, 2 della Direttiva 2006/112/CE, 2 del Regolamento n. 1553/1989, 1, 17, 19,23, 25, 60, 67 del d.P.R. n. 633 del 1972, 6, comma 9 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, per aver la CTR erroneamente negato l’efficacia dell’assolvimento dell’imposta operato dall’importatore mediante autofatturazione;
– il quarto motivo denuncia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 50 bis, comma 4, d.l. n. 331 del 1993, conv. con mod. nella I. n. 427 del 1993, e/o 2, 3, 4 del d.m. 20 ottobre 1997, n. 419, 16, comma 5 bis, d.l. n. 185 del 2008, conv. nella I. n. 2 del 2009, 16 della Sesta Direttiva IVA, 157 della Direttiva IVA 2006/112/CE;
– la Ctr ha ritenuto l’introduzione fisica delle merci in deposito requisito essenziale della fattispecie, essendo invece sufficiente una introduzione solo documentale;
– i motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei limiti di seguito indicati;
– occorre ricordare in primo luogo che, in tema, è intervenuta la CGUE, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13, Equoland Soc. coop. a r.l., la quale ha fissato i seguenti principi:
1) l’art. 16, par. 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo;
2) la sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo;
– ebbene la normativa italiana prevede per la sospensione d’imposta, l’introduzione fisica della merce nel deposito, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis n. 10911 del 2016; n. 17011 del 2016; da n. 15987 a n. 15995 del 2015) e come riconosciuto dalla citata sentenza della CGUE (“il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale”);
– tuttavia, in base ai principi ai principi formulati dalla Corte di Giustizia, l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione (Cass. n. 19749/2014, 16109/2015, 15988/2015, 17815/2015 e altre);
– il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 50 bis, comma 8, d.l. n. 331 del 1993 conv. con mod. nella I. n. 427 del 1993, e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. per avere la Ctr riconosciuto la responsabilità del gestore del deposito Iva per il versamento dell’imposta assolta dall’importatore in regime di reverse charge;
– esso è assorbito dall’accoglimento dei motivi precedenti – in conclusione inammissibile il primo e il secondo motivo; fondati nei limiti di cui sopra il terzo e il quarto; assorbito il quinto;
– posto che nel caso in esame la pretesa impositiva ha per oggetto solo il pagamento dell’imposta, e non essendo quindi necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente contro i due avvisi di rettifica;
– avuto riguardo al fatto che la sentenza della Corte di Giustizia è intervenuta in un secondo tempo, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il quinto; accoglie, nei sensi di cui in motivazione il terzo e il quarto motivo; cassa la sentenza e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente; dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.
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