CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2018, n. 11328
Lavoro – Apprendista elettricista – Licenziamento per riduzione del personale – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
Fatti di causa
1. Il giudice di primo grado, in parziale accoglimento del ricorso proposto da D. De S., assunto quale apprendista elettricista da S. s.r.l. a far data dal 10.1.2008 e licenziato per riduzione del personale con lettera del 27.10.2009, dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 10/1/2008, il diritto del ricorrente all’inquadramento nel II livello operaio del c.c.n.I. di settore e alla conseguente regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale, e condannava la S. s.r.l. al pagamento delle differenze retributive, quantificate in € 2.252,07, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; dichiarava la illegittimità del licenziamento e ordinava la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro; condannava la società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti per il medesimo periodo; condannava la società alla rifusione delle spese di lite.
2. La Corte di appello di Roma ha confermato la decisione ponendo a carico della società le spese del giudizio.
2.1. La statuizione di conferma, quanto alla illegittimità del licenziamento, è stata fondata sulla considerazione che gli elementi in atti non consentivano di ritenere riscontrati il mutamento dell’assetto organizzativo e la irreversibile contrazione delle commesse posti a base del recesso datoriale, la cui insussistenza era dimostrata oltre che dalla chiusura del bilancio dell’anno 2009 con rilevante utile di esercizio anche dalla avvenuta assunzione (o per alcuni riassunzione) nel breve periodo successivo al licenziamento di cinque lavoratori, laddove nel periodo precedente si era verificata la cessazione per licenziamento e dimissioni di sette rapporti di lavoro di cui due a tempo determinato.
2.2. La sentenza impugnata ha, inoltre, ritenuto generica la contestazione relativa alle differenze liquidate evidenziando come gli analitici conteggi depositati dal ricorrente e fatti propri dal giudice di primo grado risultavano basati sulle buste paga in atti e che la società non aveva prospettato conteggi o criteri alternativi di calcolo.
2.3. Quanto al risarcimento del danno la sentenza impugnata ha respinto la richiesta della società di riconoscimento dello stesso solo fino al 15.12.2010, data della prima udienza dinanzi al Tribunale nel corso della quale vi era stata offerta transattiva di pagamento di una somma di danaro e di riassunzione non accettata dal lavoratore il quale aveva dichiarato di non essere più interessato al posto di lavoro, osservando che lo specifico meccanismo prefigurato dall’art. 18 Legge 20/05/1970 n. 300 non rendeva univocamente apprezzabili i motivi che avevano determinato la mancata conciliazione ai fini della riduzione della misura del risarcimento del danno prevista dalla legge .
3. Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso S. s.r.l. sulla base di tre motivi (dei quali l’ultimo, per evidente svista, indicato come secondo); la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo e, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per travisamento delle prove agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) in relazione alla statuizione con la quale è stata confermata la insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Si assume, in sintesi, il malgoverno della prova orale con riferimento all’organico aziendale ed al numero effettivo dei dipendenti; si evidenzia che, per come non contestato, dopo le cessazioni – di due contratti a termine e tre licenziamenti per giustificato motivo oggettivo le dimissioni di due dipendenti avevano costituito un fatto imprevisto affrontato dalla società con la restituzione del posto di lavoro a parte del personale licenziato. Ci si duole, inoltre, della omessa considerazione del libro paga allegato dal datore di lavoro e si assume che la sentenza impugnata ha tratto le conclusioni relative all’organico aziendale sulla base di prove contrastanti.
2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione della legge 15/07/1966 n. 604, dell’art. 3 e dell’art. 41 Cost. Ribadita la esistenza di un errore sulla consistenza dell’organico aziendale, si censura la decisione per avere preso in considerazione, al fine della esclusione del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, riassunzioni di dipendenti effettuate a distanza di sei mesi dal licenziamento e per avere sindacato, in violazione del precetto costituzionale di cui all’art. 41 Cost., le scelte imprenditoriali della società.
3. Con il terzo motivo di ricorso (per errore indicato come secondo) si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 18 Legge n. 300/1970. Premesso che secondo quanto già dedotto in seconde cure il lavoratore, nel corso del libero interrogatorio davanti al giudice di primo grado, seguito all’esito negativo della proposta transattiva formulata dalla società, aveva dichiarato di non essere più interessato al posto di lavoro, si assume che tale dichiarazione esprimeva la volontà di recedere dal rapporto e che andava pertanto considerata al fine di contenere a tale data la domanda risarcitoria, in relazione alla quale si insiste anche sulla mancanza di prova della messa a disposizione delle energie lavorative da parte del De S.
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per una pluralità di profili. E’ innanzitutto da premettere che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, dedotto in ricorso sub specie di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10/06/2016 n. 11892). Le censure articolate con il motivo in esame, intese a contestare la ricostruzione fattuale alla base della decisione impugnata in relazione alla effettività delle ragioni del recesso datoriale, non sono conformi all’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ. , in quanto non è indicato il fatto storico, di rilevanza decisiva oggetto di discussione tra le parti il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte di merito (Cass. Sez. Un. 07/04/2016 n. 8053); tale fatto storico non potrebbe ravvisarsi nel libro unico della società, in quanto, a prescindere da ogni valutazione intorno alla decisività di tale documento, lo stesso non risulta evocato in termini coerenti con la previsione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. non essendo riprodotto il relativo contenuto né indicata la sede di produzione nell’ambito del giudizio di merito, come, invece, prescritto (Cass. 12/12/2014 n. 26174). Ulteriore profilo di inammissibilità si rinviene, inoltre, nella mancata indicazione delle ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado, indicazione necessaria a consentire la verifica di ammissibilità del mezzo di cui all’art. 360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., come richiesto in ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’art. 348-ter cod. proc. civ. al fine dell’applicazione del relativo comma 5 (Cass. 22/12/2016 n. 26774), destinato a regolare ratione temporis la fattispecie in esame.
5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la modalità di deduzione della violazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ. non è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1 n. 3, cod. prov. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. 03/08/2007 n. 5353, Cass. 17/05/2006 n. 11501).
5.1. Parte ricorrente non indica affatto quali affermazioni della sentenza gravata si pongono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie, dovendo, anzi, in concreto, rilevarsi che il giudice di secondo grado ha espressamente ribadito la insindacabilità nel merito della scelta datoriale ed ha limitato il controllo giurisdizionale alla verifica della effettività delle ragioni poste a base del licenziamento del De S.. La decisione risulta sul punto, quindi, conforme all’orientamento di questa Corte secondo il quale tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in relazione al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto (cfr. tra le altre, Cass. 14/05/2012 n. 7474, Cass. 30/11/2010 n. 24235).
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile sia in quanto in violazione del precetto di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (Cass. 26174/2014 cit.) non è riprodotto l’intero contenuto del verbale di udienza alla base dell’assunto relativo alla manifestazione di volontà del lavoratore ma solo una frase slegata dal complessivo contesto delle dichiarazioni da questi rese e, quindi, insufficiente a consentire il vaglio della effettiva volontà espressa dal De S. in ordine alla cessazione del rapporto, sia perché, avendo il giudice di appello escluso, proprio con riferimento alle scansioni previste dall’art. 18 Legge 300/1970 ed alla facoltà ivi connessa per il lavoratore di richiedere l’indennità sostitutiva della reintegrazione, la apprezzabilità nel senso preteso dalla società delle ragioni che avevano determinato la mancata conciliazione (con riferimento implicito, quindi, anche alle dichiarazioni rese dal lavoratore nel corso della prima udienza davanti al Tribunale), ai fini della valida censura della decisione parte ricorrente avrebbe dovuto denunziare il vizio di interpretazione della dichiarazione del lavoratore e non il contrasto della decisione con il disposto dell’art. 18 cit.
7. All’inammissibilità del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.
8. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore dell’Avv.to F. M. G. e dell’Avv. R. N., antistatarii.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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