CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 novembre 2018, n. 29631
Licenziamento – Plurime irregolari condotte – Concessione del termine a difesa del lavoratore – Violazione della procedura disciplinare – Accertamento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 5669/2016, depositata il 23 settembre 2016, la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale nella stessa sede aveva respinto il ricorso di E.S. diretto all’accertamento, con le pronunce conseguenti, della nullità o illegittimità del licenziamento allo stesso intimato, con lettera del 2 marzo 2011, da D.B. a motivo di plurime irregolari condotte poste in essere nella qualità di responsabile di filiale.
2. La Corte territoriale osservava, per quanto di interesse, che a seguito della lettera di contestazione del 4 febbraio 2011 lo S. aveva reso le proprie giustificazioni (con nota del 14 febbraio successivo), con la conseguenza che era da escludersi la violazione della procedura disciplinare per omessa concessione del termine a difesa del lavoratore; rilevava ancora come la complessità degli accertamenti seguiti all’ispezione interna del 10 novembre 2010 rendesse congruo il termine di circa due mesi e mezzo intercorso tra l’acquisizione della documentazione presso la filiale e la formale contestazione degli addebiti.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza lo S. con unico motivo, cui la Banca ha resistito con controricorso, assistito da memoria.
Ragioni della decisione
1. Con unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 300/1970 e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonché contraddittoria e insufficiente motivazione su un fatto decisivo ai fini della controversia, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la violazione della procedura disciplinare per mancata concessione del termine a difesa del lavoratore e nella parte in cui ha escluso la tardività della contestazione, pur risultando che il datore di lavoro avesse conoscenza dei fatti già nel novembre 2010.
2. Il motivo non può essere accolto.
3. Al riguardo, e in primo luogo, si rileva che il ricorrente, pur denunciando la violazione dell’art. 7 l. n. 300/1970 anche sotto tale profilo, non ha, in realtà, mosso alcuna censura specifica a quella parte della motivazione in cui la Corte ha escluso “ogni violazione nella procedura disciplinare per omessa concessione del termine a difesa del lavoratore”, dopo avere precisamente ricostruito, con le relative date, la sequenza degli atti (contestazione; giustificazioni del dipendente; licenziamento) che avevano infine condotto alla risoluzione del rapporto di lavoro (cfr. sentenza, p. 2).
4. Si deve inoltre rilevare che la Corte di merito ha compiutamente e analiticamente verificato le attività svolte dal datore di lavoro per avere una completa cognizione delle irregolarità poste in essere dallo S., pervenendo ad una conclusiva valutazione di complessità delle medesime e di conseguente congruità del “termine di circa due mesi e mezzo intercorso tra l’acquisizione della documentazione presso la filiale e la formale contestazione degli addebiti per cui è causa” (cfr. sentenza, p. 3, secondo capoverso).
5. E’ invero consolidato il principio di diritto, secondo il quale il criterio di immediatezza della contestazione deve essere inteso “in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici” (cfr. Cass. n. 14115/2006 e successive numerose conformi).
6. Né il ricorrente, nel censurare questa parte della motivazione perché “contraddittoria, illogica e insufficiente”, si è conformato al modello del nuovo art. 360 n. 5 cod. proc. civ., quale risultante dalle modifiche introdotte nel 2012, a fronte di sentenza depositata il 23 settembre 2016 e, pertanto, in epoca successiva all’entrata in vigore della riforma.
7. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato a seguito di tali interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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