CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 37
Espropriazione di terreno di proprietà – Istanza di rimborso – Ritenuta alla fonte – Destinazione del terreno
Rilevato che
La contribuente Z. R.M. presentava istanza di rimborso della ritenuta alla fonte del 20% operata dal Comune di Catania, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 413/1991, a seguito di espropriazione di terreno di proprietà della contribuente iscritto nel N.C.T. al foglio 70, particella 376.
A seguito del silenzio rifiuto opposto alla istanza di rimborso, la contribuente presentava ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, allegando certificato di destinazione urbanistica ed evidenziando che il terreno espropriato ricadeva nelle zone omogenee E (verde agricolo) e F (sede stradale) e non nelle zone territoriali omogenee di tipo A, B, C e D di cui al d.m. 2/4/1968 e che, di conseguenza, la ritenuta era illegittima.
I giudici di primo grado accoglievano il ricorso con sentenza n. 429/7/06 del 14/7/2006 avverso la quale proponeva appello l’Agenzia delle Entrate, la quale allegava certificato del Comune di Catania attestante che all’inizio della procedura espropriativa il terreno in questione ricadeva in zona omogenea “C” ed era pertanto soggetto a tassazione ai sensi dell’art. 11, commi 5, 6 e 7 della legge n. 413/1991.
La contribuente contestava la idoneità del documento prodotto dall’Ufficio a dimostrare l’esatta individuazione della zona in cui ricadeva il terreno espropriato e ribadiva di avere prodotto certificato di destinazione urbanistica dal quale si evinceva che il terreno ricadeva in zona omogenea “F” e che tutte le variazioni urbanistiche risultavano elencate nel certificato cronologico rilasciato dalla Direzione Pianificazione urbanistica e Gestione del Territorio del Comune di Catania in data 14/12/2009.
La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello dell’Ufficio, ritenendo che la prova documentale offerta dall’appellante, oltre che tempestiva, fosse idonea a dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della ritenuta del 20% sul corrispettivo pagato a titolo di espropriazione del terreno.
Z. R.M. propone ricorso per cassazione, con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis. 1. cod. proc. civ.
Considerato che
1. Con il primo motivo, la ricorrente, deducendo che il Comune di Catania ha proceduto al pagamento della indennità in due soluzioni, versando l’importo di euro 455.800,00 a titolo di acconto nel 1999 e l’ulteriore importo di euro 243.167,00 a titolo di saldo nel 2000, e che il presente giudizio attiene alla ritenuta operata sulla somma corrisposta a titolo di acconto, eccepisce che la separata controversia instaurata avverso il silenzio rifiuto opposto alla istanza di rimborso della ritenuta operata sull’indennità corrisposta a titolo di saldo è stata definita dalla Commissione tributaria regionale con sentenza di appello n. 229/34/10, ormai passata in giudicato per omessa impugnazione, e che è, parimenti, passata in giudicato la sentenza n. 93/34/10, pronunciata dalla C.T.R. nell’ambito di distinta controversia instaurata dalla proprietaria di un terreno limitrofo al fine di ottenere il rimborso della ritenuta operata sulla indennità di espropriazione.
Assume, pertanto, che la sentenza n. 229/34/10, pronunciata tra le medesime parti, spiega effetti vincolanti nel presente giudizio, avente ad oggetto la ritenuta operata sulla somma versata a titolo di acconto nell’ambito della medesima procedura espropriativa.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 58 del d.lgs. n. 546/1992 e sostiene che il documento prodotto dall’Agenzia delle Entrate e posto a fondamento della decisione impugnata non è idoneo ad individuare la zona in cui ricadeva il terreno espropriato, e quindi a dimostrare quanto sostenuto dall’Ufficio, trattandosi di lettera, non proveniente dall’Ufficio urbanistico, inviata dal Comune di Catania all’Agenzia delle Entrate, nella quale non si fa riferimento né al Piano regolare vigente all’epoca, né alla data presa in considerazione come inizio della procedura espropriativa.
Ad avviso della ricorrente, pertanto, i giudici di appello avrebbero dovuto avvalersi dei poteri ad essi conferiti dall’art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 e, quindi, svolgere ulteriore attività istruttoria al fine di dirimere i contrasti esistenti tra il certificato prodotto dalla contribuente e la nota del Comune di Catania.
3. Con il terzo motivo (erroneamente indicato in ricorso con il numero 1), la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge n. 413/1991, evidenziando che nella fattispecie non ricorrono i presupposti impositivi richiesti dalla legge richiamata, considerato che il terreno espropriato, come emerge dal certificato di destinazione urbanistica, ricade in zona omogenea “F” e che, come si evince dal certificato cronologico rilasciato dal Comune, la particella 376, oggetto di esproprio, non è mai stata inclusa nelle zone omogenee A), B), C), D).
4. Il primo motivo è fondato e va accolto.
5. Va, in primo luogo, disattesa la eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di autosufficienza, sollevata dalla Agenzia delle Entrate, la quale ha evidenziato che la controparte ha omesso di trascrivere nel ricorso per cassazione la motivazione della sentenza passata in giudicato.
5.1. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno riconosciuto la natura pubblicistica dell’interesse al rispetto della cosa giudicata, la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno oltrechè di quello interno, e l’inclusione delle relative questioni fra quelle di diritto invece che fra quelle di fatto. Di conseguenza, hanno affermato la rilevabilità d’ufficio del giudicato esterno, purchè questo risulti da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, per cui la Cassazione ne accerta l’esistenza e la portata con cognizione piena e con diretto esame degli atti processuali (Cass. Sez. U., n. 1416 del 27/1/2004; Cass. Sez. U., n. 226 del 25/5/2001).
5.2. L’accertamento del giudicato, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione; qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri ad essa riconosciuti dall’art. 384, terzo comma, cod. proc. civ., nel testo modificato dal d.lgs. 2006, n. 40, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006).
5.3. Nel caso di specie, la ricorrente ha prodotto, unitamente al ricorso, copia integrale della sentenza n. 229/34/10 e certificazione della Cancelleria della Commissione regionale attestante il suo passaggio in giudicato, per cui è consentito a questa Corte di valutare la decisività della censura.
La produzione della sentenza n. 229/34/10 è del tutto rituale, considerato che essa è stata depositata dalla C.T.R. in data 14/6/2010 e che la pronuncia è passata in giudicato – decorso il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza di appello ex art. 327 cod. proc. civ. (applicabile ai giudizi instaurati in primo grado fino al 3 luglio 2009) in data 14.3.2011, ossia in data successiva alla pronuncia della sentenza della C.T.R. n. 121/17/11, oggetto di impugnazione nel presente giudizio.
6. Premesso ciò, si impone di verificare se il giudicato derivante dalla sentenza n. 229/34/10 possa spiegare effetti vincolanti nel presente giudizio e, quindi, di accertare i limiti in cui è configurabile nel processo tributario l’istituto del giudicato esterno e la sua efficacia espansiva.
6.1. Secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 2006, « qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo »; e « tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacchè anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi di imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato ».
Le Sezioni Unite hanno pure precisato che il processo tributario non è giudizio sull’atto (da annullare), ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed è quindi un giudizio che inevitabilmente si estende al merito e, dunque, all’accertamento del rapporto, con la conseguenza che deve escludersi che il giudicato esaurisca i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e deve ammettersi la sua potenziale capacità espansiva in altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili – nei limiti della «specificità tributaria» – da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile.
6.2. In applicazione dei suddetti principi, questa Corte, pur avendo pacificamente escluso la configurabilità del giudicato esterno in relazione a controversie relative a rapporti giuridici diversi e relative ad imposte diverse (Cass. n. 5943 del 14/3/2007; n. 235 del 9/1/2014), con pronunce successive a quella delle Sezioni Unite ha ribadito che il giudicato si forma sul rapporto d’imposta, come configurato dalla pretesa fatta valere dall’Amministrazione con l’atto impositivo, nonchè sull’applicazione ed interpretazione di una norma in relazione ad una specifica fattispecie accertata dal giudice, e non sull’affermazione di un principio astratto avulso da un caso concreto.
7. Ne consegue che, nella fattispecie in esame, il giudicato formatosi nell’ambito della controversia avente ad oggetto il rimborso della ritenuta operata sulla somma corrisposta alla stessa odierna ricorrente nell’ambito della medesima procedura espropriativa a titolo di saldo della indennità di espropriazione estende i suoi effetti anche nel presente giudizio che attiene al rimborso della ritenuta alla fonte operata dal Comune di Catania sulla somma corrisposta a titolo di acconto, trattandosi di tranches di pagamento della medesima indennità di esproprio riguardante lo stesso terreno.
8. L’accoglimento della eccezione di giudicato impone di dichiarare assorbiti i restanti motivi.
9. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti motivi, e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con l’accoglimento del ricorso originario della contribuente.
Avuto riguardo allo svolgimento del processo, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.
Alla soccombenza segue la condanna della Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore della ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.
Compensa interamente tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito.
Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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