CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 maggio 2019, n. 11661
Tributi – ICI – Accertamento maggiore aliquota applicabile – Immobili oggetto di conferimento di ramo d’azienda – Periodi d’imposta accertati coincidenti con la titolarità della cedente – Soggettività passiva della cessionaria
Fatto e diritto
La società M. E. s.r.l. proponeva ricorso avanti alla CTP di Roma avverso la cartella esattoriale da parte di Equitalia Sud per i ruoli emessi dal Comune di Roma in relazione alle annualità 2002, 2003 e 2004 ai fini ICI per l’importo complessivo di € 1.952.952,79
Si costituiva il Comune di Roma Capitale contestando il fondamento del ricorso e chiedendone il rigetto.
Con sentenza nr 6857/2015 la CTP rigettava il ricorso ritenendo correttamente motivato il provvedimento impositivo e legittimamente applicata l’aliquota del 9 per mille prevista per le unità immobiliari per le quali al primo gennaio non risultavano registrati contratti di locazione da almeno 2 anni.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società M. E. s.r.l. chiedendo in riforma dell’impugnata sentenza l’annullamento dell’impugnato provvedimento.
Si costituiva il Comune di Roma Capitale contestando il fondamento del gravame e chiedendone il rigetto.
Con sentenza nr 3915/2016 la CTR rigettava l’appello.
Il giudice del gravame, ricostruite le ragioni che avevano portato l’amministrazione comunale a richiedere la pretesa impositiva, nell’ambito di una attività di accertamento ai fini ICI avviata originariamente nei confronti di E. R. E. Company in relazione alle annualità 2002, 2003 e 2004 e successivamente, in conseguenza della cessione del proprio ramo di azienda nei confronti dell’appellante, riteneva infondati il prospettato vizio di motivazione del provvedimento impugnato e l’eccepita carenza di legittimazione passiva condividendo in questo la decisione gravata.
Sotto il primo profilo osservava che la cartella di pagamento doveva considerarsi conforme ai dettami dell’art 25 DPR 602/1973 sottolineando come in essa fossero presenti tutte le informazioni necessarie a controllare la legittimità della procedura promossa come è dimostrato dagli stessi scritti difensivi dell’appellante in cui sono stati affrontati tutti gli aspetti delle vicende sottese.
Con riguardo al secondo profilo dedotto rilevava che la legittimazione passiva doveva essere riconosciuta in capo alla cessionaria quale conseguenza del conferimento del ramo di azienda dalla E. R. E. alla M. E. e della cessazione dell’attività della prima intervenuta a distanza di appena un anno dalla conclusione di detta operazione.
In questa prospettiva richiamava le disposizioni contenute nell’art. 3, comma 133 della legge 1996 nr 662 e dell’art. 14 comma primo e secondo comma decreto legislativo nr 472/1997.
Escludeva l’operatività del beneficio della preventiva escussione cui è condizionata la responsabilità solidale della cessionaria evidenziando che la notifica della cartella di pagamento in questione era avvenuta in data 19.12.2012 mentre la cessazione dell’attività da parte del debitore principale risaliva al 7.4.2008 sicché la preventiva escussione sarebbe stata difficilmente praticabile se non addirittura impossibile.
Osservava infine con riguardo agli accertamenti relativi alle annualità 2002, 2003 e 2004 che la pretesa doveva ritenersi legittima rientrando il carico tributario nei limiti temporali della normativa stessa tenuto conto dell’epoca del conferimento.
Avverso detta sentenza società M. E. s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di 5 motivi cui resiste con controricorso il Comune di Roma Capitale.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del disposto dell’art 7 legge 27.7.2000 nr 212 nonché dell’art 3 I. 241/1990 in relazione all’art 360 nr 3 c.p.c. ; la nullità della sentenza per avere i giudici di appello pronunciato su un tema diverso da quello devoluto.
Lamenta infatti che il Giudice di appello non avrebbe compreso la portata delle contestazioni fatte valere nel processo sostenendo che la critica non si sarebbe appuntata sulla procedura di riscossione avanzata da Equitalia Sud ma sul fatto che la cartella notificata ,che era il primo ed unico atto impositivo portato a conoscenza della società, riportasse scarni dati che non avrebbero consentito di individuare concretamente la richiesta fiscale e di permettere una pur minima difesa.
Con un secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del d.lvo 472/1997 e del diritto di difesa garantito dall’art 24 Cost.
Critica in particolare la decisione della CTR la quale, nel respingere l’appello avrebbe di fatto affermato la responsabilità della M. per fatto altrui senza consentirle di esercitare i diritti di difesa.
Osserva di essere rimasta all’oscuro di possibili infrazioni alla stessa addebitabili e di aver solo ipotizzato le circostanze cui avrebbe potuto riferirsi la richiesta fiscale.
Sostiene che le pretese fiscale in quanto riferite agli anni 2002, 2003 e 2004 in cui la società odierna ricorrente non era ancora costituita si sarebbe potuto immaginare solo ex art 14 d.lvo nr 472/1997 una ipotetica responsabilità solidale per eventuali debiti fiscali in relazione ad infrazioni da quest’ultima commesse.
Sottolinea infatti di essere venuta a conoscenza solo dalle controdeduzioni presentate in primo grado dal Comune di Roma quale fosse l’effettiva fonte della pretesa costituita da un’accertamento fiscale notificato alla società conferente nel 2005 e divenuto definitivo a seguito di sentenza di appello non contestata.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole della pretesa violazione e falsa applicazione dell’art 1306 c.c. e art 23 e art 53 della Costituzione in relazione all’art 360, comma 1 numero 3 c.p.c.
Lamenta in particolare che la pretesa impositiva avanzata dall’amministrazione si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali richiamati giacché finirebbe con accollare il pagamento del tributo alla società ricorrente non per una capacità contributiva propria ma per effetto di una norma che lo rende coobbligato al pagamento di imposte dovute da altri soggetti.
Con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli art 3 e 14 del decreto legislativo 472/1997 e degli articoli 16 e 32 del decreto legislativo nr 158/2015.
Sostiene infatti che la mancata richiesta del certificato liberatorio previsto dall’art 14 del decreto legislativo 472/1997 non era stata avanzata dalla M. sia per l’assenza di contestazioni con il Fisco non menzionato negli atti sia perché il testo di legge si riferiva nella versione originaria alle sole cessioni di azienda e non anche ai relativi conferimenti.
Precisa poi che solo di recente è stato introdotto l’art 16 del decreto legislativo nr 158/2015 che ha esteso con decorrenza dal primo gennaio 2016 ( art 32) la norma dal chiaro contenuto innovativo anche ai conferimenti evidenziando che l’applicazione retroattiva della disciplina sanzionatoria contrasterebbe con il principio di legalità.
Con l’ultimo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art 14 del decreto legislativo 472/1997.
Deduce infatti che i giudici di appello non avrebbero fatto buon governo della regola codificata nella previsione menzionata laddove considera responsabile il cessionario solo se si è proceduto alla preventiva escussione del cedente. Sostiene pertanto che era doveroso notificare un atto che fungesse da titolo di responsabilità finanziaria e legittimasse la pretesa nei confronti della società. Sottolinea che il mancato realizzo della maggior parte del credito fiscale sarebbe dipeso dal ritardo con cui il Comune di Roma avrebbe intrapreso le procedure coattive e non già dalla loro infruttuosità.
Le critiche veicolate attraverso il primo motivo sono infondate.
Questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 17 giugno 2016, n. 12261), ha osservato che “ per la validità del ruolo e della cartella di pagamento, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 25, non è indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notificazione dell’accertamento precedentemente emesso nei confronti del contribuente ed al quale la riscossione faccia riferimento, essendo, al contrario, sufficiente l’indicazione di circostanze univoche ai fini dell’individuazione di quell’atto, così che resti soddisfatta l’esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (Cass. 11466/2011), con l’ulteriore specificazione (Cass. 6672/2012) che, ai fini del contenuto minimo della cartella di pagamento, del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6, richiedono l’indicazione “sintetica” degli elementi di iscrizione a ruolo, non occorrendo quindi, per la regolarità del documento esattoriale, una indicazione “analitica” di quegli elementi (Cass. 26441/2014; Cass 25343/2018).
Nel caso di specie, la cartella è stata emessa per un debito fiscale riconosciuto con sentenza passata in giudicato di cui sono stati riportati gli estremi fatta eccezione per l’indicazione del numero la cui mancanza non determina alcuna incertezza o ostacolo alla piena comprensione delle ragioni della pretesa ben potendo il contribuente ricostruire il dato mancante accedendo agli archivi giudiziari.
Condivisibilmente il Giudice del gravame ha pertanto ritenuto anche alla luce del contenuto degli scritti difensivi redatti dall’appellante soddisfatta l’esigenza di controllare la legittimità della procedura promossa nei confronti della società M..
Quanto al secondo motivo, al terzo motivo e quarto motivo che vanno esaminati congiuntamente per l’intima connessione occorre premettere che il quadro di riferimento normativo è costituito dall’art 14 del decreto legislativo 18.12.1997 nr 472 che è norma speciale che disciplina per il settore tributario il fenomeno della cessione e dei conferimenti d’azienda.
L’applicazione di tale previsione anche alla fattispecie dei conferimenti è stata sancita dall’art 16 del decreto legislativo nr 158/2015 (Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento) la cui portata non ha carattere innovativo, costituendo la stessa un’operazione di trasferimento diretta a creare un fondo autonomo patrimoniale sul quale si esercita l’attività sociale e che presenta aspetti riconducibili alla cessione anche in relazione alle posizioni debitorie.
Il rapporto esistente fra le due figure ha indotto il legislatore a precisarne la portata normativa sul piano della disciplina tributaria.
In questa direzione è opportuno richiamare la decisione di questa Corte (Cass 2017 nr 17264) che con riferimento alla disciplina della cessione di azienda né ha esplicitato le linee interpretative che vanno estese anche alla fattispecie qui in esame.
Il legislatore, come è stato rimarcato nella richiamata decisione, con questa norma, non ha inteso regolare la responsabilità solidale per i debiti fiscali conseguenti alla normale attività dichiarativa delle parti private – per i quali vale la disciplina civilistica ex art. 2560 cod. civ. -, ma la ha espressamente prevista per i debiti conseguenti alle violazioni tributarie compiute dal cedente, rispetto alle quali l’Amministrazione deve avviare una propria complessa attività accertativa, di guisa che non è nemmeno ipotizzabile che possano risultare dai libri contabili.
Proprio per tale ragione questa disciplina prescinde dalla condizione prevista invece dall’art. 2560 c.c., comma 2, e cioè dalla annotazione della debitoria sui libri contabili obbligatori.
L’art. 14, comma 1, cit. quindi tutela la pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, conseguente a violazioni poste in essere dal contribuente cedente, in modo ampio, consentendole di farla valere nei confronti dì entrambi i soggetti coinvolti nell’operazione di cessione di azienda, in ragione della garanzia patrimoniale che deriva dalla disponibilità dell’azienda, in via solidale a condizione che riguardi:
– imposte e sanzioni inerenti a violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuto il trasferimento e nei due anni precedenti, sebbene non ancora contestate. dall’Amministrazione finanziaria;
– imposte e sanzioni già irrogate e contestate, anche se riferite a violazioni commesse in periodi precedenti al secondo anno precedente a quello in cui è avvenuto il trasferimento d’azienda.
La ratio legis,come si vede, è volta ad evitare che, attraverso le diverse forme negoziali di trasferimento dei beni costituenti il complesso aziendale, venga ad essere sottratta al Fisco la originaria garanzia patrimoniale dei crediti tributari vantati nei confronti del cedente, quando questi conseguano a violazioni che comportano un aggravio per l’Amministrazione tenuta a svolgere un’attività accertativa per farli emergere e per conseguire il riconoscimento delle proprie pretese; tale finalità viene perseguita mediante la previsione di una estesa responsabilità solidale del cessionario.
Con riferimento a questa solidarietà passiva, la Corte ha avuto modo di chiarire che non si tratta di una responsabilità solidale paritetica, bensì una solidarietà dipendente (cd. responsabilità di imposta), che si realizza quando la legge prevede la responsabilità solidale di un soggetto che, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità contributiva, risulta collegato al fatto imponibile, ovvero al contribuente, sulla base di un rapporto (nella specie la cessione di azienda titolo di conferimento sociale) al quale il Fisco rimane estraneo (Cass. nn. 255/2012, 1379/2014); tuttavia è indiscutibile che questa fattispecie ha una portata più estesa di quella conseguente alle emergenze contabili (art. 2560 cod. civ.) in quanto comprende anche gli effetti fiscali di violazioni ascrivibili al cedente anche non ancora accertate.
Peraltro la responsabilità solidale del cessionario a favore del Fisco è contemperata dalla previsione di alcuni limiti e dalla disciplina di operatività degli stessi, che, alla luce dell’esame del complessivo quadro normativo e dei principi ai quali è informato, impongono una lettura combinata dei primi tre commi dell’art. 14 cit.
Il legislatore ha introdotto con il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 1, anche alcune limitazioni della responsabilità:
– di tipo soggettivo – sussidiarietà della responsabilità (beneficium escussionis non previsto in sede civile);
– di tipo oggettivo – a) una di natura quantitativa: limitazione della stessa al valore dell’azienda o del ramo d’azienda oggetto di cessione (non prevista in sede civile); b) una di natura temporale: limitazione al pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti; nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. Quindi al comma 2 ha fissato un ulteriore limite oggettivo quantitativo, rapportato all’attività dell’Amministrazione, stabilendo che l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
Le considerazioni sin qui esposte non possono che condurre al rigetto dei due motivi di ricorso non dovendosi configurare alcuna lesione del diritto di difesa della società ricorrente la quale ha avuto modo di impugnare la cartella esattoriale proponendo nelle precedente fasi tutte le difese considerate utili al fine di veder paralizzata la richiesta azionata dal Comune.
Non è poi pertinente alla luce della previsione dell’art 14 citato il richiamo ad una pretesa responsabilità per fatto di terzi in quanto avulsa dalla capacità contributiva della cessionaria.
Correttamente la CTR ha accertato che la verifica in conseguenza della quale è stato emesso l’avviso di accertamento era stata eseguito nei limiti temporali previsti dalla norma avuto riguardo all’epoca del conferimento.
La notifica di tale avviso per le annualità 2002, 2003 e 2004 infatti è avvenuta in data 4.7.2005 a distanza di circa due anni dal conferimento risalente al 12.7.2007.
Quanto poi alla mancata attivazione del beneficio escussionis previsto dall’art 14 va condiviso il ragionamento seguito dai Giudici di secondo grado laddove hanno rilevato l’impossibilità di attivare la preventiva escussione di una società ormai cessata alla data di notifica della cartella esattoriale.
In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate secondo il criterio del D.M. 37/2018.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore del Comune di Roma Capitale delle spese processuali che si liquidano in complessivi € 10.000,00 oltre accessori di legge ed al 15% per spese generali; dà atto ,ai sensi del DPR nr 115 del 2002 ,art 13,comma quater,della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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