CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 luglio 2019, n. 19350

Tributi locali – ICI – Fabbricati – Rendita catastale – Esenzione – Applicabilità – Verifica

Ritenuto che

Con l’impugnata sentenza n. 2950/15, depositata il 5/7/2017, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, respinto l’appello del Comune di Arcore, confermava in toto la decisione di primo grado che, in accoglimento del ricorso di E.S. aveva dichiarato non dovuta la imposta comunale sugli immobili (ICI), per l’anno 2005, in relazione a fabbricato sito in località “Cascina Eugenio”, al quale l’Agenzia del Territorio, in data 1/10/2012, aveva attribuito la categoria A/8, cosi rettificando l’accatastamento (A/6) proposto dal contribuente con Docfa, in data 12/10/2012, giusta provvedimento notificato a quest’ultimo il 26/11/2012, trattandosi di fabbricato “rurale” precedentemente iscritto nel catasto terreni e sino al 17/10/2011 (data di iscrizione nel Catasto Fabbricati) privo di rendita propria.

La CTR affermava, tra l’altro, che il non assoggettamento ad ICI del ridetto fabbricato discende dalla “irretroattività della nuova rendita catastale attribuita dall’Agenzia del Territorio in data 2011”, essendo essa efficace, secondo le regole generali, “a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale le modifiche sono state annotate negli atti catastali”, ai sensi degli artt. 5, d.lgs. n. 504 del 1992, e 74, l. n. 342 del 2000, e che l’Ufficio non ha fornito prova circa l’utilizzo del bene “per eventi al di fuori di attività agricole”, soluzione in linea con quanto già deciso per le annualità 2006, 2007 e 2008.

Contro la sentenza, il Comune propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il contribuente resiste con controricorso.

Considerato che

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., avendo la CTR erroneamente posto a carico del Comune l’onere della prova dei presupposti della pretesa esenzione ICI, avuto riguardo al requisito della ruralità dell’immobile, mai accatastato nella categoria A/6 proposta dal contribuente, in quanto rettificata in A/8 dall’Agenzia del Territorio e si evidenzia altresì che l’immobile oggetto di accertamento risultava – pacificamente – inserito nel PRG approvato nel maggio 2001, in zona E/1 – R, corrispondente ad Edifici non agricoli in zona agricola.

Con il secondo motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 9, d.l. n. 557 del 1993, 5, d.lgs. n. 504 del 1992, 74, co. 1, l. n. 342 del 2000, avendo la CTR trascurato di considerare che l’immobile, nell’anno 2005, non aveva la categoria catastale A/6 e neppure i requisiti di ruralità per ottenere l’esenzione fiscale.

Con il terzo motivo si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 1 e 2, d.lgs. n. 504 del 1992, 9, d.l. n. 557 del 1993, convertito nella l. n. 133 del 1994, 23, co. 1 bis, d.l. n. 207 del 2008, convertito con modifiche nella l. n. 14 del 2009, avendo la CTR trascurato di considerare che l’immobile è stato iscritto in catasto fabbricati con la categoria A/8, ed attribuzione di rendita con provvedimento notificato al contribuente, e pertanto assoggettabile ad ICI, non essendo lo S. imprenditore agricolo e non avendo mai utilizzato il bene come abitazione nell’anno in contestazione e pertanto non ricorrendo alcun requisito di ruralità né soggettivo né oggettivo.

Le censure che precedono, dipendendo tutte dalla soluzione delle medesime questioni, possono essere trattate congiuntamente e nei termini di seguito meglio precisati sono meritevoli di accoglimento.

La sentenza della CTR la quale, come detto in narrativa, richiama altra decisione inter partes del medesimo giudice tributario (n. 3730/15), afferma in maniera univoca che l’unico dato decisivo è rappresentato dal fatto che l’immobile, nel 2005, fosse accatastato come fabbricato rurale e dunque non assoggettabile ad ICI, che spettasse all’Ufficio fornire la prova circa i requisiti di ruralità, che la nuova rendita attribuita dall’Agenzia del Territorio, ai sensi dell’art. 74, co. 1, l. n. 342 del 2000, non fosse utilizzabile per le annualità pregresse, tra le quali, appunto, quella (2005) oggetto della presente causa.

Risulta dagli scritti difensivi che il fabbricato in questione fu iscritto nel catasto edilizio urbano in categoria A/8, essendo stato così rettificato l’accatastamento in categoria A/6 proposto con la procedura Docfa del 12/10/2012, giusta provvedimento dell’Agenzia del Territorio notificato al contribuente il 26/11/2012, che si trattava di immobile precedentemente iscritto come “rurale” nel catasto terreni, e che la nuova rendita è frutto del suddetto accatastamento in categoria A/8.

Orbene, va ricordato che l’art. 23, co. 1-bis, d.l. n. 207 del 2008, conv. in l. n. 14 del 2009, così recita(va): “Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’art. 2, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto dei fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133 e successive modificazioni”.

Le Sezioni Unite della Corte, con la sentenza n. 18565/2009, preso atto della natura di disposizione esplicitamente avente natura interpretativa, e quindi con efficacia retroattiva, hanno affermato il principio per cui, “In tema di ICI, l’applicabilità dell’esenzione per i fabbricati rurali, prevista dal combinato disposto dell’art. 23, comma 1-bis, del d.l. n. 207 del 2008, convertito con modificazioni nella l. n. 14 del 2009, e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992, è subordinata, per i fabbricati non iscritti in catasto, all’accertamento dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994 e successive modifiche, accertamento questo che può essere condotto dal giudice tributario, investito della domanda di rimborso proposta dal contribuente, su cui grava l’onere di dare la prova della sussistenza dei predetti requisiti. Tra i requisiti, per gli immobili strumentali, non rileva l’identità fra titolare del fabbricato e titolare del fondo, potendo la ruralità essere riconosciuta anche agli immobili delle cooperative agricole che svolgono attività di manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci“.

Ne discende che l’esclusione dalla imposta presuppone l’accertata ricorrenza dei requisiti previsti dal suindicato art. 9, d.l. n. 557 del 1993, nel caso di specie contestata, requisiti che non risultano affatto dimostrati dal contribuente, il quale ha incentrato le proprie difese su altri argomenti, quali appunto la mancata attribuzione di rendita catastale prima del 17/10/2011, trattandosi di immobile iscritto nel catasto terreni, e l’efficacia non retroattiva della nuova rendita catastale attribuita dall’Agenzia delle Entrate a seguito di procedura Docfa attivata dal contribuente.

Quanto a tale ultimo profilo è appena il caso di ricordare l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’art. 74, comma 1, della l. n. 342 del 2000, nel prevedere che, a decorrere dall’1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, va interpretato nel senso dell’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita prima della sua notifica al fine di individuare la base imponibile dell’ICI, ma non esclude affatto l’utilizzabilità della rendita medesima, una volta notificata, a fini impositivi anche per annualità d’imposta “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.” (ex multis, Cass. n. 14402/2017; S.U. n. 3160/2011).

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese dei gradi di merito, stante il consolidarsi nel tempo della giurisprudenza richiamata, sono compensate, mentre quelle del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito del giudizio e condanna il controricorrente al pagamento di quelle di legittimità, che liquida in € 1.500,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.