CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 aprile 2019, n. 11409
Tributi – ICI – ARPAT – Sede principale della direzione provinciale – Esenzione ex art. 7, co. 1, lett. a) e lett. i) del D.Lgs. n. 504/1992 – Esclusione
Rilevato che
1. Con ricorso proposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Livorno l’ARPAT – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana – impugnava gli avvisi di accertamento per ICI relativa agli anni dal 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008 sull’immobile sito in Livorno, via M. n. (…), ove è sita la sede principale della direzione provinciale livornese della medesima Agenzia.
In particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, la ricorrente eccepiva la sussistenza del diritto all’esenzione ICI per il possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi di cui all’art. 7, comma 1, lett. a) e lett. i) del d.lgs. n. 504/1992.
Il Comune di Livorno si costituiva contestando le avverse deduzioni.
2. Con sentenza n. 251/03/11, la Commissione Tributaria Provinciale di Livorno accoglieva parzialmente il ricorso, in punto di entità delle sanzioni, riducendole al minimo edittale, e respingeva nel merito le avverse deduzioni circa la pretesa esenzione dall’ICI, sotto entrambi i profili prospettati dalla ricorrente.
3. Avverso tale pronuncia proponeva appello l’ARPAT, al quale si opponeva il Comune di Livorno.
4. Con sentenza n. 594/23/14, pronunciata il 10/7/2012, depositata il 25/3/2014 e notificata in data 17-24/4/2014, la Commissione Tributaria Regionale di Firenze, sezione distaccata di Livorno, confermava la sentenza impugnata condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali del grado.
5. Avverso tale sentenza l’ARPAT ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi ed ulteriormente illustrato con successiva memoria.
Resiste con controricorso il Comune di Livorno.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in relazione all’art. 7, comma 1, lettera a) del d.lgs n. 504/1992”.
In particolare, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui esclude che l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana possa essere ricompresa tra gli enti esenti dall’imposta comunale sugli immobili, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. a), in quanto non espressamente indicata da tale norma tra i soggetti ai quali spetta l’esenzione medesima. Secondo la tesi della ricorrente, la CTR non avrebbe considerato che le Regioni sono menzionate tra gli enti esenti e che, conseguentemente, l’ARPAT dovrebbe usufruire di tale esenzione essendo una articolazione organizzativa dell’ente Regione Toscana.
1.1. Il motivo è infondato.
Ai sensi della norma invocata dalla ricorrente sono esenti dall’imposta “a) gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonché dai comuni, se diversi da quelli indicati nell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all’articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”.
Come correttamente affermato nella sentenza impugnata e condiviso anche dalla stessa ricorrente (v. p. 5 del ricorso), la norma citata ha carattere speciale rispetto alla regola generale che assoggetta all’ICI tutti i beni immobili e, pertanto, non è suscettibile di applicazione estensiva o analogica, in particolare ampliando l’elenco degli enti ivi indicati quali beneficiari della esenzione, potendo peraltro essere invocata detta esenzione da uno di tali enti soltanto se l’immobile è adibito ad un compito istituzionale riferibile, in via diretta ed immediata, allo stesso ente che lo possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale (e che sarebbe perciò soggetto passivo dell’imposta ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992) e non a compiti istituzionali di soggetti pubblici diversi, cui pure l’ente proprietario abbia in ipotesi l’obbligo, per disposizione di legge, di mettere a disposizione l’immobile, restando però del tutto estraneo alle funzioni ivi svolte.
In particolare, questa Corte ha affermato il principio, cui il Collegio intende dare continuità, a mente del quale un’Agenzia regionale non può invocare l’esenzione per il solo fatto dell’assunzione di posizioni soggettive di competenza regionale e dello svolgimento di attività di natura non commerciale, dovendo invece provare di essere un’istituzione organicamente inserita nell’apparato amministrativo regionale, ancorché dotata di personalità giuridica propria (Cfr. Cass., sez. 5, 09/04/2010, n. 8496, Rv. 612689 – 01, che ha enunciato tale principio con riferimento ad un’Agenzia regionale operante nel settore dell’agricoltura).
Nella specie l’ARPAT non può essere qualificata come “un’istituzione organicamente inserita nell’apparato amministrativo regionale”.
L’odierna ricorrente, infatti, istituita con L.r. Toscana 18 aprile 1995 n. 66 e attualmente disciplinata dalla L.r. Toscana 22 giugno 2009 n. 30, non solo è dotata di personalità giuridica propria, ma è anche “dotata di autonomia tecnico-giuridica, tecnico scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile, secondo quanto previsto dalla presente legge” (art. 3 Lr. Toscana n. 30 del 2009 cit.) e svolge le sue attività istituzionali “a favore della Regione, dei comuni, delle unioni di comuni…” (art.5 l.r. n. 30 del 2009 cit.) e dunque si colloca fuori dell’apparato organizzativo di tali enti, ponendosi come “strumentale alle attività del sistema complessivo degli enti pubblici competenti in materia di tutela dell’ambiente e della salute” (punto 10 del preambolo della l.r. n. 30 del 2009 cit.).
Né a diversa conclusione può condurre il rilievo che le amministrazioni pubbliche si avvalgono dell’ARPAT per l’espletamento delle attività individuate nella Carta dei servizi e delle attività (artt. 11, comma 3, l.r. n. 30/2009 cit.), la quale è approvata dalla Regione ai sensi dell’art. 13 della medesima legge regionale, e che, a livello organizzativo, il regolamento di organizzazione dell’ARPAT, così come il bilancio e la dotazione organica sono approvati dalla Giunta regionale (artt. 20, 32 e 33 1.r. n. 30/2009 cit.), il cui Presidente nomina il Direttore generale dell’Agenzia (art. 22 l.r. cit.)
Ciò in quanto la personalità giuridica e l’autonomia organizzativa amministrativa e contabile dell’Agenzia, come delineate dalla legge reg. Toscana n. 30 del 2009, nonché la connotazione delle attività istituzionali siccome svolte “a favore” della Regione, dei Comuni, ecc. – espressione che implica una posizione di alterità tra il soggetto che svolge tali attività ed il soggetto che ne beneficia – sono ostative alla configurabilità dell’Agenzia come di una mera articolazione organica della Regione, ossia di una istituzione strutturalmente inserita nell’apparato di quest’ultima, alla quale sono invece attribuiti i suddetti poteri di ingerenza e di controllo sulla Agenzia stessa, che si atteggiano come poteri attribuiti ad un soggetto esterno in ragione della inerenza dei compiti da essa svolti (attinenti alla tutela dell’ambiente e della salute) all’area di quelli istituzionali della Regione che quei poteri esercita.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per “ulteriore violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in relazione all’art. 7, comma 1, lettera i) del d.lgs n. 504/1992”.
In via subordinata, la ricorrente ha dedotto che la CTR avrebbe errato nel non riconoscere la natura sanitaria delle funzioni svolte dall’Agenzia regionale, atteso che tutte le attività attribuite a quest’ultima, di cui all’art. 5 della l.r. n. 30/2009, sono protese alla tutela istituzionali della salute, in quanto finalizzate alla tutela dell’ambiente non come valore in sé, ma come luogo di vita delle persone.
2.2. Il motivo è fondato.
E’ opportuno premettere che l’esenzione dall’imposta prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, la quale negli anni che interessano in questa sede (anni 2004-2008) ha subito diverse modifiche, in tutte le sue successive formulazioni è stata sempre subordinata alla compresenza di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento delle attività ivi indicate da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (art. 87, comma primo, lett. c, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7 rinvia), e di un requisito oggettivo, rappresentato, nella versione vigente sino al 3/10/2005 dell’art. 7 citato, dallo svolgimento “esclusivo” nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, nonchè, nelle versioni successive, “a prescindere” dalla natura eventualmente commerciale di tali attività (dal 3/10/2005 al 4/7/2006) e, infine, in ragione della natura “non esclusivamente commerciale” delle medesime attività.
Sul requisito soggettivo e sulla natura non commerciale delle attività svolte dall’ARPAT nell’immobile di cui è causa (e dunque sulla rispondenza di tale requisito a tutte le versioni dell’art. 7 citato, anche nella sua formulazione più rigorosa sul punto, vigente sino al 3/10/2005) la sentenza impugnata non si è soffermata, trattandosi evidentemente di questione non contestata, come del resto riconosciuto anche in questa sede dallo stesso Comune (v. pag. 7 del controricorso).
La CTR, tuttavia, ha escluso l’applicabilità dell’esenzione in discorso negando la sussistenza del requisito oggettivo inerente il carattere sanitario dell’attività svolta, con la seguente motivazione: “sulla asserita natura sanitaria delle attività dell’ARPAT appare davvero arduo sostenerne l’esistenza. Se da un lato è vero che ogni offesa all’ambiente può recare danno alla salute, è anche vero che la protezione dell’ambiente non può che consistere nella prevenzione e, quando occorre, nella repressione di fenomeni o comportamenti suscettibili di produrre modificazioni ambientali capaci di incidere negativamente sulla qualità della vita. Si tratta, come è ovvio, di attività collaterali e complementari a quelle istituzionalmente assegnate al settore della sanità ma che con questo non sono coincidenti. E neppure la circostanza che ha fatto sorgere la necessità dell’istituzione delle Agenzie per la protezione dell’ambiente è argomento a favore della tesi dell’appellante. Se è vero che un referendum popolare ha sottratto la protezione dell’ambiente alla competenza della ASL, se ne deduce che anche gli elettori hanno ritenuto che quelle attività non rientrassero fra quelle definibili come “sanitarie” in senso proprio. L’equiparazione a fini economici del personale dell’ARPAT al personale delle ASL, contrattualmente determinata dalle OO.SS. e dall’Ente, nulla dice circa l’asserita equivalenza delle funzioni dei due Enti”.
Tali considerazioni non sono condivisibili.
La normativa che disciplina l’Agenzia consente infatti di affermare che le attività da quest’ultima svolte non possono considerarsi meramente “collaterali e complementari” a quelle istituzionalmente assegnate al settore sanità, ma investono in via immediata e diretta prestazioni di rilievo sanitario, in quanto rivolte alla tutela della salute con particolare riferimento alla prevenzione collettiva.
Giova in proposito ricordare che l’ARPA Toscana (ARPAT) è stata istituita con la legge regionale 18 aprile 1995, n. 66 (“Istituzione dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana”), la quale ha disciplinato l’organizzazione, il funzionamento e le competenze della stessa in attuazione del d.l. 4 dicembre 1993 n. 496, convertito con modificazioni in l. 21 gennaio 1994, n. 61 (“Disposizioni urgenti sulla riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente”), emanato in seguito all’esito del referendum popolare del 1993, che ha sottratto alle ASL, le funzioni inerenti la identificazione e la eliminazione delle cause degli inquinamenti dell’atmosfera, delle acque e del suolo, l’igiene dell’ambiente, nonché l’individuazione, l’accertamento ed il controllo dei fattori di nocività, di pericolosità e di deterioramento negli ambienti di vita (già attribuiti alle ASL dall’art. 20, lett. a della l. n. 833/1978, che, a seguito della modifica, ha lasciato inalterate le medesime competenze delle ASL con riferimento ai soli luoghi di lavoro) .
Successivamente si è proceduto ad una revisione della disciplina dell’ARPAT con la già citata L.r. Toscana n. 30 del 2009, la quale, all’art. 2, nel definire le finalità dell’Agenzia, precisa che quest’ultima “concorre alla promozione dello sviluppo sostenibile e contribuisce al mantenimento e al miglioramento sostanziale e misurabile dell’ambiente in Toscana, mediante lo svolgimento delle funzioni pubbliche di tutela dell’ambiente e della salute di cui agli articoli 5 e 10”.
Le norme richiamate individuano le attività istituzionali dell’Agenzia, sia riguardo all’ambiente (in particolare, l’art. 5, distingue le attività di controllo ambientale, come definite al successivo art. 7, le attività di supporto tecnico-scientifico, come definite al successivo art. 8 e le attività di elaborazione dati, di informazione e conoscenza ambientale, come definite al successivo art. 9), sia con specifico riferimento a quelle connesse alla tutela della salute (l’art. 10, comma 1, prevede che: “La carta di cui all’articolo 13 definisce altresì le attività istituzionali connesse alla tutela della salute che l’ARPAT è tenuta a svolgere e consistenti in attività di controllo ambientale e di supporto tecnico- scientifico a favore della Regione e delle strutture del servizio sanitario regionale per l’esercizio delle loro funzioni in materia di tutela della salute, con particolare riferimento a quelle di prevenzione collettiva”).
Alla luce di tali disposizioni emerge che le attribuzioni dell’Agenzia non sono genericamente finalizzate alla protezione dell’ambiente in tutte le sue connotazioni, con ricadute solo indirette sulla qualità della vita della collettività, ma sono invece specificamente rivolte alla tutela della salute pubblica, nella misura in cui la stessa può essere assicurata anche tramite il controllo, lo studio tecnico-scientifico e l’informazione ambientale.
Lo svolgimento di tali funzioni rientra dunque in via diretta ed immediata nel concetto di attività “sanitaria”, atteso che questo aggettivo, nel significato offerto anche dai dizionari della lingua italiana, indica tutto ciò che è relativo alla sanità intesa come l’insieme di organizzazione, servizi e persone che tendono ad assicurarne o a mantenerne il buon andamento, al fine di tutelare lo stato di salute e l’igiene pubblica e, dunque, anche svolgendo attività di prevenzione.
Come già ritenuto da questa Corte in un analogo caso, deve pertanto affermarsi che, nel contesto della ricerca del significato specifico del sintagma “attività sanitaria”, di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, non viola il principio secondo cui le norme di esenzione o di agevolazione sono norme di interpretazione rigida, insuscettibili di interpretazione analogica, ritenere compresa in tale locuzione “anche l’attività di un ente come l’Arpa, per norma di legge deputato all’esercizio di finzioni pubbliche e di interesse generale, direttamente finanziate dalla regione, consistenti in attività di supporto tecnico-scientifico per controlli di acque, alimenti, bevande, ambienti di lavoro, di ricovero e cura e di stima di rischi ambientali” (così Cass., sez. T, 13 aprile 2016 n. 7221, non massimata, relativa all’ARPA Piemonte).
E’ appena il caso di aggiungere che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, nessun rilievo può assumere ai fini che qui interessano l’esito del referendum popolare del 1993, dal quale la CTR ha dedotto “che anche gli elettori hanno ritenuto che quelle attività non rientrassero fra quelle definibili come “sanitarie” in senso proprio”: invero gli elettori erano chiamati a valutare l’opportunità di trasferire le funzioni di cui si discorre ad un ente diverso dalle ASL per ragioni di efficienza, autonomia, economicità, organizzazione, ecc., non certo in ragione della loro natura sanitaria o meno, trattandosi di questione interpretativa non sussumibile in un quesito referendario.
Da quanto precede deriva che, dovendo nella specie ritenersi sussistente, oltre al requisito soggettivo, anche il requisito oggettivo richiesto dall’art. 7 comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, deve riconoscersi alla ricorrente l’esenzione ICI invocata.
3. Conclusivamente, rigettato il primo motivo ed accolto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, comma 2, c.p.c., con accoglimento del ricorso originariamente proposto dall’ARP.AT. Le spese dei due gradi di merito e del presente giudizio di legittimità possono essere compensate in ragione della novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
– rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo;
– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originariamente proposto dall’ARPAT;
– compensa le spese dell’intero giudizio.
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