AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 19 maggio 2021, n. 356
Trattamento, ai fini IVA, delle somme da versare a seguito della stipula di un accordo transattivo intercorso tra le parti
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società istante, ALFA S.p.A. (in precedenza denominata BETA S.p.A.), soggetto giuridico di diritto italiano operante nel comparto della ingegneria e della produzione di apparati —, rappresenta di aver incorporato la società GAMMA s.r.l., subentrando nella titolarità di tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo a quest’ultima.
In particolare, la società istante fa presente che la sua incorporata in data XXX 2014 ha stipulato un accordo di fornitura (denominato “Purchase Agreement”), modificato e/o integrato con successivo Addendum concluso l’XX 2016, con la DELTA s.a.s. (di seguito “DELTA”), società di diritto —– , stabilita in un Paese europeo, titolare del numero identificativo IVA XXXXXX e priva di stabile organizzazione nel territorio dello Stato italiano.
In data XXX 2016 la società incorporante, ossia la ALFA S.p.A., ha stipulato un secondo accordo di fornitura con la medesima società committente DELTA.
I due predetti accordi hanno ad oggetto la realizzazione e la fornitura di due differenti sistemi di comunicazione satellitare. La consegna dei due sistemi di comunicazione, la cui produzione è stata affidata alla società istante, avverrà, come indicato negli ordini di acquisto e conformemente a quanto prescritto nei Purchase Agreement, presso un cosiddetto “sito d’integrazione” ubicato in Italia.
Ciò considerato, le predette cessioni di beni, a parere della società interpellante, configurerebbero, sulla base delle previsioni contenute nei contratti intercorsi tra le parti, delle operazioni rilevanti domestiche e, nello specifico, delle cessioni di beni mobili nazionali da assoggettare ad imposta nel territorio dello Stato italiano, ai sensi dell’art. 7-bis del DPR n. 633 del 1972, atteso che:
– le operazioni in questione non sarebbero qualificabili come cessioni intracomunitarie non imponibili, ai sensi dell’art. 41 del Dl n. 331 del 1993, poiché nel caso di specie non s’integrerebbe la condizione normativamente prescritta del trasporto o spedizione nel territorio di altro Stato membro;
– le predette cessioni di beni mobili non costituirebbero cessioni all’esportazione, non imponibili ai sensi dell’art. 8 del DPR n. 633 del 1972, perché nella fattispecie in esame non avverrebbe, come richiesto dalla richiamata norma, né il trasporto né la spedizione dei beni fuori dal territorio dell’Unione Europea.
Conseguentemente, gli acconti dei corrispettivi pattuiti per le predette forniture, percepiti (per un ammontare complessivo di XXXX euro) rispettivamente nell’anno 2015 dalla società incorporata (G. s.r.l.) e nell’anno 2016 dalla società istante, nella veste d’incorporante, sono stati regolarmente fatturati e assoggettati ad imposta con applicazione dell’aliquota IVA ordinaria in Italia.
A tal riguardo, la società ALFA S.p.A. evidenzia che la DELTA, società committente ha presentato richiesta al competente ufficio al fine di ottenere il rimborso dell’IVA addebitata alla stessa sui predetti acconti.
In data XXXX 2018 la società DELTA, con scambio di corrispondenza, ha comunicato alla società istante la sospensione della fornitura (dei sistemi satellitari) commissionata alla stessa con i due predetti accordi; la società ALFA S.p.A. fa presente di aver contestato la suddetta sospensione.
Ciò posto, al fine di definire la situazione venutasi a creare, la società istante e la società DELTA hanno concluso:
– un accordo transattivo (denominato “Settlement Agreement”) volto a dirimere ogni reciproca pretesa riconducibile ai due preesistenti Purchase Agreements nonché a stabilire che – dopo il periodo di sospensione – ogni rapporto commerciale tra le parti risulterà dal XXX 2020 regolato da un nuovo accordo;
– un nuovo Purchase Agreement, la cui regolamentazione tecnica ed economica non è in alcun modo influenzata da quanto accaduto, diretto a regolamentare i nuovi rapporti intercorrenti dal XXX 2020.
La società istante rileva, altresì, che con il “Settlement Agreement” è stato concordato che la società committente corrisponda alla stessa la somma di XXX di euro; il predetto ammontare sarà versato a fronte della reciproca rinuncia a qualsiasi pretesa riconducibile agli intercorsi rapporti di cui ai Purchase Agreement e a copertura dei costi sostenuti e delle attività svolte dall’istante in base ai medesimi contratti fino a che non è intervenuta la sospensione degli stessi.
Nello specifico, l’allegato all’accordo transattivo reca uno schema riepilogativo delle fatture che la società istante dovrà emettere al fine di esigere il pagamento della somma di XXXX di euro; il predetto schema prevede che le somme ivi indicate debbano essere assoggettate ad imposta al pari degli acconti già fatturati.
Tanto premesso, la società istante – dopo aver evidenziato che la stessa non ha ancora incassato la somma concordata nell’accordo transattivo – chiede di sapere se la conclusione del predetto accordo produrrà effetti riguardo alla disciplina applicabile, ai fini dell’IVA, agli acconti già percepiti nonché di conoscere il trattamento da riservare, agli effetti dell’imposta, alla somma da incassare in attuazione del predetto accordo.
In sostanza, la società ALFA S.p.A. formula i seguenti due quesiti:
1. se la risoluzione transattiva dei precedenti accordi incida sull’imponibilità IVA delle somme percepite a titolo di acconti (già fatturati) del corrispettivo pattuito a fronte delle forniture, atteso che a seguito della stipula dell’accordo transattivo non si sarebbe integrata la condizione della consegna dei beni (mobili) in Italia, requisito rilevante ai fini della qualificazione dell’operazione stessa come cessione domestica, ai sensi dell’art. 7-bis del DPR n. 633 del 1972;
2. se ai fini dell’individuazione del corretto trattamento, ai fini IVA, da riservare alla somma di XXX di euro, ancora da incassare, concordata nell’accordo transattivo occorra dare rilevanza:
a) alla rinuncia reciproca delle pretesa o reclamo da parte del soggetto affidatario dell’opera e, pertanto, l’ammontare pattuito nell’accordo transattivo costituirebbe la controprestazione di un obbligazione di non fare, qualificabile come un “servizio generico” eseguito nei confronti di un soggetto passivo IVA residente in un Paese europeo, da non assoggettare ad imposta nel territorio dello Stato italiano, ai sensi dell’art. 7-ter del DPR n. 633 del 1972;
b) oppure al parametro di quantificazione della suddetta somma – individuato dai costi sostenuti ed attività svolte dalla società interpellante fino al momento di sospensione della fornitura – e, conseguentemente, il predetto ammontare, alla stregua degli acconti già incassati, sarebbe da assoggettare ad imposta con aliquota ordinaria nel territorio dello Stato italiano.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
In merito al primo quesito, in altre parole se l’accordo transattivo produca effetti sulla disciplina Iva applicabile agli acconti già incassati dalla società interpellante, la società ALFA S.p.A. richiama l’art. 6 del DPR n. 633 del 1972 che individua il momento di effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA ed, in particolare, il comma 4 del richiamato art. 6, che anticipa il predetto momento al pagamento degli acconti.
All’atto del pagamento degli acconti, momento in cui insorge l’obbligo di fatturazione in capo al soggetto ricevente, le previsioni contrattuali vigenti stabilivano che la consegna dei sistemi di comunicazione satellitare dovesse avvenire nel territorio dello Stato italiano.
Conseguentemente, gli acconti versati rappresentavano una parte del corrispettivo dovuto a fronte di una cessione di beni mobili “domestica” (in fase di costruzione) da assoggettare ad imposta in Italia.
A parere della società interpellante, la risoluzione transattiva dei due accordi di fornitura non produrrebbe effetti sulla disciplina IVA applicabile agli acconti già percepiti e fatturati.
In altri termini, l’intervenuto accordo non riqualificherebbe, sotto il profilo IVA, l’operazione economica e le somme incassate a titolo di anticipo sui corrispettivi come un mero rimborso di oneri e spese sostenute tale da configurare una prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 3 del DPR n. 633 del 1972, non soggetta ad IVA in Italia per carenza del requisito della territorialità.
In conclusione, la società istante è dell’avviso che non ricorrano i presupposti previsti, dall’art. 26, commi 2 e 3, del DPR n. 633 del 1972, per l’emissione di una nota di variazione in diminuzione.
Per quanto riguarda, invece, il quesito prospettato al n. 2), in altre parole, il trattamento applicabile, ai fini IVA, alla somma versata in esecuzione dell’accordo transattivo intercorso tra le parti, la società istante ritiene che la predetta somma sia diretta a remunerare “a saldo” l’attività svolta dalla stessa in attuazione dei contratti originari di fornitura e fino al momento in cui è intervenuta la sospensione unilaterale da parte della società committente.
A tal riguardo, la società interpellante precisa che ai fini del corretto trattamento, agli effetti dell’IVA, da riservare alla somma da versare alla stessa in base all’accordo transattivo, occorre dare maggior rilievo alla previsione contrattuale secondo cui il predetto ammontare è riconosciuto a fronte “delle attività svolte e i costi sostenuti da ALFA prima della sospensione del contratto” rispetto alla generica clausola di stile per cui “le parti rinunciano ad ogni reciproca pretesa e reclamo inerente i predetti accordi”.
In sostanza, la società istante ritiene che la somma dovuta alla stessa in attuazione dell’accordo transattivo intercorso con la società committente costituendo, ai fini dell’imposta, parte del corrispettivo dovuto per le attività svolte fino alla sospensione della commessa, debba essere, al pari degli acconti, assoggettato ad imposta nel territorio dello Stato italiano.
Parere dell’agenzia delle entrate
Riguardo al quesito di cui al n. 1) – concernente l’individuazione della corretta disciplina IVA applicabile agli acconti incassati rispettivamente, nell’anno 2015, dalla GAMMA s.r.l., società incorporata da ALFA S.p.a. e, nell’anno 2016, da quest’ultima – si fa presente, in via preliminare, che il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, di riordino della disciplina degli interpelli, all’articolo 2, comma 2, ha confermato il carattere della preventività delle istanze, di cui declina una definizione generale valevole per ciascuna tipologia di interpello.
Per effetto dell’innovata disciplina, come chiarito dalla circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, infatti, tutte le istanze di interpello, a prescindere dalla tipologia cui sono riconducibili, devono essere presentate prima della scadenza dei termini ordinari di presentazione della dichiarazione (come evidenziato espressamente nella relazione illustrativa al decreto), se dette istanze sottendono comportamenti che trovano attuazione mediante la presentazione della dichiarazione.
Per effetto di detta regola, come chiarito dalla relazione illustrativa, non assumono rilievo i termini entro cui i contribuenti possono sanare l’omissione o correggere la dichiarazione presentata, né tanto meno i termini previsti dal comma 8- bis dell’articolo 2 del DPR 322 del 1998 (come nel tipico caso delle istanze relative alle imposte sui redditi).
Si rileva, altresì, che il riferimento alla dichiarazione come momento rilevante ai fini dell’attuazione del comportamento vale tanto per le istanze relative alle imposte sui redditi quanto per le istanze relative all’IVA in quanto – ancorché detto tributo si caratterizzi per l’effettuazione di una serie di adempimenti preliminari rispetto alla dichiarazione – è comunque con la presentazione di quest’ultima che il contribuente dà definitiva attuazione al proprio comportamento.
Nel caso di specie, si osserva che le dichiarazioni IVA nelle quali la società interpellante avrebbe dovuto dare attuazione al comportamento rilevante ai fini fiscali sono quelle riguardanti i periodi d’imposta 2015 e 2016, anni nei quali sono stati percepiti e fatturati gli acconti, i cui termini ordinari di presentazioni sono ormai decorsi.
Per quanto sopra rappresentato, si ritiene che il quesito di cui al n. 1) prospettato nell’istanza di interpello difetti del requisito della preventività, come precisato dalla circolare n. 9/E del 2016, con la conseguenza che lo stesso deve ritenersi inammissibile e, pertanto, allo stesso non è possibile fornire alcun riscontro.
Con riferimento, invece, al quesito di cui al n. 2) – avente a oggetto il trattamento, agli effetti dell’IVA, da applicare alla somma che la società committente dovrà versare alla società istante in esecuzione dell’accordo transattivo concluso tra i predetti soggetti – occorre, in primo luogo, indagare sulla “funzione economica” delle suddette somme ed, in particolare, verificare:
– se le stesse costituiscano l’effettivo corrispettivo di una cessione di beni e/o servizio fornito nell’ambito di un rapporto giuridico caratterizzato da prestazioni sinallagmatiche, condizione sintomatica della sussistenza di nesso diretto tra la cessione di beni e/o il servizio reso e il controvalore ricevuto (in tal senso, sentenze 8 marzo 1988, causa 0102/86, causa C-16/93, causa C-174/00, causa C-210/04);
– ovvero se le stesse siano versate a titolo di liberalità oppure abbiano natura meramente risarcitoria.
Con riguardo alla nozione di prestazione di servizi, per quanto interessa ai fini del quesito oggetto d’interpello, si evidenzia che l’art. 24, comma 1, della Direttiva n. 112 del 2006 stabilisce che “si considera prestazione di servizi ogni operazione che non costituisce una cessione di beni”.
Il successivo articolo 25, comma 1, della richiamata Direttiva n. 112 del 2006 prevede, altresì, che “una prestazione di servizi può consistere, tra l’altro, in una delle operazioni seguenti: (…)
b) l’obbligo di non fare o di permettere un atto o una situazione (…)”.
Il predetto articolo 25, comma 1, è stato trasfuso nell’ordinamento domestico nell’art. 3, comma 1 del DPR n. 633 del 1972, che qualifica come prestazioni di servizi, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti (…) in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
In proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato in più occasioni che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso» e, pertanto, configura un’operazione imponibile solo quando tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, causa C-270/09).
L’indirizzo espresso dai giudici comunitari è stato accolto dalla giurisprudenza di legittimità che, da ultimo con sentenza n. 23668 datata 1° ottobre 2018, ha schematizzato i caratteri distintivi della prestazione di servizi ovvero:
– la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano le attribuzioni patrimoniali;
– la reciprocità delle attribuzioni, data dalla sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da costui corrisposto (Cassazione sentenza del 9 giugno 2017, n. 14406 e, da ultimo, Corte Giustizia sentenza del 22 febbraio 2018, causa C-182/17).
Con la sentenza n. 20233 del 2018 la Corte di Cassazione ha, altresì, statuito che “la prestazione di servizi – pure in prospettiva unionale – è un’operazione soggetta a Iva anche quando la stessa si risolve in un semplice non fare o come nel nostro caso in un permettere e purché si collochi all’interno di un rapporto sinallagmatico”.
Con riferimento alla fattispecie rappresentata nell’istanza di interpello, si evidenzia che la società istante, al fine di ridefinire gli assetti negoziali scaturenti da due precedenti accordi a seguito della sospensione della fornitura disposta dalla società committente, ha concluso con quest’ultima (in data XXX 2020) un accordo transattivo che prevede la corresponsione a favore della società ALFA S.p.a. di una somma di denaro di ammontare pari a XXX di euro.
Detto accordo transattivo stabilisce, infatti, che “e”(conforme alla traduzione fornita dalla parte in sede di presentazione della documentazione integrativa).
Dalla disamina della predetta pattuizione negoziale emerge che la somma di XXX di euro è corrisposta a fronte dell’impegno assunto da ALFA S.p.a., nell’ambito di un rapporto giuridico intercorrente con DELTA, di rinunciare all’esercizio di qualsiasi richiesta e/o pretesa nei confronti della società committente a seguito della risoluzione dei contratti di fornitura disposta ad opera di quest’ultima.
Detta circostanza consente, quindi, di qualificare la somma dovuta -il cui ammontare è parametrato in base alle attività svolte e alla copertura dei costi sostenuti dalla società istante fino alla data di sospensione dei contratti di fornitura – come il corrispettivo previsto per l’assunzione di un obbligo di non fare/permettere posto a carico della società istante, inquadrabile quest’ultimo tra i “servizi generici” eseguiti nei confronti di un soggetto passivo IVA residente in un Paese europeo escluso da imposizione nel territorio dello Stato italiano, ai sensi dell’art. 7-ter del DPR n. 633 del 1972.
(cfr. risposta n. 145 pubblicata il 3 marzo 2021)
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