Corte di Cassazione sentenza n. 10273 depositata il 31 marzo 2022
notifica – dies a quo – accise
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, accoglieva l’appello proposto dall’ Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, avverso la sentenza n. 199/3/13 della Commissione tributaria provinciale di Pescara che aveva accolto il ricorso di Abruzzo Vini srl contro l’avviso di pagamento per accise su prodotti alcolici.
La CTR osservava in particolare che il denunciato furto dei prodotti de quibus non poteva considerarsi causa di estinzione dell’obbligazione di pagamento della relativa accisa ( c.d. “abbuono”) gravante sulla società contribuente quale depositaria fiscale e quindi garante rispetto alla irregolare immissione in consumo dei prodotti medesimi, non essendo detto fatto illecito di terzi equiparabile ad una “perdita” ovvero “distruzione”.
Avverso tale decisione ha proposrn ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un mctivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va disattesa l’eccezione proposta dalla controricorrente di inammissibilità, per tardività, del ricorso.
Risulta infatti che la sentenza impugnata è stata notificata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli alla Abruzzo Vini srl a mezzo del servizio postale ex art. 38,. d.lgs 546/1992 e che tuttavia l’agente postale ha eseguito la notifica con applicazione della legge 890/1982, quindi, avendo consegnato il plico raccomandato non direttamente al difensore domiciliatario avv. Pasquale Di Cieco, ma ad un famigliare convivente, ai sensi dell’art. 7 di detta legge ha inviato lettera raccomandata “semplice” all’avv. Di Cieco con avviso dell’avvenuta notifica (c.d. CAN).
Orbene, dall’avviso di ricevimento agli atti emerge che il primo adempimento è stato eseguito il 26 giugno 2014, mentre la spedizione della CAN è avvenuta il 30 qiugno 2014.
Questa seconda data va individuata quale dies a quo di decorrenza del termine (“breve”) dei 60 giorni per proporre l’impugnazione de qua, ritenendosi di dare seguito al principio di diritto secondo il quale «La notificazione a mezzo posta eseguita mediante consegna dell’atto a persona diversa dal suo destinatario si perfeziona, dopo l’entrata in vigore del comma 6 dell’art. 7 della l. 890 del 1982 (introdotto dall’art. 36, comma 2-quater, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla l. n. 31 del 2008), con la spedizione, al destinatario medesimo, della lettera raccomandata con cui l’agente postale lo informa dell’avvenuto recapito dell’atto al terzo estraneo, pur abilitato a riceverle» (Sez. 2, Sentenza n. 19730 del 03/10/2016, Rv. 641721 – 01).
Ne consegue che, tenuto conto della sospensione feriale dei termini processuali ratione temporis di giorni 46, scadendo il termine per impugnare il 1, ottobre 2:014, la proposizione del ricorso in data 13 ottobre 2014 deve considerarsi tempestiva e dunque, sotto questo preliminare aspetto, il ricorso medesimo va affermato ammissibile.
Ciò posto, con l’unico motivo dedotto -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 4, d.lgs. 504/1995, 22 ter, legge 891/1980, poiché la CTR ha negato che il furto dei xodotti sottoposti ad accisa (in regime sospensivo) natura esimente dell’obbligo fiscale di cui all’atto impositivo impugnato.
La censura è infondata.
Emerge dal controricorso che l’atto impositivo impugnato concerne una ripresa fiscale per accise su prodotti alcolici il cui furto è stato denunciato dalla società contribuente in data 16 dicembre 2011, come avvenuto nella notte tra I’1 ed il 2 dicembre 2011.
Ne deriva che, come osservato dal PG ed è peraltro pacifico, alla controversia risulta applicabile la versione dell’art. 4, d.lgs. 504/1995, vigente dall’l aprile 2010, c1e, nella parte di interesse, prevede « 1. In caso di perdita irrimedibile o distruzione totale di prodotti che si trovano in regime sospensivo, e’ concesso l’abbuono della relativa imposta qualora il soggetto obbligato provi, in un modo ritenuto soddisfacente dall’Amministrazione finanziaria, che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Fatta eccezione per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a titolo di colpa non grave, a terzi o allo stesso soggetto passivo, sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore» «5. Ai fini del presente testo unico si considera che un prodotto abbia subito una distruzione totale o una perdita irrimediabile quando risulta inutilizzabile come prodotto sottoposto ad accisa».
Tale disposizione legislativa risulta essere una fedele attuazione dell’art. 7, comma 4, della Direttiva 2008/118/CE, il cui tenore è sostanzialmente identico.
Tali norme interne ed unionali maggiormente suffragano la giurisprudenza più recente di questa Corte, secondo la quale il furto del prodotto ad opera di terzi e senza coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo di per sé non esime dal pagamento dell’imposta, che resta abbuonata solo nell’ipotesi – la prova deve essere fornita dall’obbligato- di dispersione o distruzione del prodotto (Cass. nn. 25990/13; 27825/13; 28377/13; 6398/14; 16966/16; 4453/20).
Il presupposto dell’imposizione nel caso delle accise è infatti l’immissione in consumo, la quale evidenzia la capacità contributiva dei fabbricanti o degli importatori (vedi, da ultimo, Cass. n. 10684/20).
Sicché, si è argomentato, solo nel caso della distruzione o della dispersione l’immissione in consumo resta impedita, mentre la sottrazione determina soltanto il veni,- meno della disponibilità del bene da parte del soggetto per effetto clello spossessamento, ma non ne impedisce l’ingresso nel circuito commerciale.
Si è, peraltro, sviluppato nella giurisprudenza di questa Corte un altro orientamento, secondo il quale la novella dell’art. 4 del d.lgs. 504/95 va esaminata in combinazione con l’art. 1 lett. g), del medesimo testo unico.
Orbene, l’art. 1, lett. g), nel definire come regime sospensivo il regime fiscale applicabile alla fabbricazione, alla trasformazione, alla detenzione ed alla circolazione dei prodotti soggetti ad accisa fino al momento dell’esigibilità dell’accisa, o del verificarsi di una causa estintiva del debito d’imposta, àncora il momento dell’esigibilità, alternativamente, all’immissione in consumo oppure al verificarsi di una causa estintiva.
Le ipotesi contemplate dall’art. 4 del d.lgs. n. 504/95, compreso il furto, costituirebbero dunque cause ci estinzione dell’obbligazione: il termine abbuono dell’imposta è difatti del tutto equivalente all’espressione estinzione dell’obbligazione tributaria, al netto dell’a tecnicità della formulazione normativa.
Coerentemente, d’altronde, a norma dell’art. 2, comma 2, lettera a) del testo unico in questione, nei casi di ammanco previsti dall’art. 4 -e alle condizioni da tale norma fissate- non si ha immissione in consumo, il che implica la non esigibilità definitiva dell’imposta e quindi l’estinzione della relativa
Per conseguenza, si è sottolineato, il comma 2 dell’art. 2 contempla casi di assimilazione all’immissione in consumo, che si traducono in fictiones iuris dell’immissione in consumo, utili a rendere esigibili le accise, e casi di estinzione dell’obbligazione nonostante l’immissione in consumo, come avverrebbe, appunto, per l’ipotesi del furto (v. Cass. nn. 24912 e 24913/13).
Nello stesso senso sostanzialmente si colloca l’indirizzo in base al quale il soggetto obbligato, per poter ottenere l’abbuono dell’imposta, in conseguenza di un reato commesso da terzi, non si può limitare, anche nel testo modifìcato dall’art. 59 della l. n. 342/00, a dimostrare che l’evento è stato determinato da un fatto umano ascrivibile a terzi, ma è tenuto a provare di non aver concorso con dolo o di non aver cooperato con colpa al suo verificarsi; ipotesi, quest’ultima, che si verifica quando, senza il comportamento gravemente colposo dell’obbligato, il reato non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in modo diverso (v. Cass. nn. 9787/10 e n. 9279/13).
La lettura dell’art. 4 del d.lgs. n. 504/95 in base a questo secondo orientamento ha risentito dell’evoluzione della nozione del fortuito e della progressiva identificazione del caso fortuito e della forza maggiore con la causa non imputabile.
Per conseguenza, si è evidenziato, chi esercita una qualsiasi attività professionale deve adottare le cautele ad essa consone, in quanto conosce o può conoscere i rischi tipici della sua sfera professionale, di modo che deve porre n essere i mezzi idonei alla loro eliminazione.
Ciò non implica, tuttavia, una sua indiscriminata responsabilità per ogni rischio.
La causa estranea si riconduce così alla causa non imputabile; e la causa non imputabile viene ad abbracciare le due nozioni di caso fortuito e di forza maggiore: causa nor imputabile è l’evento di cui il debitore non deve rispondere; fortuito è lo specifico, tipico evento liberatorio estraneo alla sfera di attività delle parti (coerente, nella giurisprudenza civile, Cass. n. 11526/ 17, che, finanche in tema di responsabilità ex art. 2051 e.e., punta sull’obbligo, incombente sul danneggiato, di tenere un comportame1to di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza); la forza maggiore non si limita all’impossibilità assoluta, ma si estende a condotte non ascrivibili, direttamente o indirettamente, al soggetto obbligato, che si sia attivato con l’adozione di tutte le precauzioni del caso (cfr. Cass., sez. un., n. 8094/20, con riguardo al mutamento della maggioranza del consiglio cornu nale e al rifiuto della nuova amministrazione di dare seguito alla convenzione di lottizzazione stipulata dalla precedente amministrazione).
Questa ricostruzione, tuttavia, pe. quanto coerente con le categorie dell’ordinamento interno, è stata in realtà superata dalla giurisprudenza unionale più recente.
La Corte di giustizia, con riguardo alla direttiva n. 92/12, ha difatti stabilito che la responsabilità del depositario autorizzato è proprio «di tipo oggettivo e si basa non già sulla colpa dimostrata o presunta del depositario, bensì sulla sua partecipazione a un’attività economica …» (Corte giust. 24 febbraio 2021, causa C-95/19, Soc. Si/campa, punto 52).
Difatti, ha argomentato quella Corte, il legislatore dell’Unione ha conferito un ruolo centrale al depositario autorizzato (v ., in tal senso, Corte giust. 2 giugno 2016, causa C-81/15, Kapnoviomichania Karelia, punti 31 e 32), in virtù del quale il regime di responsabilità nell’ambito della procedura di circolazione dei prodotti soggetti ad accisa e sottoposti a un regime sospensivo si traduce in un regime di responsabilitò per tutti i rischi inerenti a tale circolazione.
Soltanto in relazione a responsabilità diverse da quella concernente il pagamento dei diritti di accisa, il depositario autorizzato può sottrarvisi provando di aver adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a essere partecipe di un’evasione fiscale: è in questo caso, estraneo e ulteriore all’ipotesi di responsabilità per il pagamento di diritti di accisa, che la giurisprudenza unionale (Corte giust. in causa C-81/15, cit., a proposito di sanzioni scaturenti da attività di contrabbando) ha disposto che occorre considerare che detta responsabilità aggravata del depositario autorizzato implica che costui possa essere dichiarato responsabile in solido per il pagamento delle somme corrispondenti alle sanzioni pecuniarie inflitte, anche se l’atto di contrabbando è stato commesso da persone con cui egli non ha scelto di collaborare e che essa dà origine, de facto, ad un sistema di responsabilità solidale oggettiva, che deve essere considerata come sproporzionata.
È in questa cornice, quindi, che va inquadrata la nozione di forza maggiore che la Corte di giustizia (con la sentenza 18 dicembre 2007, causa C-314/06, Société Pipe/ir,e Méditerranée et Rh6ne (SPMR)) riferisce a circostanze estranee al depositario autorizzato, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso da parte sua, che possono anche oggettivamente sfuggire al suo controllo o situarsi al di fuori del suo ambito di responsabilità.
In ambito contiguo, d’altronde, anche con riguardo ai bolli fiscali, si è stabilito che né la direttiva del Consiglio n. 92/12/CEE, né il principio di proporzionalità ostano a che gli Stati membri adottino una normativa che non preveda la restituzione dell’importo dei diritti di accisa versati, qualora i bolli fiscali siano scomparsi prima di essere stati apposti sui prodotti del tabacco, se tale scomparsa non è imputabile a una causa di forza maggiore o a un caso fortuito e se non è accertato che i bolli siano stati distrutti o resi definitivamente inutilizzabili, facendo così gravare la responsabilità finanziaria della perdita di bolli fiscali sul loro acquirente (Corte giust. 15 giugno 2006, causa C-494/04, Heintz van Landewijck SARL).
E questa Corte, in applicazione di tale giurisprudenza, ha specificato che, in caso di sottrazione dei contrassegni fiscali prima della loro apposizione sui prodotti (nella specie alcolici) soggetti a tassazione, non è configurabile l’immissione in consumo, con conseguente inesigibilità dell’imposta,, trattandosi di beni che ancora commercializzabili e, quindi, potendo ancora sorgere il presupposto impositivo. Sicché ai fini dell’inesigbilità dell’imposta non è sufficiente provare la sola sottrazione d2i contrassegni fiscali prima della loro apposizione sui prodotti soggetti a tassazione, dovendosi provare altresì l’avvenuta distruzione degli stessi oppure la loro definitiva inutilizzabilità e, quindi, l’impossibilità del loro utilizzo (Cass. nn. 420/20; n. 15975/21).
Il legislatore dell’Unione ha quindi progressivamente affinato un quadro sistematico coerente 1 al centro del quale campeggia la responsabilità del detentore dei beni soggetti ad accisa.
Sicché dapprima la giurisprudenza della Corte di giustizia ha definito portata e obblighi dei debitori dell’accisa in relazione alla direttiva n. 92/12/CE e, poi, il leqislatore ha provveduto ad esplicitarli.
Così, l’art. 8, paragrafo 1, letlt. b), e l’art. 33, par. 3, della direttiva n. 2008/118, pur non contenendo alcuna definizione espressa della nozione di «detenzione», non richiedono che il detentore sia titolare di un diritto o abbia un qualsivoglia interesse sui prodotti da essa detenuti r.é che sia consapevole o avrebbe dovuto ragionevolmente essere consapevole dell’esigibilità dell’accisa. Per conseguenza, ha stabilito la Corte di giustizia, l’art. 33, par. 3, deve essere interpretato nel senso che una persona che trasporta, per conto di terzi, prodotti sattoposti ad accisa in un altro Stato membro e che è in possesso materiale di tali prodotti nel momento in cui le relative accise sono divenute esigibili, è debitrice di tali accise, ai sensi di tale disposizic,ne, anche se non ha alcun diritto o interesse su detti prodotti e nn è a conoscenza del fatto che questi ultimi siano sottoposti ad accisa o, essendolo, non è consapevole che le relative accise siano divenute esigibili (Corte giust. 10 giugno 2021, causa C-279/19, WR).
E, da ultimo, la direttiva n. 2020/262, premesso, col considerando 7, che «Poiché l’accisa è un’imposta gravante sul consumo di prodotti, essa non dovrebbe essere riscossa relativamente a prodotti sottoposti :1d accisa che, in talune circostanze, siano stati totalmente distrutti o siano irrimediabilmente perduti», ha definitivamente chiarito (art. 6, par. 5 e 6) che «5. La distruzione totale o la perdita irrimediabile, totale o parziale, dei prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall’accisa per un caso fortuito o per causa di forza maggiore, o in seguito all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro di distruggere i prodotti, non è considerata immissione in consumo», e che «6. Ai fini della presente direttiva, si considera che i prodotti hanno subito una distruzione totale o una perdita irrimediabile quando sono inutilizzabili come prodotti sottoposti ad accisa».
Nel caso in esame, allora, la norma interna va comunque interpretata in modo conforme a qu ella unionale, che risponde, si è visto, a un quadro sistematico coerente; il che conduce ad escludere che di per sé il furto esoneri il soggetto passivo dal pagamento dei diritti di accisa, anche se questi risulti dei tutto estraneo alla condotta dei terzi, qualora non abbia determiato la distruzione o la perdita irrimediabile dei prodotti.
Una tale interpretazione non si pone, d’altronde, in frizione col principio di uguaglianza stabilito dall’ar t. 3 Cost., né con quello di capacità contributiva fissato dall’art. 53 Cost.
La Corte costituzionale, difatti, ha già avuto occasione di escludere, con riguardo all’art. 37, lt. u. 23 gennaio 1973, n. 43, interpretato autenticamente dall’art. 23 ter del d. l. 31 ottobre 1980, 693 convertito con l. 22 dicembre 1980, n. 891, la violazione dell’art. 3 cost., nella parte in cui dispone che l’obbligazione tributaria doganale è esclusa solo nel caso di perdita della merce, da intendere come dispersione e non come sottrazione della disponibilità della cosa e, quanto al principio di capacità contributiva, ha rimarcato che la capacità contributiva consiste nell’idoneità ad eseguire la prestazione coattivamente imposta, correlata non già alla concreta capacità del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è collegata.
Sicché quando tale presupposto sussista e sia, come nella specie, non irragionevolmente definito dal legislatore, l’imposizione della prestazione tributaria è certamente legittima, e gli accadimenti successivi non sono idonei, salvo diversa disposizione di legge, ad escluderne la sussistenza.
Conseguentemente risulta del tutto irrilevante che in concreto il contribuente consegua o no l’utilità spereita, restando inalterato, per quanto si è detto, il rapporto tributario.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater clel d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti prncessuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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