CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 283 depositata il 4 gennaio 2024
Lavoro – Pagamento differenze retributive – TFR – Rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Valutazione risultanze istruttorie – Prova testimoniale – Principio di non contestazione – Valutazioni del giudice del merito – Inammissibilità
Rilevato che
1. con sentenza 21 gennaio 2022, la Corte d’appello di Catanzaro ha accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro tra U.D.S. e A.F. dall’1 maggio 2004 al 31 dicembre 2005 e condannato il primo al pagamento, in favore della seconda a titolo di differenze retributive (per il detto primo periodo lavorativo, pari a € 19.218,66) e T.f.r. (per esso pari a € 1.933,99 e per gli altri periodi successivi pari a € 1.443,45), della complessiva somma di € 22.596,00: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato integralmente la domanda della lavoratrice (segretaria di IV livello del CCNL degli Studi Professionali) di condanna del proprio datore (titolare di studio medico) al pagamento della complessiva somma di € 157.446,22, ai detti titoli oltre che di indennità di ferie non godute;
2. in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie, essa ha accertato l’esistenza del suindicato rapporto di lavoro a tempo indeterminato e liquidato, in base ai conteggi prodotti dalla lavoratrice non specificamente contestati, le differenze retributive spettanti al netto degli importi percepiti e così pure il relativo T.f.r., anche riguardante i successivi periodi di lavoro formalizzato (dal 2 luglio 2007 al 30 settembre 2008 a tempo indeterminato parziale orizzontale per 20 ore settimanali; dal 4 agosto al 25 settembre 2009 a tempo determinato; dal 3 aprile 2014 al 5 giugno 2015 a tempo indeterminato parziale misto per 10 ore settimanali), che il datore non ha dimostrato di avere corrisposto.
Essa ha invece escluso la prova del maggiore orario lavorativo prestato in tali periodi;
3. con atto notificato il 5 luglio 2022, il datore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi; la lavoratrice intimata non ha svolto attività difensiva;
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. il ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’erronea ed insufficiente valutazione nonché all’arbitrario apprezzamento da parte della Corte territoriale delle risultanze probatorie, per l’inattendibilità delle dichiarazioni, tra loro pure contraddittorie, dei testi assunti a base del ragionamento decisorio e la mancata considerazione di quelli indotti dal datore ricorrente, in violazione del principio di prudente apprezzamento prescritto dall’art. 116 c.p.c., nonché nullità della sentenza in violazione dell’art. 132 c.p.c., per assenza di motivazione e contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili per le suddette ragioni (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la propria piena contestazione della “regolare retribuzione dell’attività” prestata dalla lavoratrice nei periodi di rapporto formalizzato suindicati, avendo invece la Corte territoriale ritenuto “specificamente non contestati da controparte” i conteggi dalla medesima allegati al ricorso introduttivo, relativi al T.f.r. maturato in tali periodi, per non averne egli provato la corresponsione e nullità della sentenza in violazione dell’art. 132 c.p.c., per motivazione apparente, o perplessa e incomprensibile, non essendo state acquisite dichiarazioni testimoniali sulle mansioni effettive né sull’entità oraria di prestazioni della lavoratrice, riverberanti effetti sulla “totale inconsistenza dei conteggi” (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., per mancanza di prova, alla luce delle scrutinate dichiarazioni testimoniali, di un rapporto di subordinazione della lavoratrice, non avendone i testi riferito né le mansioni svolte, né la soggezione al proprio potere direttivo (terzo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
3. non si configura l’omesso esame di un fatto storico, inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., avendo le circostanze dedotte una tale natura, piuttosto consistendo in una contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie, pertanto inammissibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053);
4. né il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove può essere denunciato alla stregua di error in procedendo, ricorrendo l’ipotesi di nullità della sentenza, a norma dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. unicamente in caso di anomalia motivazionale, che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Cass. 26 settembre 2018, n. 23153);
4.1. inoltre, è noto che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, così come il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri e pure la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgano apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito: il quale, nel fondare la propria decisione su una fonte di prova escludendone altre, non incontra altro limite che quello di rendere conto delle ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi disattesi implicitamente tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non specificamente menzionati, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 24 luglio 2007, n. 16346; Cass. 23 marzo 2023, n. 8375). E che l’attribuzione di “peso probatorio” ad alcune testimonianze rispetto ad altre, in base alla quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo, è insindacabile, in sede di legittimità (Cass. 10 giugno 2014, n. 13504; Cass. 8 agosto 2019, n. 21187; Cass. 17 maggio 2023, n. 13518);
4.2. neppure si configura una pertinente denuncia di violazione dall’art. 116 c.p.c., ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il proprio “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure quello che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento; quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice abbia soltanto male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016; Cass. 17 maggio 2023, n. 13518);
5. non sussiste nemmeno la denunciata violazione di norma di diritto, difettandone gli appropriati requisiti di deduzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851; Cass. 19 ottobre 2023, n. 29062), in riferimento specifico all’art. 2094 c.c., avendo la Corte territoriale esattamente applicato i principi in materia di accertamento del rapporto di lavoro subordinato, in base essenzialmente al fondamentale vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728; Cass. 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. 31 maggio 2017, n. 13816; Cass. 29 maggio 2018, n. 13478).
Nel caso di specie, esse sono state individuate nella qualità, accertata dalla Corte territoriale anche per il primo periodo lavorato di fatto senza formalizzazione alcuna, della mansione di inquadramento dei periodi di lavoro regolarizzati (segretaria di IV livello del CCNL degli Studi Professionali), che presuppone, nella sua essenza costitutiva, la subordinazione alle direttive e al controllo del professionista autonomo (nel caso di specie: medico privato), sotto il cui potere l’attività è stata ordinariamente svolta;
6. pertanto, le censure si risolvono nella sostanza in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 13 febbraio 2023, n. 4316), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione (in particolare al secondo, terzo e penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza);
6.1. deve allora essere escluso in radice alcun vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost., individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà”, di “motivazione perplessa od incomprensibile” e appunto di “motivazione apparente”, che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza: Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. 16 aprile 2019, n. 10573), ricorrente quando essa, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, così da non consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. 23 maggio 2019, n. 13977; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758).
E ciò anche in riferimento alla supposta “totale inconsistenza dei conteggi” allegati dalla lavoratrice al ricorso introduttivo, avendone la Corte territoriale ritenuto correttamente la non specifica contestazione da controparte (ai primi due alinea del terz’ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza), alla luce della vaga affermazione datoriale dell’essere l’“attività” della lavoratrice “stata regolarmente retribuita” (così agli ultimi due alinea del primo capoverso di pg. 12 del ricorso): in applicazione del principio di “non contestazione”, che esige dalla parte convenuta una presa di posizione, chiara ed analitica, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, non essendo sufficiente che essa si sia limitata, nella comparsa di costituzione e risposta, ad una contestazione non chiara né specifica (Cass. 6 ottobre 2015, n. 19896; Cass. 26 novembre 2020, n. 26908; Cass. 23 marzo 2022, n. 9439). E l’apprezzamento della sua ricorrenza è di esclusiva spettanza del giudice del merito, nell’ambito del giudizio di fatto riservatogli, in ordine all’esistenza e al valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490; Cass. 12 maggio 2020, n. 8801);
7. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo la lavoratrice intimata svolto attività difensiva e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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