La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 7096 depositata il 15 marzo 2024, intervenendo in tema dei presupposti per l’accertamento induttivo, ha ribadito che “… l’inattendibilità della contabilità aziendale, e quindi l’accertamento induttivo, possono essere fondati su documentazione reperita presso terzi e su annotazioni elaborate da terzi (Cass. 28 giugno 2017, n. 16060; 30 agosto 2016, n. 17420). …”

La vicenda ha riguardato una ditta individuale a cui, l’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifiche fiscali, in cui furono acquisite documentazione extra-contabile presso altro contribuente, aveva notificato un avviso di accertamento per ognuno dei 5 periodi di imposta verificati. In tali avvisi di accertamento si contestavano una serie di operazioni imponibili non fatturate. I maggiori ricavi venivano determinati applicando il ricarico medio della categoria di appartenenza del 40% sul totale degli acquisti non fatturati. Avverso tali atti impositivi il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (attualmente Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di prime cure rigettavano il ricorso del contribuente. Interposto gravame dal contribuente, i giudici di appello accoglievano parzialmente il ricorso, rideterminando il maggior reddito accertato previa applicazione di un ricarico del 15% (anziché del 40%), e compensando le spese. Avverso la decisione di appello, veniva proposto dal contribuente ricorso in cassazione fondato su due motivi.
 

I giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso del contribuente, hanno ricordato che il “… governo delle regole su cui si fonda la prova presuntiva, anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché, se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass. 26 gennaio 2007 n. 1715; Cass. 5 maggio 2017, n. 10973; Cass. 12 ottobre 2022, n. 29802).

La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), anche se preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. 16 maggio 2017, n. 12002; Cass. 2 marzo 2017, n. 5374; Cass. 12 aprile 2018, n. 9059). …”

Gli Ermellini, inoltre, hanno riaffermato che “… in tema di accertamento delle imposte sui redditi, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza ai fini della formazione del proprio convincimento e la “contabilità in nero”, costituita da documenti informatici (files), costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, legittimamente valutabile in relazione all’esistenza delle operazioni non contabilizzate (Cass. 3 ottobre 2010, n. 20902).

L’Amministrazione può inoltre fornire elementi, anche indiziari, da cui sia possibile dedurre, con ragionevole consequenzialità, che i documenti elaborati dal contribuente non siano veritieri, quali, nel caso di specie, l’esistenza di diverse operazioni regolarmente annotate tra il terzo ed il contribuente, rilevate sulla base dell’analitico raffronto tra le relative scritture contabili, ed il fatto che la documentazione extracontabile riportasse il nominativo, la data di consegna, la quantità e la descrizione dei prodotti, oltre agli importi relativi alle diverse operazioni. …”

Il Supremo consesso ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i “… documenti informatici, rinvenuti presso un terzo, non possono essere ritenuti dal giudice, in sé, probatoriamente irrilevanti, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni che da essi discendono e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità del contribuente. …”