Corte di Cassazione, sezione Tributaria, ordinanza n. 7096 depositata il 15 marzo 2024
accertamento induttivo – documenti reperiti presso terzi
– Rilevato che:
1. La ditta individuale F.G., avente ad oggetto l’attività di vendita all’ingrosso ed al dettaglio di materiale edile, veniva sottoposta a controllo dalla Guardia di Finanza – Tenenza di Massa Lubrense, a seguito di una verifica fiscale nei confronti di altra ditta individuale, della quale era titolare tale C.A..
In seno a tale ultima verifica, i militari della G.d.F. acquisivano documentazione extra-contabile (in particolare, files informatici e cartelle) relativa a rapporti intrattenuti tra la ditta C.A. ed i propri clienti, tra i quali la ditta F.G..
La G.d.F. procedeva quindi a verifica fiscale nei confronti della ditta F.G. per i periodi d’imposta dal 2005 al 2009; tale verifica si concludeva con processo verbale di constatazione in data 2 dicembre 2010 che, per ciascuno degli anni d’imposta considerati, rilevava una serie di operazioni imponibili non fatturate.
Con particolare riferimento all’anno d’imposta 2009, dal raffronto tra i dati rinvenuti e quelli dichiarati, i verbalizzanti rilevavano un ammontare di acquisti non fatturati da parte della ditta F.G. nei confronti della ditta C.A., per l’importo complessivo di € 113.326,00, pari alla differenza tra il valore degli acquisti desunto dalla documentazione extra- contabile, pari ad € 126.888,00, ed il valore degli acquisti risultanti dalle fatture emesse dalla ditta F.G., pari ad e 22.665,00.
L’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale II di Napoli, pertanto, in base ai rilievi contenuti nel p.v.c., considerato il ricarico medio della categoria di appartenenza del 40%, applicando tale ricarico al totale degli acquisti non fatturati, accertava in capo alla ditta F.G. ricavi non dichiarati per € 158.656,00.
Con avviso di accertamento n. TF501AL05043/2013, notificato il 29 ottobre 2013, l’Ufficio quindi procedeva ad accertare un maggior reddito d’impresa di € 45.330,00, rideterminando quindi le maggiori imposte dovute ai fini IRPEF, IVA ed IRAP, ed irrogando le relative sanzioni; con separato atto di contestazione n. TF5COAL05982/2013, notificato sempre il 29 ottobre 2013, l’Ufficio recuperava altresì l’IVA sugli acquisiti di beni senza fattura, per € 22.665,00, oltre interessi e sanzioni.
2. Avverso tali avviso di accertamento e atto di contestazione F.G. proponeva separati ricorsi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli la quale, previa riunione degli stessi, con sentenza n. 10083/28/2014, depositata il 18 aprile 2014, lo rigettava, compensando le spese di lite.
3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 8427/52/2015, pronunciata il 10 giugno 2015 e depositata in segreteria il 24 settembre 2015, accoglieva parzialmente l’appello, rideterminando il maggior reddito accertato previa applicazione di un ricarico del 15% (anziché del 40%), e compensando le spese.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione F.G., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, la quale propone altresì ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.
5. La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 28 novembre 2023, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
1. Il ricorso principale, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso F.G. eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce il ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva riconosciuto valenza probatoria ad un file excel rinvenuto presso un soggetto terzo, le cui risultanze erano state estese ed utilizzate nei confronti della ditta F.G., senza che ad essa fosse stata contestata l’inattendibilità di scritture contabili regolarmente conservate, e senza che vi fossero adeguati riscontri.
1.2. Con secondo motivo di ricorso si deduce ulteriore violazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., per avere la C.T.R. applicato immotivatamente una percentuale di ricarico (del 15%), anziché annullare integralmente l’atto impositivo.
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, invece, l’Agenzia delle Entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, l’Ufficio che la C.T.R. aveva apoditticamente ridotto la percentuale di ricarico applicata dal 40% al 15%, senza tenere conto del fatto che la percentuale del 40% era stata determinata utilizzando il parametro oggettivo del ricarico medio per categoria di appartenenza, rispetto al quale era onere del contribuente fornire la prova contraria circa l’applicabilità di una diversa percentuale.
3. Così riassunti i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
3.1. Con riferimento al ricorso principale, i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono infondati.
Il contribuente censura la sentenza impugnata, per avere ritenuto utilizzabile materiale probatorio (costituito essenzialmente da files informatici) acquisiti presso terzi (la ditta C.A.), e per avere applicato immotivatamente una percentuale di ricarico, senza avere utilizzato il criterio della media ponderata.
Sul punto, deve innanzitutto rammentarsi che, quanto al governo delle regole su cui si fonda la prova presuntiva, anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché, se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass. 26 gennaio 2007 n. 1715; Cass. 5 maggio 2017, n. 10973; Cass. 12 ottobre 2022, n. 29802).
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), anche se preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. 16 maggio 2017, n. 12002; Cass. 2 marzo 2017, n. 5374; Cass. 12 aprile 2018, n. 9059). Orbene, ciò posto, deve rilevarsi che la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che la natura “informatica” della documentazione rinvenuta presso terzi non privasse di contenuto la presunzione applicata, posto che la rilevanza della contabilità “in nero” ai fini fiscali e dell’accertamento induttivo di cui all’art. 39 d.P.R. n. 600/1973 è totalmente sganciata da qualunque formalità connessa alle modalità con le quali è tenuta, richiedendosi unicamente che dalla medesima emergano, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero emerga la situazione patrimoniale dell’imprenditore.
Peraltro, come questa Corte ha già affermato, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza ai fini della formazione del proprio convincimento e la “contabilità in nero”, costituita da documenti informatici (files), costituisce elemento probatorio, sia pure meramente presuntivo, legittimamente valutabile in relazione all’esistenza delle operazioni non contabilizzate (Cass. 3 ottobre 2010, n. 20902).
L’Amministrazione può inoltre fornire elementi, anche indiziari, da cui sia possibile dedurre, con ragionevole consequenzialità, che i documenti elaborati dal contribuente non siano veritieri, quali, nel caso di specie, l’esistenza di diverse operazioni regolarmente annotate tra il terzo ed il contribuente, rilevate sulla base dell’analitico raffronto tra le relative scritture contabili, ed il fatto che la documentazione extracontabile riportasse il nominativo, la data di consegna, la quantità e la descrizione dei prodotti, oltre agli importi relativi alle diverse operazioni.
Ne deriva che tali documenti informatici, rinvenuti presso un terzo, non possono essere ritenuti dal giudice, in sé, probatoriamente irrilevanti, senza che a tale conclusione conducano l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni che da essi discendono e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli emergenti dalla contabilità del contribuente.
E’ pure pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che l’inattendibilità della contabilità aziendale, e quindi l’accertamento induttivo, possono essere fondati su documentazione reperita presso terzi e su annotazioni elaborate da terzi (Cass. 28 giugno 2017, n. 16060; 30 agosto 2016, n. 17420).
Correttamente, quindi, la C.T.R. ha ritenuto utilizzabile la documentazione informativa rinvenuta presso la ditta C.A., tenendo conto, altresì, dei rapporti pregressi tra le due ditte come riscontro circa la riferibilità di tale documentazione alla ditta F.G., e quindi giungendo ad un fondato giudizio di sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordati circa l’esistenza di ricavi ulteriori ed extra-contabili in capo a quest’ultima.
Per quel che riguarda, poi, la questione dell’applicazione della percentuale di ricarico, la corte territoriale, sulla base di tali acquisti “in nero” effettuati dalla ditta F.G., ha applicato alla rivendita della merce comprata una percentuale di ricarico, trattandosi di merce destinata, per l’appunto, alla commercializzazione, e quindi anche sotto questo profilo il giudizio della C.T.R. appare corretto.
3.2. Appare invece fondato il motivo di ricorso incidentale, proposto dall’Agenzia delle Entrate.
La C.T.R. ha ritenuto applicabile, nella specie, una percentuale di ricarico del 15%, senza tenere conto, tuttavia, che, avendo l’Ufficio applicato in via presuntiva il ricarico medio per la categoria di appartenenza (40%), era onere della parte contribuente fornire la prova circa l’applicabilità di una diversa percentuale.
4. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione al motivo di ricorso incidentale accolto, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, la quale procederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Stante il rigetto del ricorso principale, ricorrono i presupposti processuali per dichiarare F.G. tenuto al pagamento di un importo pari al contributo unificato per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso incidentale accolto e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento, da parte di F.G., di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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