CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 febbraio 2021, n. 4979
Tributi – Accertamento induttivo puro – Art. 39, co. 2, del DPR n. 600/73 – Presupposti – Differenze retributive conseguenti a diversa qualificazione dei rapporti di lavoro in essere – Esclusione
Rilevato che
– con sentenza n. 431/04/12 depositata in data 2 agosto 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, rigettava l’appello proposto da M.D. s.r.l., in persona del legale rappresentante prò tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, avverso la sentenza n. 239/02/10 della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. REQ030602771 con il quale l’Ufficio, ai sensi dell’art. 39, comma II, del d.P.R. n. 600/73, previo p.v. della G.d.F., originato da verbale di accertamento redatto da funzionari dell’Inps, aveva accertato maggiori ricavi non dichiarati pari a euro 291.204,81, ai fini Irap e Iva, per l’anno 2003;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) previo p.v.c. della G.d.F., sulla base di verbale redatto dai funzionari Inps, l’Ufficio aveva correttamente operato, ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, la ricostruzione induttiva del reddito della società, in considerazione della emersa inattendibilità della contabilità scaturita dall’omessa contabilizzazione di compensi ai lavoratori dipendenti, in forza dell’art. 1, comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 570/96; 2) in particolare, il maggior reddito della società era stato ricostruito tenendo conto dei risultati contabili ricavati dalla dichiarazione dei redditi e della incidenza nella misura del 90% del costo della produzione sui ricavi;
– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi; l’Agenzia delle entrate ha depositato “atto di costituzione” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;
– l’Avv.to M.D., nella qualità di difensore della contribuente giusta procura a margine del ricorso, ha depositato rinuncia al mandato;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 1, comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 570/96 per avere la CTR ritenuto legittima la ricostruzione reddituale operata dall’Ufficio, con metodo induttivo puro, ai sensi del comma 2, lett. d) dell’art. 39 cit., ancorché non ricorresse alcuna delle ipotesi dalle quali l’art. 1, comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 570/96 faceva derivare l’inattendibilità delle scritture contabili di impresa, essendo l’ambito oggettivo di tale disposizione espressamente limitato agli accertamenti di carattere parametrico (emessi secondo lo schema dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73) ed essendo, in forza della medesima, sanzionato l’impiego di lavoratori non iscritti nei libri imposti dalla legislazione sul lavoro (c.d. lavoratori a nero), mentre, nella specie, le uniche violazioni contestate alla società erano consistite nel mancato versamento di differenze retributive tra il CCNL e la normativa dei Co.co.co., in base ad una diversa qualificazione da parte dell’Ufficio dei rapporti di lavoro dichiarati dalla contribuente (in luogo che come collaborazioni coordinate e continuative come rapporti di lavoro subordinato);
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia da parte del giudice di appello sulla eccezione – riproposta in appello- circa il mancato riconoscimento dei costi afferenti i maggiori ricavi determinati dall’Ufficio;
– con il terzo motivo- nel caso in cui si ritenga che la CTR abbia implicitamente pronunciato sulla domanda del contribuente volta ad ottenere il riconoscimento dei costi afferenti ai maggiori ricavi accertati- la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73, per avere il giudice di appello ritenuto erroneamente legittima la ricostruzione di maggiori ricavi operata dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 39, comma 2, cit., ancorché non si fosse tenuto conto delle componenti negative del reddito;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73, per avere il giudice di appello ritenuto erroneamente legittima la ricostruzione induttiva di maggiori ricavi operata dall’Ufficio utilizzando un criterio errato di calcolo qual era quello dell’incidenza, nella misura del 90%, del costo di produzione sui ricavi confondendo tale dato con il coefficiente di ricarico attribuibile a ciascun fattore della produzione;
– con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73 e 2697 c.c., per avere il giudice di appello, nel ritenere legittima la rettifica induttiva operata dall’Ufficio, mal applicato i criteri distributivi dell’onere della prova in materia tributaria;
– con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo e controverso della controversia per avere la CTR, nella parte in fatto, rilevato che l’accertamento era stato effettuato ai sensi dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73 e nella parte in diritto che si trattava di accertamento “analitico-induttivo”;
– con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice di appello omesso di pronunciare sulla eccezione in ordine all’errore di calcolo in cui era incorso l’Ufficio nella rideterminazione reddituale della società;
– il primo motivo è fondato nei sensi di seguito indicati;
– premesso che, nella specie, viene in rilievo una questione che attiene alla corretta sussunzione nel paradigma normativo della norma censurata della fattispecie in esame, come da questa Corte chiarito “In tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico-induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’amministrazione finanziaria può “prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c..(da ultimo, Sez. 5, Ordinanza n. 33604 del 18/12/2019);
– in punto di fatto, dalla sentenza impugnata e dallo stralcio dell’avviso di accertamento- riportato in ricorso pagg. 2-3 – si evince che la ricostruzione induttiva reddituale operata dall’Ufficio, ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/73, era stata basata sulla ritenuta “inattendibilità della contabilità” ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 570/96, essendo emerse una serie di violazioni della normativa in materia di lavoro e previdenziale, ed in particolare, l’omesso versamento da parte della società contribuente di retribuzioni e contributi previdenziali a dipendenti dichiarati come prestatori di collaborazioni coordinate e continuative e, di contro, ad avviso dell’Amministrazione, svolgenti sostanzialmente lavoro dipendente;
– l’art. 1, comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 570/96 dispone che:<< Ai soli fini dell’applicazione dell’art. 3, comma 181, lettera b), della legge 28 dicembre 1995, n. 549, le irregolarità delle scritture obbligatorie degli esercenti attività d’impresa si considerano gravi e rendono inattendibile la contabilità ordinaria di tali soggetti, quando: (…) c) sono impiegati lavoratori dipendenti che non risultano iscritti nei libri da tenere ai fini della legislazione sul lavoro e per i quali è scaduto il primo termine utile per il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti, o altri addetti, diversi dai familiari di cui all’art. 5, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi che prestano attività occasionale, il cui rapporto non risulta dalle scritture contabili o da altra attendibile documentazione rinvenuta nel luogo in cui sono tenute le scritture contabili. Detta disposizione si applica a condizione che i compensi non contabilizzati, calcolati sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro ovvero, per gli addetti diversi dai lavoratori dipendenti, sulla base delle retribuzioni mensili previste dagli stessi contratti, siano complessivamente superiori al 10 per cento delle spese per prestazioni di lavoro contabilizzate nello stesso periodo nel corso del quale i lavoratori dipendenti e gli altri addetti hanno prestato l’attività. A tal fine non rilevano gli scostamenti riconducibili ad errata applicazione dei criteri di imputazione temporale, sempreché le annotazioni effettuate in violazione dei criteri di cui all’art. 75 del testo unico delle imposte sui redditi emergano dalle scritture contabili obbligatorie del periodo di imposta antecedente o successivo a quello di competenza e derivino dall’adozione di metodi costanti di impostazione contabile. Indipendentemente dal superamento del predetto limite percentuale, la disposizione non si applica quando l’ammontare complessivo dei compensi non indicati in contabilità è di importo inferiore a cinque milioni di lire e si applica comunque quando è superiore a cinquanta milioni di lire»-,
– tale disposizione, il cui raggio di applicazione è circoscritto alla ricostruzione induttiva del reddito attraverso i parametri di cui alla richiamata L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181 e ss., la cui efficacia temporale era peraltro espressamente prevista “fino alla approvazione degli studi di settore” ( v. sul punto Cass. n. 12/2/2020 n. 3384 ), ricollega il giudizio di inattendibilità della contabilità degli esercenti attività di impresa- nell’ipotesi di cui alla lett. c) richiamata nell’avviso di accertamento in questione- all’impiego di lavoratori dipendenti che non risultano iscritti nei libri da tenere ai fini della legislazione sul lavoro e per i quali è scaduto il primo termine utile per il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti, o altri addetti, (diversi dai familiari) che prestano attività occasionale, il cui rapporto non risulta dalle scritture contabili o da altra attendibile documentazione rinvenuta nel luogo in cui sono tenute le scritture contabili;
– nella sentenza impugnata, la CTR ha erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione avendo l’Ufficio, nel valutare la contestata sussistenza del presupposto oggettivo dell’accertamento induttivo puro praticato, ovvero l’inattendibilità delle scritture contabili della contribuente, utilizzato i criteri di cui all’art. 1 comma 2, lett. c) del d.P.R. n. 570/96, inapplicabili alla fattispecie de qua, sotto il profilo funzionale e cronologico, senza peraltro, che ne riconoscessero neanche i relativi presupposti, avuto riguardo alle contestate violazioni di omesso versamento di retribuzioni e contributi previdenziali a lavoratori dipendenti – non già non iscritti nei libri da tenere ai fini previdenziali – ma bensì dichiarati esercenti attività di collaborazione coordinata e continuativa e, di contro, ad avviso dell’Amministrazione, svolgenti sostanzialmente attività di lavoro dipendente;
– l’accoglimento del primo motivo di ricorso, rende inutile la trattazione dei restanti con assorbimento degli stessi;
– in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, con accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente;
– stante la peculiarità della controversia, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese processuali dell’intero giudizio;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dell’intero giudizio.
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