Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 25030 depositata il 9 giugno 2023
difetto di specificità “estrinseca” – qualità di amministratore di fatto – onere dell’imprenditore fallito di dare dimostrazione della destinazione data ai beni societari
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la pronunzia di primo grado – resa in rito abbreviato – di condanna alla pena di giustizia nei confronti degli imputati B. e C., la prima nella qualità di amministratrice di diritto ed il secondo di amministratore di fatto di C.F. srl, per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione di beni non reperiti per il controvalore di oltre 1.300mila euro relativi a voci dell’attivo del bilancio 2012 e bancarotta documentale, per avere nelle rispettive qualità, sottratto o distrutto le scritture contabili allo scopo di recare pregiudizio ai creditori : capo a); oltre che per i reati tributari di cui all’art 11/1 Divo 74/2000, per aver tenuto le descritte condotte distrattive e di sottrazione delle scritture contabili allo scopo di sottrarsi all’imposta sui redditi e sul valore aggiunto: capo b); nonché del reato di cui all’art 4 divo 74/2000, per avere nelle rispettive qualità ed al fine di evadere l’iva, indicato nella dichiarazione annuale di imposta per il 2012, elementi attivi per un importo inferiore a quello effettivo: capo c). Epoca del fallimento : Febbraio 2016; epoche del reato di cui al capo b) : Aprile 2014 e del reato di cui al capo c) : 30 Settembre 2013
Hanno presentato ricorso gli imputati tramite il comune difensore fiduciario, articolando con unico atto cinque motivi.
1. Con il primo si deduce l’illogicità di motivazione quanto alla ritenuta responsabilità dell’imputata B.. La difesa sostiene che la ricorrente svolgesse mansioni di semplice segretaria e mai avesse ricoperto un ruolo gestorio nella società, richiamando a sostegno le dichiarazioni dei dipendenti circa lo svolgimento delle mansioni di amministratore di fatto da parte del coimputato, unico titolare del potere decisionale. Si censura il fugace passaggio motivazionale e le considerazioni con le quali i Giudici di appello avevano disatteso la relativa doglianza, non relazionandosi con le predette dichiarazioni dei dipendenti.
2. Nel secondo motivo ci si duole della illogicità di motivazione e della violazione delle norme incriminatrici speciali per la conferma della ritenuta bancarotta documentale e per la mancata derubricazione del fatto nel reato di bancarotta semplice. La Corte territoriale aveva ritenuto che l’affidamento della contabilità ad un professionista, ragioniere X., non esimesse da responsabilità gli imputati e che gli stessi avessero mentito nell’affermare che il consulente si fosse reso irreperibile, desumendone, quindi, la volontà di non far ritrovare le scritture contabili da lui custodite. I Giudici del merito a sostegno della affermazione hanno annotato che il ragioniere era stato facilmente trovato dalla Polizia giudiziaria e sentito ad informazioni, dimostrandosi così che non era affatto irreperibile. La spiegazione sarebbe in sé illogica e, peraltro, non avrebbe tenuto in conto le doglianze difensive, secondo le quali una buona parte della documentazione contabile sarebbe stata rinvenuta presso X. mentre altra parte – tra questa il libro giornale ed i registri iva – non era stata esibita, poiché inserita nel sistema informatizzato, che era guasto. In definitiva non sarebbero chiarite le ragioni per le quali era stata esclusa la fattispecie di bancarotta semplice, invocata dalla difesa.
3. Tramite il terzo articolato motivo si deducono vizi di motivazione illogica e violazione di legge, in relazione alla norma incriminatrice speciale sulla bancarotta distrattiva, che nell’imputazione si riferisce al controvalore di beni in relazione a poste attive di In appello si era sostenuto che i beni asseritamente distratti non facessero parte del compendio aziendale, sottolineando come gli stessi imputati avevano dichiarato in interrogatorio che le scritture contabili non erano affidabili e che gli importi delle attività iscritte in bilancio fossero volutamente maggiorati al fine di ottenere l’apertura di linee di credito. I Giudici di merito avevano respinto la tesi difensiva, osservando che non risultava che C. avesse richiesto un finanziamento e che l’esibizione del bilancio non appariva sufficiente allo scopo dichiarato, essendo ben più pregnanti i controlli richiesti dal sistema bancario. I ricorrenti lamentano la mancata considerazione del motivo di appello, col quale si era rappresentato che l’imputato aveva iniziato una pratica di finanziamento nell’interesse della società, che avrebbe avuto esito negativo, poiché risoltasi in una truffa ai danni della fallita; la difesa richiama l’allegazione del documento giudiziario operata in appello a sostegno della doglianza, elemento ignorato dalla Corte fiorentina, e sottolinea la decisività delle deduzioni ed allegazioni sul punto, che sarebbero dimostrative della tesi della radicale difformità del bilancio dal vero, come sostenuto nel giudizio dall’imputato.
3.1 Per altro verso manifestamente illogica, per più ragioni, sarebbe l’argomentazione, per la quale la Corte di appello aveva opinato che i valori di bilancio non fossero così eccentrici rispetto alle dimensioni della società ed al suo volume di affari. Il giudice di appello, infatti, aveva considerato quali immobilizzazioni materiali, da iscrivere all’attivo, i costi sostenuti per il pagamento dei canoni di affitto dei telai, che contabilmente costituiscono una spesa e, quindi, una passività; nel contempo non avrebbe risposto alla prospettazione difensiva circa l’assenza di beni strumentali in proprietà della fallita, che, dunque, non contribuivano all’attivo societario. Analogo vizio di illogicità è dedotto quanto all’importo dei crediti esigibili, pari ad oltre un milione di euro e giudicato in sentenza non spropositato. In proposito la difesa evidenzia che le dimensioni dell’impresa erano ridotte, che l’attività era durata per soli nove mesi, e che,soprattutto, di tale posta contabile non si era trovata corrispondenza in rapporti commerciali effettivi, né da parte del curatore, che non aveva esperito alcuna azione di recupero, né da parte della polizia giudiziaria, essendo rimasti ignoti lo stesso numero di clienti e la loro identità, per assenza di ogni elemento a sostegno. Non varrebbe a colmare l’incongruità motivazionale il rilievo per il quale l’imputata, poco tempo prima del fallimento, aveva consegnato all’Agenzia delle Entrate fatture di acquisto per oltre 550mila euro e fatture di vendita per quasi 640mila euro, essendo giudicati dal Giudice di merito questi dati coerenti con i valori riportati in Sul punto la difesa sostiene che il valore delle fatture di vendita sarebbe notevolmente discosto dal valore dei ricavi indicati in bilancio, ammontante a quasi tre milioni di euro e , dunque, anche questo ragionamento a sostegno della non inveridicità delle voci di attivo in bilancio sarebbe incongruo.
4. Col quarto motivo ci si duole della illogicità di motivazione quanto alla conferma di responsabilità per i reati tributari di cui ai capi b) e c). i ricorrenti lamentano che le evasioni di imposta sarebbero state giudicate integrate prima dall’Agenzia delle entrate e poi dai Giudici di merito sulla base dei dati di bilancio espressamente dichiarati non veri dall’imputato C.; il Giudice di appello, inoltre, avrebbe malinteso il senso del gravame proposto, che aveva inteso segnalare come alcun accertamento sarebbe stato compiuto – come pure possibile – verificando i dati presenti nelle fatture prodotte, in modo da ricostruire i rapporti
5. Nel quinto motivo si lamenta l’errata applicazione di legge sia quanto alla ritenuta aggravante del danno di rilevante gravità ex art 219 LF, in assenza di valutazione dei beni secondo l’accusa distratti, sia quanto alla negatoria delle attenuanti generiche che quanto all’attenuante della minima partecipazione della ricorrente B., negata nel giudizio di merito senza
A seguito di istanza di trattazione orale è stata fissata l’odierna udienza pubblica nel corso della quale il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di Cassazione, dr D., ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e l’avvocato Cerruto per gli imputati ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti, dovendo, altresì, il Collegio rilevare la prescrizione del reato tributario di cui al capo b).
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile non avendo relazione con la motivazione che ha inteso censurare, poiché la difesa – come si annoterà a breve – reitera le doglianze già proposte in grado di appello, imperniate sul presupposto che B. rivestisse il ruolo di amministratore testa di legno mentre il coimputato C., ritenuto amministratore di fatto, gestiva in esclusiva la società.
Il ricorso per cassazione è inammissibile, per difetto di specificità “estrinseca”, quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato o soltanto formalmente evidenziarle senza realmente confrontarsi con esse (Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109).
Infatti, la sentenza impugnata ha già smentito l’assunto difensivo per il quale la ricorrente svolgeva mansioni di segretaria e, quindi, ricopriva solo formalmente la qualità di amministratrice della fallita. In proposito è stato spiegato chiaramente – alle pagine 5 e 6 del testo – che l’imputata aveva assunto il ruolo di amministratore consapevolmente; che si occupava della contabilità; che firmava gli atti di impegno della società in particolare nei rapporti con Banca Unipol, con la quale aveva una delega esclusiva ad operare; che aveva riferito al curatore notizie, delle quali era quindi in possesso, circa i debiti contratti dalla società; che aveva consegnato le scritture contabili al ragioniere X., il quale ne curava la tenuta. Si tratta di attività che correttamente sono giudicate idonee ad integrare il ruolo di amministrazione di fatto attribuito alla donna e che sconfessano all’evidenza la tesi difensiva, secondo la quale svolgeva mansioni di semplice segretaria, essendo ignara della gestione.
1.1 E’ utile ricordare in proposito il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale quanto alla qualità di amministratore di fatto occorre aver riguardo alla presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico dell’agente con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare e che il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione. Ex multis: 5, Sentenza n. 8479 del 28/11/2016 Ud. (dep. 22/02/2017 ) Rv. 269101.Sez. 5, Sentenza n. 35346 del 20/06/2013 Ud. (dep. 22/08/2013) Rv. 256534. La motivazione resa dalla Corte territoriale, in coerenza con i suddetti principi ha posto in luce adeguatamente e valutato logicamente gli elementi probatori suindicati per i quali la giudicabile è stata ritenuta amministratrice di fatto.
2. Pure inammissibile è il secondo motivo di ricorso relativo alla bancarotta fraudolenta documentale, qui addebitata e ritenuta nella forma della mancata consegna delle scritture contabili ed in ogni caso per il profilo doloso della fattispecie anche quanto alla irregolare tenuta per omessa registrazione di fatture vendite ed acquisto sui registri iva.
Va puntualizzato che – secondo le concordi pronunzie di merito – X. era il professionista incaricato di tenere le scritture, che aveva dichiarato nel corso del procedimento che nessuno gliene aveva mai chiesto la restituzione allo scopo di consegnarle al curatore; ciò – annotano i Giudici del merito – nonostante le plurime sollecitazioni in tal senso ricevute dagli imputati ad opera dello stesso curatore fallimentare; aggiunge il i Giudice di appello che gli attuali ricorrenti avevano affermato come il ragioniere fosse irreperibile mentre la Polizia giudiziaria lo aveva trovato agevolmente, assumendone informazioni; coerentemente si conclude che gli amministratori avevano mentito per non far reperire il professionista incaricato e, con esso, la documentazione contabile da quest’ultimo detenuta. Il tentativo di nascondere le scritture contabili, il mancato ritrovamento delle fatture di acquisto e vendita nella loro integralità e la mancata risposta ai ripetuti inviti provenienti dal curatore a consegnare le scritture, sono gli elementi fattuali che, razionalmente ponderati in modo unitario, hanno convinto la Corte di appello a ritenere la condotta di bancarotta connotata dal dolo specifico di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori, ed in ogni caso in forma dolosa, anche in relazione al profilo di irregolare tenuta, così escludendosi, nel contempo, l’invocata derubricazione del fatto in bancarotta semplice.
2.1 A fronte di tale adeguata e corretta motivazione la difesa non nega la mancata consegna della documentazione contabile, sostenendo, in definitiva, che tale omissione non sarebbe ascrivibile alla volontà dolosa degli imputati ma in parte dovuta a responsabilità del professionista incaricato della loro tenuta, ragioniere X., in parte ad una cattiva condizione di salute di quest’ultimo mentre una parte delle scritture contabili sarebbe stata rinvenuta ed altra parte, libro giornale e registri iva, non esibita per il guasto del sistema di
Si tratta, all’evidenza, di argomentazioni sviluppate in fatto e per altro verso connotate da genericità in quanto meramente assertive per non essere sostenute da alcuna allegazione specifica; in proposito deve sottolinearsi, per contro, che la difesa non si è occupata di rivolgere critiche al passaggio – che appare aver peso prevalente nell’impianto motivazionale – secondo il quale gli imputati, pur avendo ricevuto richieste in tal senso dal curatore fallimentare, a loro volta non si erano rivolti a questo scopo al professionista che deteneva e curava la contabilità.
3. II terzo motivo di ricorso è fondato.
Occorre premettere e precisare che secondo l’imputazione e secondo quanto ritenuto dalle pronunzie di merito, in sede di inventario non sarebbero stati rinvenuti beni per un controvalore complessivo di oltre 1milione e 300mila euro, corrispondenti a più voci dell’attivo di bilancio, individuate in crediti esigibili per oltre un milione di euro, immobilizzazioni materiali per oltre l00mila euro, rimanenze di magazzino per oltre 120mila euro.
La sentenza impugnata ha desunto l’effettiva presenza di tali beni dalle suindicate poste attive di bilancio, oltre che facendo riferimento – in specie alla pagina 9 del testo – alle reali attività dell’impresa, giudicate non così lontane da quanto rappresentato in bilancio, traendo argomenti a sostegno della tesi adottata anche dal movimento di affari ricavabile dalle fatture di acquisto e vendita prodotte dall’imputato all’Agenzia Entrate.
A conforto – in diritto – di quanto ritenuto la Corte fiorentina ha citato la giurisprudenza di legittimità circa l’onere dell’imprenditore fallito di dare dimostrazione della destinazione data ai beni societari, sicuramente presenti nel patrimonio e non reperiti dagli organi fallimentari; giurisprudenza che considera integrata la prova della distrazione in caso di mancato soddisfacimento di tale onere. Sez. 5, Sentenza n. 17228 del 17/01/2020 Ud. (dep. 05/06/2020 ) Rv. 279204.
Sotto altro profilo è stato richiamato l’orientamento per il quale la prova della precedente disponibilità da parte dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa può essere desunta anche dal bilancio, ove risulti intrinsecamente attendibile perché redatto in conformità alle prescrizioni imposte dalla legge. (Sez. 5 , Sentenza n. 20879 del 23/04/2021 Ud. (dep. 26/05/2021 ) Rv. 281181. Nello stesso solco esegetico questa Corte regolatrice ha anche chiarito, con riguardo specifico alle scritture contabili, che la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili, anche risalenti nel tempo e redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili. (Sez. 5, Sentenza n. 6548 del 10/12/2018 Ud. (dep. 11/02/2019 ) Rv. 275499.
3.1 Risulta, dunque, chiaro che la posizione di questa Corte regolatrice – anche per come richiamata nella pronunzia di appello – è imperniata sul presupposto ineliminabile della ritenuta attendibilità della documentazione contabile e/o – come nella fattispecie – dei dati di bilancio, che nei casi di loro affidabilità possono costituire prova della preesistenza di beni societari, in seguito non rinvenuti dagli organi del fallimento.
Nella fattispecie ora al vaglio il Giudice di appello non ha fatto buon governo dei suindicati principi, omettendo, altresì, di confrontarsi in modo approfondito con le deduzioni difensive.
3.2 Infatti, gli imputati fin dall’interrogatorio e la difesa tecnica nel corso giudizio di merito, hanno sostenuto che i dati di bilancio erano stati gonfiati allo scopo di ottenere un finanziamento bancario, operazione che non aveva avuto buon esito e che, anzi, si era sviluppata in modo pregiudizievole per la società e per la sua rappresentante legale B., tanto che ne era sorto un procedimento penale nel quale l’imputata figurava come persona offesa del delitto di truffa, in relazione a denari corrisposti a seguito di illecito perpetrato ai danni della società ad opera della persona che aveva fatto da intermediario con l’azienda
Per altro verso – e l’argomentazione appare in sé ragionevole – la difesa ha sostenuto che la quantità veramente ingente dei crediti sorti in solo nove mesi di attività, pari ad oltre un milione di euro, era spropositata rispetto alle dimensioni della società ed ha – soprattutto – sottolineato che nessuno, né il curatore, né la polizia giudiziaria aveva trovato traccia dei rapporti commerciali sottostanti, e neppure i dipendenti, opportunamente assunti ad informazioni, avevano saputo indicare chi fossero i creditori della fallita. Ne ha concluso la difesa che la società aveva di sicuro sviluppato un’attività di impresa, come dimostrato dalle fatture di acquisto e di vendita, risultando, peraltro, impossibile che avesse maturato crediti per gli importi presi in considerazione dai Giudici del merito, in assenza di riscontri effettuali ai dati contabili.
3.3 La giustificazione resa dalla Corte territoriale per un verso non ha fornito una adeguata risposta alle articolate censure presentate in appello dalla difesa, limitandosi ad annotare assertivamente come fosse difficile ritenere che l’accesso al credito sia condizionato alla sola esibizione del bilancio, essendo ben altre le verifiche richieste dalle banche ed adoperando l’argomentazione altrettanto generica, secondo la quale il movimento di affari ricavabile dalla fatture di acquisto e vendita, di cui ha dato conto, non era incoerente con i valori riportati in
3.4 Per altro verso i Giudici del merito non hanno tenuto in considerazione i consolidati principi affermati da questa Corte regolatrice secondo i quali in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento della previa disponibilità da parte dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa non può fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili dell’impresa prevista dall’art. 2710 cod. civ., dovendo invece le risultanze desumibili da questi atti essere valutate – soprattutto quando la loro corrispondenza al vero sia negata dall’imprenditore – nella loro intrinseca attendibilità, anche alla luce della documentazione reperita e delle prove concretamente esperibili, al fine di accertare la loro corrispondenza al reale andamento degli affari e delle dinamiche aziendali. (sez. 5, sentenza n. 52219 del 30/10/2014 ud. (dep. 16/12/2014 ) rv. 262197. In senso conforme (Sez. 5 , Sentenza n. 55805 del 03/10/2018 Ud. (dep. 12/12/2018 ) Rv. 274621 ha ribadito il principio per il quale l’accertamento della precedente disponibilità da parte dell’imputato dei beni non rinvenuti in seno all’impresa non può fondarsi sulla presunzione di attendibilità dei libri e delle scritture contabili prevista dall’art. 2710 cod. civ., dovendo invece le risultanze desumibili da questi atti essere valutate – anche nel silenzio del fallito – nella loro intrinseca attendibilità; ha, quindi, chiarito che il giudice dovrà congruamente motivare ove l’attendibilità della scrittura contabile non sia apprezzabile per l’intrinseco dato oggettivo.
In definitiva la giustificazione confezionata quanto alla ritenuta bancarotta distrattiva risulta incoerente con i principi elaborati da questa Corte sul tema di cui si discute e carente quanto alle risposte fornite agli specifici motivi di appello.
4. L’accoglimento delle doglianze sulla bancarotta distrattiva importa l’annullamento con rinvio anche con riguardo al capo c) dell’imputazione – art 4 Divo 74/2000 – poiché, secondo la motivazione resa dal Giudice di appello – alla pagina 10 – a fondamento degli accertamenti di natura fiscale vi sono stati gli stessi dati di bilancio, erroneamente ritenuti attendibili nel giudizio di merito ed i Giudici, nella conferma di responsabilità dell’imputato, hanno impiegato le stesse improprie argomentazioni circa la coerenza della situazione patrimoniale della società con le dimensioni e le attività di impresa di cui si è dato conto in precedenza.
4.1 In proposito è necessario aggiungere che il delitto in parola non è prescritto, essendo commesso il 9.2013, per la disposizione normativa di cui all’art 17/1bis divo 74/2000, secondo la quale i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo. Tale disposizione, aggiunta con DL 13/8/2011 nr 138 ( art 2 comma 6- vicies semel), convertito con modifiche dalla legge 148 del 14 Settembre 2011, si applica ai fatti successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione, cioè dal 15 settembre 2011 ed è quindi, applicabile al fatto – reato di cui al capo C) art 4 divo 74/2000, relativo alla dichiarazione dei redditi presentata, come da imputazione, il 30 Settembre 2013 per l’annualità 2012.
Al termine così modificato della prescrizione di otto anni per i delitti tributari deve aggiungersi il computo del periodo di interruzione pari ad un quarto, cioè due anni ex art 161/2 cp.
4.2 Per le stesse ragioni va giudicato perlomeno non manifestamente infondato il motivo di ricorso relativo al reato tributario di cui al capo b) – art 11 Divo 74/2000 – poiché le condotte contestate come realizzate allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto sono le stesse poste a fondamento della bancarotta distrattiva; essendo l’epoca del commesso reato, come da imputazione, indicata in aprile 2014, il Collegio deve rilevarne l’avvenuta prescrizione nel mese di Maggio 2022, non valendo – in virtù del disposto normativo
appena richiamato – il prolungamento del termine di prescrizione suindicato e pur tenendo conto della sospensione del corso della prescrizione pari a 220 giorni.
5. Il quinto motivo, nel quale la difesa formula censure quanto alla ritenuta aggravante del danno di rilevante gravità, alla non riconosciuta attenuante della minima partecipazione per B. e quanto alla negatoria delle attenuanti generiche, è assorbito dalle precedenti statuizioni di annullamento e di prescrizione del reato tributario di cui al capo b), dovendo la Corte del rinvio riconsiderare tali questioni, già poste in grado di appello, all’esito delle determinazioni assunte nel nuovo giudizio.
Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata va annullata senza rinvio relativamente al reato di cui al capo b) perche’ estinto per prescrizione. Va annullata relativamente al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a), al reato di cui al capo c) e , di conseguenza, al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio su detti punti ad altra sezione della corte di Appello di Firenze. Inammissibili i ricorsi nel resto.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo b) perche’ estinto per prescrizione. Annulla la stessa sentenza relativamente al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a), al reato di cui al capo c) ed al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio su detti punti ad altra sezione della corte di Appello di Firenze. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.
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