Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 17940 depositata il 16 gennaio 2019
bancarotta fraudolente per distrazione – avviamento commerciale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 13 novembre 2017 la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Tivoli il 3 maggio 2013 con la quale N.G. era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e alle pene accessorie di legge, per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. In particolare, il N.G., amministratore di diritto sino al 21 febbraio 2000 della N. s.r.l., società dichiarata fallita il 5 giugno 2006, ma inattiva dal 2000, in concorso con il liquidatore Agneni Sandro, poi deceduto, distraeva l’intero complesso aziendale in favore della sua omonima ditta individuale, continuando a svolgere l’attività imprenditoriale presso i medesimi locali, utilizzando la stessa utenza telefonica, il sito internet ed i medesimi macchinari, e comunque distraendo i beni indicati nel bilancio dell’anno 2001 pari ad euro 433.870,00 successivamente eliminati mediante artifici contabili; anche la vendita, in favore della ditta individuale dell’imputato, dell’immobile ove la fallita svolgeva la propria attività era da ritenersi fittizia, non risultando provato che tale vendita abbia avuto un integrale
1.2 Avverso la predetta sentenza, l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi con i quali lamenta:
1.2.1 con il primo motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla affermazione della penale responsabilità del N.G. per la distrazione dell’intera azienda della N. s.r.l. e dei singoli beni che la costituivano, nonché l’assenza della prova di tale distrazione al di là del ragionevole dubbio; in particolare:
1.2.1.1 per quanto concerne l’immobile dove veniva svolta l’attività commerciale, prima dalla N. s.r.l. e, poi, dalla N.G. ditta individuale in via S. Costanza 7, deve ritenersi insussistente la prova della gratuità della cessione, essendo stata essa desunta erroneamente e contraddittoriamente dai giudici di merito unicamente dalla assenza/inidoneità della prova contraria dell’effettivo pagamento del corrispettivo, quantomeno della parte di 102 milioni di lire, senza considerare che tale parziale omesso pagamento non implica una gratuità della cessione, ma solo un limitato inadempimento contrattuale dovuto a cause sopravvenute, prive di rilevanza penale; inoltre, viziato si presenta il percorso argomentativo che ha condotto la Corte territoriale a ritenere che le somme corrisposte a mezzo di bonifici e assegni alla N. s.r.l. non costituissero il corrispettivo della compravendita, bensì verosimilmente il pagamento di attività svolte per l’esercizio dell’attività commerciale di via Santa Costanza 7, a fronte del dato che l’attività della N. s.r.l. cessò nel giugno 2000; peraltro, la Corte territoriale non considera il disposto di cui all’art. 1193 e.e. in tema di imputazione di pagamento, sicchè nell’incertezza in merito all’oggetto dei pagamenti i pagamenti effettuati, non potevano per legge che essere imputati alla vendita dell’immobile di Via Santa Costanza;
1.2.1.2 in merito alla distrazione dei beni strumentali, la motivazione della sentenza impugnata che considera dirimente il mero dato contabile per il quale nel bilancio della N. s.r.l. dell’anno 2000 erano riportate rimanenze per f 840.089.649 che negli anni successivi risultavano azzerate, non appare corretta atteso che andava accertata la previa disponibilità di tali beni da parte dell’imputato; in particolare, la motivazione in proposito si presenta del tutto apparente, fondandosi sulla presunzione di probabilità, piuttosto che sulla ragionevolezza, al di là del ragionevole dubbio ed è in contrasto con la regola di giudizio di cui all’articolo 533 c.p.p.; inoltre, i giudici di merito hanno omesso di valutare come i locali ove tali beni si trovavano erano stati oggetto di una radicale ristrutturazione e che gli stessi erano verosimilmente obsoleti.
1.2.1.3 per quanto concerne la distrazione dell’avviamento commerciale, i giudici di merito hanno omesso di valutare le censure dell’imputato circa l’incapacità del complesso aziendale di produrre profitti e l’utilizzo da parte della ditta individuale N.G. di un marchio diverso da quello della società, laddove la giurisprudenza di legittimità riconosce proprio nell’avviamento la capacità di produrre reddito; inoltre, la distrazione dell’avviamento non può configurarsi nel caso di un possibile sviamento della clientela, intesa come prospettiva di costruire rapporti giuridici immaginabili; pertanto, ove tale elemento distrattivo manchi deve a sua volta cadere l’intera affermazione di distrazione del complesso aziendale;
1.2.1.4 in merito alla distrazione dell’azienda, l’art. 2555 e.e. definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, sicchè si ha tale distrazione solo ove oggetto di distrazione siano tutti i beni; ne deriva che l’accoglimento anche parziale delle doglianze svolte non può non riverberare i propri effetti anche sulla responsabilità dell’imputato in merito alla distrazione dell’intera
1.2.2 con il secondo motivo, il vizio di motivazione in riferimento al concorso dell’imputato nelle condotte distrattive, ponendosi la sentenza impugnata in contrasto con quanto accertato in via definitiva dal tribunale quanto alla disciplina degli 110 e 117 c.p. in tema di concorso dell’extraneus nel reato proprio e ciò sia con riferimento al concorso nella distrazione dell’immobile di via S.Costanza sia in relazione alla distrazione di beni strumentali; in particolare, per quanto concerne l’immobile, non può escludersi oltre ogni ragionevole dubbio l’estraneità del N.G. alla eventuale sottrazione delle somme corrisposte alla N. s.r.l. per l’acquisto dell’immobile e, comunque, non può essere sintomo di un accordo illecito il mancato pagamento di un solo ottavo del prezzo dell’immobile sede della N. s.r.l.; peraltro la vendita sottocosto di un bene sociale, per giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente per provare un accordo collusivo, ma occorre motivare circa la finalità fraudolenta dell’operazione e sulla prevedibilità del fallimento; appare inoltre illogico l’iter motivazionale che conduce ad attribuire pari disvalore alla distrazione dei beni aziendali e alla loro rottamazione, nonché l’affermazione del concorso nel N.G. in tali alternative attività; peraltro l’impossibilità di escludere l’ipotesi che i beni strumentali siano stati distrutti e non distratti comporta l’impossibilità di escludere anche l’estraneità dell’imputato alla condotta oggetto di contestazione.
1.2.3 con il terzo motivo, l’omessa motivazione in riferimento alle doglianze dell’atto di appello sulle statuizioni civili, posto che non vi è alcun nesso di causalità tra le condotte del N.G. e il danno indicato, posto che la fallita era incapace di realizzare profitti•
1.2.4 con il quarto motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla conseguente determinazione del trattamento sanzionatorio, posto che la Corte di Appello fonda il diniego di tali attenuanti sulla base dell’intensità del dolo dell’imputato, elemento questo che non è preso in considerazione dall’articolo 62 bis p., ma dall’art. 133 c.p. sulla quantificazione della pena; da ultimo, i giudici del gravame hanno omesso di valutare che all’epoca dei fatti il comma 3 dell’articolo 62 bis c.p. non era stato introdotto e, pertanto, l’incensuratezza del N.G. avrebbe potuto da sola giustificare la concessione di tali attenuanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente alla durata delle pene accessorie ex art. 216 u. c. L. Fall. per quanto si dirà, mentre il ricorso va respinto nel resto.
1. All’imputato è stata ascritta la condotta della distrazione dell’azienda facente capo alla fallita società N. s.r.l. in favore della ditta individuale del medesimo N.G., condotta questa ravvisata anche in base agli accertamenti svolti dal curatore in merito all’identità oggettiva delle attività e soggettiva del gestore, nonché dal perito in merito alla cessione dell’immobile alla Via Santa Costanza 7.
Gli elementi di fatto considerati nella premessa delle sentenze di merito ai fini dell’integrazione della condotta ascritta all’imputato sono stati quelli che: la società N. s.r.l. cessava la propria attività nel luglio del 2000, e la qualità di amministrazione veniva assunta da Agneni Sandro in luogo dell’imputato, che rimaneva mero socio della fallita. L’attività commerciale della N. s.r.l., svolta alla via di Santa Costanza n. 7, veniva, tuttavia, proseguita dalla ditta individuale dell’imputato praticamente senza soluzione di continuità ed a seguito della ristrutturazione dei locali commerciali già utilizzati dalla società N. s.r.l.; tale sostituzione risultava provata da quanto riferito dal curatore del fallimento Nicolamaria Laura che, oltre ad indicare la data di inizio dell’attività della ditta N.G. (agosto del 2000) ha dichiarato: di essersi recata nella nuova ed ultima sede legale della N. s.r.l. sita appunto nel comune di S. di Sassola via Vittorio Emanuele n. 63/A, corrispondente ad una cantina ovvero ad una grotta, di essersi recata, alla via di Santa Costanza n. 7 presso l’esercizio commerciale della ditta N.G., luogo corrispondente alla sede aziendale della fallita e di avere costatato che i numeri telefonici dell’attività della N. s.r.l. erano rimasti gli stessi, così come i riferimenti del sito internet; il commercialista della fallita ha dichiarato che l’attività della ditta N.G. iniziava dopo l’estate del 2000 a seguito ristrutturazione del vecchio locale dove era svolta l’attività della N. s.r.l., mentre la teste Commentucci ha dichiarato di aver lavorato prima per la N. s.r.l. e, dopo la cessione del giugno 2000, per la ditta N.G. dal settembre-ottobre 2000, presso la quale peraltro avevano continuato a lavorare cinque o sei dipendenti della fallita.
2. Nel contesto descritto si osserva che il primo motivo di ricorso deve ritenersi infondato.
2.1 Ed invero, per quanto concerne la distrazione dell’immobile di Via Costanza 7, costituito da un locale commerciale ad uso parrucchiere e centro estetico, le sentenze di merito da leggersi congiuntamente siccome costituenti un unicum inscindibile quanto all’affermazione di responsabilità dell’imputato – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, danno conto che nel rogito del 12.6.2000 l’immobile è stato compravenduto al prezzo riportato nell’atto di 700 milioni di lire, oltre Iva, “già ricevuto dalla parte venditrice” e riportato nella fattura n. 5 emessa in pari data. La sentenza impugnata, in particolare, con ragionamento logico immune da censure, ha messo in risalto come non risulti affatto provato che tale cessione abbia avuto un corrispettivo, atteso che il suddetto atto del 12.6.2000 fa riferimento all’avvenuta ricezione del prezzo da parte della venditrice, poi fallita, prima dell’atto, ma nessun riscontro di tale pregresso pagamento è ravvisabile; pertanto, o tale prezzo non è mai stato pagato con conseguente distrazione dell’immobile mediante atto simulato di vendita, oppure il prezzo della compravendita è stato effettivamente corrisposto ed allora non essendovene traccia nella contabilità della fallita ed in altra documentazione, esso deve ritenersi distratto.
2.1.1 Con tale argomentazione dirimente il ricorso non si confronta, limitandosi ad incentrare l’attenzione su aspetti della motivazione della sentenza impugnata che non scalfiscono i dati oggettivi indicati, valorizzando l’emissione di assegni e l’effettuazione di bonifici in favore della società da parte dell’imputato che i giudici di merito hanno evidenziato essere avvenute a distanza di almeno sei mesi dal rogito del giugno del 2000, tali da non essere plausibilmente relativi al corrispettivo della vendita dell’immobile. Peraltro, con riguardo ai successivi pagamenti, è certo solamente quello di Lire 268.185.625, veniva estinto il mutuo acceso dalla N. s.r.l., garantito dall’immobile compravenduto.
2.1.2 Il ricorrente invoca in proposito il disposto di cui all’art. 1193 e.e. e la mancata considerazione dell’istituto in questione da parte dei giudici di merito, ma l’applicabilità del pagamento per imputazione risulta esclusa nella fattispecie dall’insussistenza, o incertezza dei presupposti per avvalersi dell’istituto medesimo, ossia la ricorrenza specifica di più debiti tra debitore e creditore (nella specie tra la N. s.r.l. e la omonima ditta individuale), la “dichiarazione” del debitore e la contestualità necessaria tra dichiarazione e adempimento, affinché colui che ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona possa scegliere a quale debito è imputabile il pagamento, affinchè tale modalità soddisfi anche il requisito della recettizietà della dichiarazione, la ricorrenza di un debito scaduto, ovvero tra più debiti scaduti di quello meno garantito, tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico (altrimenti l’imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti), nonché la dimostrazione da parte del debitore della corresponsione delle somme idonee ad estinguere il debito (Sez. 2, n. 17102 del 27/07/2006 Rv. 592303 – 01). Più volte, invero, questa Corte ha affermato il principio, secondo cui la disposizione dell’art. 1193 cod. civ. presuppone una pluralità di rapporti obbligatori tra le stesse parti e ha lo scopo di eliminare l’incertezza circa la sorte degli stessi, evitando che a ciascun atto di pagamento non segua l’effetto solutorio di una ben determinata obbligazione, sicché tale disposizione non è applicabile, e la questione dell’imputazione del pagamento non è proponibile, quando tra le parti sussista un unico debito (Cass. Civ., Sez. 2, n.22639 del 03/10/2013).
2.1.2. Nel caso di specie, poi, una imputazione postuma dei pagamenti, al fine dell’estinzione del debito derivante dal pagamento del prezzo (parziale per stessa ammissione del N.G.) dell’acquisto dell’immobile, cozza con la contestualità necessaria tra dichiarazione e adempimento totale, ma soprattutto con la circostanza che nell’atto pubblico di compravendita è contenuta la dichiarazione delle parti dell’avvenuta corresponsione del prezzo prima della vendita stessa, importo questo non rinvenuto nelle casse sociali della N. s.r.l..
2.2 Per quanto concerne la distrazione di beni strumentali, il ricorrente ha evidenziato come nella fattispecie in esame non sia stata accertata la preventiva disponibilità di tali beni, sicchè non avrebbe potuto configurarsi la bancarotta per Tale deduzione, però, risulta priva di fondamento.
Sul punto deve premettersi che il ricorrente invoca il princ1p10 più volte affermato da questa Corte, secondo cui la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011 Rv. 249715 – 01), ma tale principio deve essere coniugato con l’altro, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, Rv. 267710 – 01).
2.2.1 Nel caso di specie, invero, sulla base di quanto evidenziato dalle sentenze di merito da leggersi congiuntamente, come già messo in risalto- la detenzione di beni strumentali da parte della società fallita emerge chiaramente dalle dichiarazioni di Aldo C., commercialista della società, che ha dichiarato come tali beni fossero stati smantellati e portati tutti via, tranne alcune strutture, tipo la scala a chiocciola, che secondo l’amministratore dovevano essere trasferiti presso la nuova sede sociale, beni questi non più rinvenuti.
In tale contesto vanno letti anche i dati “contabili” che danno conto appunto della sussistenza nell’anno 2000 di rimanenze per euro 840.089.469, che si sono ridotte, sino ad azzerarsi negli esercizi 2002-2003, senza alcuna contropartita. Il perito nominato dal Tribunale, Mottura Giovanni, ha evidenziato come nel caso di azzeramento dei beni strumentali vi sono due possibilità: o che siano stati rottamati e quindi siano stati oggetto di dismissione oppure che siano stati ceduti. Ebbene, posto che non vi sono evidenze documentali di una rottamazione, non può che residuare solo l’ipotesi della cessione a terzi, della quale, pure, il bilancio nulla dice dal punto di vista della nota integrativa, sicchè i dati riportati evidenziano l’artificio contabile, indice della depauperazione della società.
2.3 In merito, poi, alla distrazione dell’avviamento commerciale della N. s.r.l. in favore della omonima ditta individuale, le sentenze di merito hanno ritenuto integrata tale ipotesi, in considerazione dello sviamento della clientela della società fallita, dell’impiego del personale e delle sue infrastrutture in favore della ditta individuale ·ad essa succeduta e, comunque, quale diretta conseguenza della fraudolenta sostituzione della ditta individuale alla società nell’immobile di Via Santa Costanza 7. Tale valutazione, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non si pone in contrasto con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta non può costituire oggetto di distrazione l’avviamento commerciale dell’azienda, ove questo venga identificato con fattori aziendali inidonei a rappresentare una posta attiva di bilancio (Sez. 5, n. 31677 del 04/04/2017, Rv. 270866 – 01).
2.3.1 Nella fattispecie in esame, infatti, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, è suscettibile di distrazione l’avviamento commerciale dell’azienda quando contestualmente sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o quanto meno i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento, come ad esempio nel caso- assimilabile a quello di specie dell’azienda con tutti i suoi elementi positivi – clientela, locali, attrezzature ecc. – determinanti l’avviamento (Sez. 5, n. 5357 del 30/11/2017, Rv. 272108 – 01). In particolare, se per avviamento commerciale deve sinteticamente intendersi la “capacità” di profitto di un’azienda (rectius: la capacità di produrre sovraredditi) e il suo valore come il plusvalore dell’azienda avviata, non è dubitabile che esso non rappresenti per l’imprenditore una mera aspettativa di fatto, ma costituisca, invece, un “valore” dell’azienda che lo incorpora. In tal senso, dunque, l’avviamento sarebbe una mera qualità del bene (nello specifico l’azienda) ed in quanto tale non potrebbe costituire oggetto di distrazione indipendentemente dal bene cui è riferito; in breve: oggetto di distrazione sono i beni dell’impresa e non il “valore” di quest’ultima, in quanto questo dipende inevitabilmente dalla sommatoria dei primi che lo incorporano. In quanto autonoma componente del valore dell’azienda, l’avviamento presenta una indubbia natura patrimoniale ed è suscettibile di quantificazione economica, ma non per questo può costituire oggetto di autonoma disposizione, risultando inscindibile dall’azienda Una volta stabilito che l’avviamento ha una intrinseca natura patrimoniale ed è suscettibile di valutazione economica, il suo essere una “qualità” dell’azienda non ne pregiudica la vocazione a costituire l’oggetto materiale della bancarotta, quantomeno nei termini indicati (Sez. 5, n. 3817 del 11/12/2012).
Anche recenti pronunce di questa Corte hanno evidenziato come ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta sia necessario che la distrazione sia riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili, con la conseguenza che non può costituire oggetto di distrazione l’avviamento commerciale di un’azienda, ove questo venga identificato come prospettiva di costituire rapporti giuridici solo teoricamente immaginabili (Sez. 5, n.26542 del 19/03/2014). Ed ancora, in tema di bancarotta fraudolenta non può costituire oggetto di distrazione l’avviamento commerciale dell’azienda, ove questo venga identificato con fattori aziendali inidonei a rappresentare una posta attiva di bilancio quest’ultima (Sez. 5, n. 31677 del 04/04/2017 Rv. 270866).
2.3.2 Nella fattispecie in esame, dunque, per le ragioni evidenziate, poiché tutti i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento sono stati di fatto ceduti dalla società fallita, risulta pienamente integrata anche la distrazione in questione.
2.4 Manifestamente infondata si presenta conseguentemente la deduzione secondo la quale non potrebbe configurarsi una distrazione di azienda a carico dell’imputato, non risultando distratti i singoli beni che la compongono ex 2555 e.e., atteso che, come innanzi evidenziato, tutte le componenti dell’azienda facente capo alla N. s.r.l. sono state trasferite alla omonima ditta individuale.
3. Manifestamente infondato si presenta altresì il secondo motivo di ricorso, atteso che alcuna discrasia tra quanto affermato nella sentenza impugnata e la sentenza di primo grado è dato ravvisare. Del tutto logicamente, invero, la Corte territoriale dopo aver analizzato i fatti, la loro cronologia e le modalità di essi, ha confermato le valutazioni del primo giudice circa la riferibilità dell’attività distrattiva all’imputato diretto beneficiario di essa, con la complicità del formale amministratore, Agneni Sandro, deceduto, essendosi il N. spogliato della carica di amministratore unico della N. s.r.l. nel febbraio del 2000 e nel giugno dello stesso anno la ditta individuale del N.G. acquistava l’immobile di via S. Costanza 7 con le modalità indicate. Il mancato rinvenimento nelle casse sociali della somma costituente il prezzo dell’immobile è stato logicamente ricondotto al mancato pagamento di tale prezzo con conseguente distrazione dell’immobile mediante atto simulato di vendita ovvero alla distrazione di tale prezzo che non poteva avvenire senza la collusione dei due protagonisti della vicenda, visto che del pagamento di somme a titolo di prezzo dell’immobile di Via S.Costanza prima dell’atto di compravendita (come indicato nel rogito) non è stata rinvenuta traccia (assegni bancari, bonifici ecc.).
Del pari, per quanto concerne i beni strumentali, il concorso del N.G. con l’amministratore di diritto della società, quanto alla loro distrazione si ricava dalle dichiarazioni del commercialista C. sopra indicate.
4. Il terzo motivo di ricorso del pari è infondato, avendo già la sentenza di primo grado, senza illogicità dato conto delle ragioni della liquidazione del danno e del nesso causale con i fatti in contestazione all’imputato, danno questo in sostanza cagionato dalla condotta concorsuale distrattiva dell’imputato che ha comportato un conseguente depauperamento delle ragioni dei creditori Peraltro il motivo di censura non si confronta con i principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell’illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale (Sez. 5, n. 4701 del 21/12/2016, Rv. 269271).
5. Manifestamente infondato si presenta altresì il quarto motivo di ricorso in merito al trattamento sanzionatorio. In particolare, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha fatto propria in sostanza la valutazione del primo giudice, circa l’insussistenza di ragioni di meritevolezza delle stesse e, anche nella vigenza dell’art. 62- bis cod. pen. prima delle modifiche apportate dalla L. n. 125 del 2008, questa Corte ha affermato il principio che nell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche il giudice non può tenere conto unicamente dell’incensuratezza dell’imputato, ma deve considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 cod. pen.. (Sez. 4, n. 31440 del 25/06/2008 Rv. 241898).
In merito, poi, alla determinazione della pena è sufficiente richiamare i principi più volte affermati da questa Corte secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142).
6. Deve, infine, rilevarsi che al ricorrente sono state applicate di diritto le pene accessorie di cui all’art. 216/4 L.Fall. Alla stregua della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 222/2018, della norma di cui all’art. 216, comma 4, L.F., nella parte in cui prevede pene accessorie (l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità di esercitare uffici direttivi nelle imprese) di durata fissa decennale, anzichè di durata fino a dieci anni, per coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta, è necessario esaminare di ufficio il profilo del trattamento sanzionatorio, in relazione alle indicate pene accessorie, posto che, ai sensi degli artt. 136, comma 1, e 30, comma 3 della legge costituzionale n. 87 del 11 marzo 1953, il testo della norma, risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, si applica con efficacia ex tunc anche nei processi in corso. La mancata articolazione da parte dell’imputato di specifiche censure in punto di pene accessorie non impedisce l’esame officioso della questione, afferendo la stessa al tema del trattamento sanzionatorio divenuto illegale, stimandosi dover trovare applicazione la sentenza n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264207, secondo cui nel giudizio di cassazione l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo.
L’illegalità sopravvenuta della previsione della durata fissa delle pene accessorie rende, pertanto, necessario l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio, al fine di consentire alla Corte di rinvio di quantificare la durata delle pene accessorie, quantificazione che non può essere operata da questa Corte, implicando considerazioni commisurative in fatto inibite al Giudice di legittimità. Ciò anche in relazione al principio recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, nell’udienza del 28 febbraio 2019, – siccome desumibile dall’informazione provvisoria -secondo il quale: <<Le pene accessorie previste dall’art. 216 legge fall., nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, cosi come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. > >.
7. La sentenza impugnata va pertanto annullata limitatamente al punto delle pene accessorie, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, mentre il ricorso va respinto nel resto.
p.q.m.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.