La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19 marzo 2024, intervenendo in tema di liquidazione delle spese a carico della parte soccombete e il suo trattamento IVA, ha riaffermato che “… a) non incide la circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. sulla natura professionale dell’attività svolta in proprio favore e, pertanto, essa non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione; b) con riferimento alla fattispecie scrutinata, avere il giudice di merito correttamente ritenuto non dovuta l’Iva per l’attività professionale svolta dall’avvocato, quale difensore di sé medesimo, a norma dell’art. 86 c.p.c. (ancorché coadiuvato da altro difensore, la cui opera professionale, prestata in favore del primo, è stata considerata invece operazione imponibile ai fini Iva, in quanto versata in favore di soggetto legittimato a detrarsela, ai sensi dell’art. 19 d.P.R. n. 633/1972), posto che il riconoscimento dell’Iva si porrebbe in contrasto con la presunzione di gratuità che assiste simili prestazioni, integrando una sua ingiusta locupletazione (Cass. 28 febbraio 2023, n. 5950, motivazione sub p.to 6.2.1, citando quale precedente conforme, in riferimento al p.to a: Cass. 18 febbraio 2019, n. 4698). …” (vedasi anche Cassazione n. 1518/2019)
Occorre ricordare, come chiarito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 12680/2004, nei giudizi nei quali è consentita alla parte la difesa personale, ex articolo 82 del c.p.c., è onere dell’interessato, che rivesta la qualità di avvocato, specificare a che titolo intenda partecipare al processo, poiché (a prescindere dal profilo fiscale), mentre la parte che sta in giudizio personalmente non può chiedere che il rimborso delle spese vive sopportate, il legale, ove manifesti, appunto, l’intenzione di operare come difensore di sé medesimo ex articolo 86 c.p.c., ha diritto alla liquidazione delle spese secondo la tariffa professionale.
Nel processo tributario è previsto espressamente, comma 9 e 10 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992, che i soggetti in possesso dei requisiti richiesti, possono stare in giudizio personalmente, ferme restando le limitazioni all’oggetto della loro attività previste nei medesimi commi e si applica l’articolo 182 del codice di procedura civile.
La vicenda ha riguardato un avvocato, citato in giudizio nella sua qualità di presunto datore di lavoro. Infatti una collaboratrice lo citata al fine di vedersi riconoscere le differenze retributive, tredicesima e quattordicesima mensilità, indennità per ferie non godute e integrazione del T.f.r.. Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, in cui il legale si era difeso in proprio ai sensi dell’art. 86 c.p.c., respingeva la domanda della collaboratrice condannandola al pagamento delle spese del giudizio al lordo anche dell’Iva. La collaboratrice, avverso la decisione di primo grado proponeva appello. La Corte territoriale confermava la decisione di prime cure ritenendo le scrutinate risultanze istruttorie inidonee a comprovare il rapporto di subordinazione allegato dall’appellante. La collaboratrice, impugnava la sentenza di appello, proponendo ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
I giudici di legittimità, accolgono il ricorso dichiarando non dovuta dalla ricorrente l’Iva sulle spese del giudizio d’appello liquidate a suo carico in quanto gli articoli 2, 3 e 18 del DPR n. 633/1972 individuano, ciascuno, i presupposti per l’assoggettamento ad IVA della prestazione (che sia effettuata da parte di un soggetto che svolga in modo abituale un’attività commerciale o agricola, un’arte o una professione –trattasi di un’operazione che si riferisce all’attività economica (requisito soggettivo), consistente in una prestazione di servizi verso corrispettivo dipendente da un contratto d’opera (requisito oggettivo), territorialmente rilevante in Italia (requisito territoriale)] in difetto di almeno uno dei tre requisiti l’operazione è esclusa dall’applicazione dell’Iva e l’operatore non deve né addebitare l’imposta al cliente né versarla successivamente all’Erario.
In particolare per gli Ermellini “… l’attività dell’avvocato ha indubbia natura professionale, anche se svolta per difesa personale ai sensi dell’art. 86 c.p.c., con la singolarità, in questo particolare caso, della coincidenza, nell’unicità del soggetto, delle qualità al tempo stesso di prestatore (in quanto avvocato) e di fruitore (in quanto cliente) del servizio del servizio di assistenza legale.
Una tale coincidenza non si attaglia alla previsione dell’art. 18, primo comma, d.P.R. n. 633/1972 (secondo cui: “Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”), la quale presuppone l’alterità dei soggetti, che esaurisce l’ambito di previsione dell’art. 3, primo comma, sopra illustrato.
In tale senso, si è espressa anche questa Corte, secondo cui “ … sussiste il presupposto impositivo individuato dall’art. 3, primo comma del d.P.R. n. 633 del 1972, in una prestazione di servizio “verso corrispettivo” dipendente da un contratto od altro titolo idoneo a vincolare obbligatoriamente le parti … è giurisprudenza costante che una prestazione di servizi è effettuata «a titolo oneroso», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva Iva, soltanto quando tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, per cui il compenso ricevuto dal primo costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al secondo (Corte giust. UE in causa C-653/11, punto 40; 27 marzo 2014, causa C-151/13, Le Rayon d’Or, punto 29 e giurisprudenza ivi richiamata). Questa nozione di prestazione di servizi si riflette nel diritto interno, giacché secondo l’art. 3 del d.P.R. n. 633/72 «costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da…» (sulla necessaria sinallagmaticità delle prestazioni di servizi, per la loro imponibilità ai fini dell’Iva, Cass., Sez.Un., 15 marzo 2016, n. 5078)” (Cass. 9 marzo 2018, n. 5721, in motivazione; nello stesso senso: Cass. S.U. 15 marzo 2016, n. 5078, in motivazione sub p.to 18).
(…)
l’art. 18, primo comma, d.P.R. cit. illustra la neutralità dell’imposta, che mai può gravare sul prestatore, ma soltanto sul consumatore finale: e, nel caso in questione, consumatore finale non è certamente la controparte soccombente nel giudizio, che ha ricevuto una prestazione di assistenza dal proprio difensore (tenuta pertanto a remunerare con un compenso, esso sì soggetto ad Iva), ma non dall’avvocato che si sia difeso personalmente, verso il quale è obbligata al rimborso delle spese processuali, in applicazione esclusiva del principio di soccombenza. …”
A sostegno di tale orientamento, i giudici di piazza Cavour evidenziano, come anche affermato parere di risposta all’interpello n. 914-47/2016 del 10 marzo 2016, che non sussistendo alcun rapporto professionale di carattere oneroso tra il professionista e la suddetta parte soccombente, sicché essa rimane comunque estranea al rapporto originario tra cliente e professionista. Per cui l’IVA non può certo essere addebitata alla parte soccombente in ottemperanza del principio di soccombenza.
Il Supremo consesso conclude, in tema di non applicabilità dell’IVA e dell’assoggettamento all’imposta sul reddito, che “… Sicché, la prestazione personale dell’avvocato in proprio favore (art. 86 c.p.c.), ancorché non fatturata ai fini Iva, è tuttavia documentalmente riscontrata dall’emissione, da parte dell’avvocato autodifesosi risultato vittorioso nel giudizio, di una quietanza (la cui necessaria emissione resta “ferma”, secondo il citato parere di risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate) all’atto del ricevimento dalla parte soccombente delle spese di giudizio liquidate dal giudice: quale proprio reddito documentato da detta quietanza e dalla copia della sentenza di definizione del giudizio in questione, a giustificazione dell’incasso soggetto alla relativa imposta (diretta) sul reddito. …”