La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10556 del 07 maggio 2013 interviene in materia di qualificazione della natura assegno periodico integrativo affermando che l’assegno periodico integrativo hanno natura giuridica di retribuzione differita e non previdenziale.
La vicenda ha visto protagonista un ex dipendente di una banca cessato dal servizio e con cui l’istituto di credito aveva sottoscritto degli accordi transattivi individuali, analoghi nei contenuti, in relazione alla determinazione del cd. “assegno periodico integrativo”, adivano il giudice del lavoro del Tribunale denunciando l’illegittimità del comportamento della Banca che, dopo aver per alcuni anni proceduto all’adeguamento periodico dell’assegno in questione, applicando il meccanismo concordato (indici ISTAT per il costo della vita con periodicità uguale a quella con cui venivano rinnovati i c.c.n.l. per i dirigenti del settore credito).
Il Tribunale rigettava la domanda e la decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Roma. Quest’ultima, in particolare, riteneva che l’assegno in questione avesse natura ontologica previdenziale e non retributiva , per cui non vi erano dubbi sulla diversita’ tra le somme versate a titolo di contribuzione obbligatoria e quelle destinate ad alimentare la previdenza integrativa o complementare – tanto se effettuati dai lavoratori quanto se effettuati dal datore di lavoro ed a prescindere dal soggetto poi tenuto alla effettiva erogazione.
Avverso al decisione dei giudici della Corte di Appello l’ex dirigente presentava ricorso in Cassazione basandolo su due motivazioni.
Gli Ermellini hanno accolto le doglianze del ricorrente evidenziano in particolare che “alla stregua del principio, cui va data continuità, già enunciato da questa Corte nella decisione del 16 luglio 2007, n. 15769 (seguita dalla conforme Cass. 21 giugno 2011, n. 13573): “La norma dell’art. 59, comma 13, della legge n. 449 del 1997, che prevede la sospensione della perequazione automatica al costo della vita, concerne solo i trattamenti previdenziali obbligatori e quelli specificamente contemplati da tale disposizione, e non si applica alla pensione integrativa a carico del fondo aziendale, che ha natura retributiva (e non previdenziale)” – sulla natura retributiva si veda, altresì, Cass. 21 novembre 2012, n. 20418 -. In senso analogo si era, anche, espressa Cass., Sez. U, 1° febbraio 1997, n. 974 che aveva così precisato: “I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale (che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei relativi accantonamenti, disposta – in via di interpretazione autentica dall’art. 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153 – dall’art. 9 bis del D.L. 29 marzo 1991 n. 103, aggiunto dalla legge di conversione 1 giugno 1991 n. 166), sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa.”
ll sistema della ripartizione, a differenza di quello basato sulla capitalizzazione, è destinato, evidentemente, a subire ripercussioni laddove il rapporto tra popolazione attiva e popolazione pensionata è sperequato. Infatti, quando il secondo indice di riferimento supera il primo ovvero quando squilibri si determinano a causa dell’alto tasso di disoccupazione e della scarsa crescita dei salari, la conseguenza è l’incidenza del divario determinatosi sulla spesa previdenziale pubblica (in un sistema di previdenza obbligatoria il trattamento pensionistico è garantito a tutti a prescindere dalla capienza dei contributi versati dai lavoratori in attività).
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