La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 22513 depositata il 02 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamento e deduzione costi ha statuito che il giudice tributario non può estendere la sua cognizione ad annualità non oggetto dell’avviso di accertamento e, quindi, del ricorso, atteso il principio di autonomia di ciascun periodo d’imposta e della natura impugnatoria del processo tributario.
La vicenda , da quanto si può comprendere dalla sentenza in commento, attiene a costi patrimonializzati, la cui quota di imputazione a periodo, tuttavia, non sarebbe stata considerata a fini della determinazione del reddito dei due anni precedenti a quello relativo all’avviso di accertamento notificato ed impugnato. Nel caso di specie i giudice della Commissione Tributaria Regionale avevano disposto che l’Agenzia delle Entrate rideterminasse il reddito di tali annualità precedenti, tenendo conto della quota parte di costo patrimonializzata di competenza di ciascun esercizio e, qualora ne fosse derivata una perdita, la stessa avrebbe dovuto essere considerata ai fini della determinazione del reddito imponibile dell’anno oggetto di accertamento.
Il giudice tributario, operando in tal guisa, di fatto, aveva esteso la sua cognizione a periodi d’imposta non oggetto della controversia facendone refluire gli effetti su quello accertato ed oggetto del contendere.
I giudici di legittimità hanno, pertanto, stabilito che questa circostanza viola il principio di autonomia di ciascun periodo d’imposta. Inoltre, i giudici del Palazzaccio, hanno evidenziato come il giudice di appello con tale decisione era incorso nel vizio di extrapetizione, poiché aveva statuito in ordine ai risultati di esercizio ed alla liquidazione di imposte relativi ad esercizi pregressi a quello oggetto di accertamento. Avendo il processo tributario natura impugnatoria, il giudice non avrebbe dovuto estendere la sua valutazione oltre l’ambito circoscritto dall’atto impugnato e dei vizi denunciati.
La Corte Suprema rammenta, a tal proposito il contenuto dell’art. 112 c.p.c., il quale dispone che il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti.
La Corte Suprema, ricorda quanto più volte statuito dalla stesa in merito al sistema tributario in cui ogni anno fiscale mantiene la propria autonomia rispetto agli altri e comporta la costituzione, tra contribuente e Fisco, di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi agli anni precedenti e successivi. Ne consegue che, qualora le controversie relative a diverse annualità d’imposta del medesimo tributo, ancorché concernenti questioni in tutto o in parte analoghe, siano separatamente decise con più sentenze (anziché con una sola, previa riunione dei relativi giudizi), ciascun giudizio mantiene la sua autonomia e la decisione ad esso relativa non è suscettibile di costituire cosa giudicata rispetto ai giudizi relativi alle altre annualità ( Cass. 14125/2009 e 22197/2004). Per cui ogni anno fiscale comporta un rapporto giuridico distinto
Pertanto alla luce di quanto sopra scritto nella fattispecie il giudice tributario avrebbe dovuto limitarsi alle statuizioni riguardanti il periodo d’imposta oggetto della controversia, potendo estendere la sua cognizione alle altre annualità soltanto nell’ipotesi in cui anch’esse fossero state oggetto di accertamento e di successiva impugnazione con specifiche censure da parte del contribuente, al fine di non incorrere nel vizio di extrapetizione.
Si ricorda che, recentemente, la Cassazione con la sentenza n. 8713 del 2013 ha stabilito che il vizio di extrapetizione si ha quando il provvedimento pronuncia su di un petitum ovvero su di una causa petendi che siano stati diversi rispetto a quelli su cui si sia fondata la domanda. Nella sostanza, si pronuncerebbe su di una domanda differente da quella azionata. Il principio deve però andare coordinato con quell’altro speciale di governo del processo tributario, per cui il carattere oppositivo del giudizio impone di far riferimento al contenuto dell’atto impugnato onde determinare il petitum ovvero la causa petendi della domanda.
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