Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Agrigento, Sezione n. 5, ordinanza n. 428 depositata il 31 marzo 2023
Applicabilità al giudizio tributario dell’istituto del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ai sensi dell’art.363-bis c.p.c – incombendo sugli Stati contraenti la responsabilità di organizzare i loro ordinamenti giuridici in modo da evitare l’adozione di sentenze discordanti (Corte edu, Nejdet $ahin e Perihan $ahin c. Turchia [GC], 2011, § 55).
ELEMENTI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. ha impugnato innanzi a questo giudice tributario il provvedimento di diniego (comunicazione di scarto) del contributo a fondo perduto ex art. 25 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 precedentemente richiesto che l’Agenzia delle entrate aveva assunto con provvedimento del 10.09.2020 recante la seguente motivazione “il mandato di pagamento del contributo non è stato eseguito in quanto il richiedente non risulta tra gli intestatari dell’IBAN indicato o l’IBAN presenta irregolarità”.
La ricorrente ha dedotto che l’IBAN indicato erroneamente dal commercialista della medesima società nell’istanza non era in effetti quello attualmente intestato alla società, in quanto dal 23.10.2017 la banca Intesa Sanpaolo aveva attuato una riorganizzazione delle
proprie filiali e modificato l’IBAN della ricorrente, consentendo espressamente ai propri correntisti l’utilizzo del precedente IBAN, pur raccomandando ai propri clienti di fornire il nuovo IBAN per il pagamento di utenze e per gli addebiti periodici e ricorrenti. Ha aggiunto la ricorrente che dall’IBAN che l’Agenzia non aveva considerato corretto la ricorrente aveva provveduto al pagamento dell’IVA, regolarmente accettato dall’Ufficio. La ricorrente concludeva nel senso dell’illegittimità del diniego del contributo sulla cui debenza non poteva sorgere dubbio, essendo evidente l’errore materiale che aveva determinato l’indicazione dell’IBAN scorretto. Secondo la ricorrente l’Agenzia avrebbe violato il principio di collaborazione e buona fede nei rapporti con il contribuente fissato dall’art. 10 comma 1 della L. 212/2000, anche considerando la Circolare n. 15/E del 13.6.2020 dell’Agenzia delle entrate.
L’Agenzia delle entrate di Agrigento, costituitasi, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o il rigetto del ricorso, contestando che l’atto impugnato costituisse un diniego espresso, potendo la ricorrente riproporre in autotutela altra istanza con l’indicazione dell’IBAN corretto ed in ogni caso insistendo per il rigetto del ricorso, posto che l’erronea indicazione dell’IBAN, non corrispondente a quello del richiedente non poteva essere emendato attraverso l’indicazione del vecchio IBAN, peraltro non risultante dalla dichiarazione IVA prodotta, nella quale era presente unicamente il codice fiscale ed i codici tributo.
Questa Corte di giustizia tributaria, con ordinanza resa all’esito di riserva del 25 ottobre 2022 ed in diversa composizione, ha invitato le parti a formulare osservazioni sulla giurisdizione del giudice adito in relazione alla materia in trattazione. L’Agenzia delle Entrate di Agrigento faceva seguire il deposito di note esplicative, nelle quali osservava che in caso di rigetto della richiesta di contributo nell’atto viene specificata espressamente la possibilità di impugnazione davanti alla competente commissione tributaria, per vizi propri ed aggiungeva che la relazione accompagnatoria alla norma di cui all’art.25 d.l.n.34/2020, nell’affermare esplicitamente la giurisdizione tributaria per il contenzioso avverso gli atti di recupero del contributo, “fonda l’indicazione della natura tributaria dei dati su cui si è basata l’agevolazione”, concludendo che il giudice adito dalla controparte in relazione al semplice scarto telematico dell’istanza doveva ritenersi corretto.
Successivamente, all’udienza del 28 marzo 2023, questa Corte di giustizia sottoponeva alle parti la questione della proponibilità del rinvio pregiudiziale nel giudizio tributario alla Corte di cassazione ai sensi dell’art.363 bis c.p.c. sulla questione relativa alla giurisdizione già prospettata alle parti in relazione all’art.25 d.l. n.34/2020. L’Agenzia delle entrate dichiarava quindi di rimettersi alle valutazioni di questa Corte sull’ipotesi di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione.
Questa Corte di giustizia ha quindi posto la causa in riserva.
In punto di fatto l’oggetto della controversia è dato dal diniego opposto dall’Agenzia delle entrate alla domanda contributo a fondo perduto richiesto sulla base dell’art.25 d.l.n.34/2020, convertito con modificazioni dalla I. n.77/2020. In particolare, l’atto impugnato, reso in data 10.9.2020, reca la seguente motivazione:
Il sistema informativo dell’Agenzia delle Entrate ha esaminato l’istanza di richiesta del contributo a fondo perduto di cui all’art. 25 D.L.34/2020 presentata da Partita IVA a cui è stato attribuito il protocollo telematico 20080900562858642-000004 comunicato con la ricevuta di presa in carico dell’istanza stessa.
DATI PRINCIPALI DELL’ISTANZA
Ricavi/compensi complessivi anno 2019: fascia a) (20%)
Fatturato e corrispettivi Aprile 2019 : 0,00 euro
Fatturato e corrispettivi Aprile 2020 : 0,00 euro
Codice IBAN:
ESITO DI LAVORAZIONE
Con la presente ricevuta, protocollo telematico 20080900562858642-000000 (mod.RBH), l’Agenzia delle entrate comunica che il mandato di pagamento del contributo non è stato eseguito in quanto il richiedente non risulta tra gli intestatari dell’IBAN indicato o l’IBAN presenta irregolarità. – testualmente “ricevuta di scarto ai fini del pagamento dell’istanza di contributo a fondo perduto istanza di scarto di contributo a fondo perduto richiesto dalla società ricorrente in forza all’art.25 d.l.n.34/2020-.
È ancora agli atti il versamento F24 IVA effettuato dalla società ricorrente, nella quale vengono indicate le coordinate del conto corrente dal quale sono state prelevate le somme per il pagamento della società, corrispondenti al codice IBAN precedentemente utilizzato dalla società, corrispondente a quello indicato nell’istanza per l’attribuzione del contributo a fondo perduto ai sensi dell’art.25 d.l.n.34/2020.
Nessuna contestazione ulteriore l’Agenzia ha mosso alla ricorrente quanto ai requisiti previsti dall’art.25 u. cit. per l’ottenimento del contributo a fondo perduto
È, ancora, agli atti la risoluzione n.65 del 12 ottobre 20202 dell’Agenzia delle entrate, nella quale si chiarisce che per ovviare ai provvedimenti di rigetto del contributo dovuti ad errori formali-tra i quali l’errata indicazione dell’IBAN- “il soggetto richiedente- anche mediante l’intermediario delegato -può presentare istanza volta alla revisione, in autotutela, dell’esito di rigetto o dell’entità del contributo erogato sulla base di quella già inviata all’Agenzia delle entrate nel periodo di vigenza del processo”, aggiungendo che le istanze in autotutela saranno prese in carico dall’Amministrazione che le esamineranno valutando le motivazioni presentate dagli utenti e verificando la coerenza dei dati contabili, dichiarati nelle istanze presentate, con gli elementi informativi presenti in Anagrafe Tributaria e l’eventuale documentazione prodotta dal contribuente.
La circolare si conclude prevedendo che “Ove dal predetto esame sia confermato l’esito comunicato in relazione alla istanza iniziale trasmessa nel periodo 15 giugno – 13 agosto, ad esempio risultando corretto l’importo del contributo già erogato, l’Ufficio notificherà motivato diniego di annullamento/revisione, recante avvertenze per l’impugnazione davanti alla competente Commissione tributaria, esclusivamente per vizi propri, in conformità ai principi in materia di impugnabilità del diniego di autotutela.”
Risulta ancora agli atti che con nota del 24.11.2020 la società ricorrente ha depositato richiesta di esercizio dell’autotutela chiedendo di ” riesaminare e di procedere all’annullamento del provvedimento di diniego (comunicazione di scarto) del contributo a fondo perduto ex art. 25 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, portante numero di protocollo 20080900562858642-000004, emesso in data 10.09.2020, relativo all’importo di € 2.000,00 (Doc. 2);
– di provvedere al pagamento del suddetto contributo di € 2.000,00 all’indirizzo IBAN
o, in alternativa, qualora il sistema automatico dovesse registrare errori,all’IBAN:
” Istanza che non sarebbe stata esitata dall’Agenzia secondo quanto dichiarato dalla ricorrente nella nota di deposito atti del 5.2.2021 e che l’Agenzia delle entrate ha dichiarato di avere rigettato sulla base delle deduzioni riportate nell’atto di costituzione, nel quale si sostiene che la ricorrente non avrebbe dovuto proporre reclamo avverso una semplice comunicazione di scarto telematica, priva del valore di diniego espresso e che la ricorrente avrebbe dovuto emendare l’errore in ordine all’IBAN l’atto impugnato a memoria- v., agli atti, bozza di rigetto dell’istanza, prodotta dalla resistente-.
Infine, va ricordato che nella guida operativa dell’Agenzia delle entrate, prodotta agli atti dalla resistente, risulta che “Nel riquadro deve essere indicato il codice IBAN identificativo del conto corrente, bancario o postale, intestato (o cointestato) al soggetto richiedente”. Ancora, nell’istanza per il riconoscimento del contributo a fondo perduto (art.25 d.l.n.34/2020) prodotta dalla ricorrente, risulta che “Per le attività di verifica della corrispondenza del codice IBAN con l’intestatario dell’istanza, Agenzia delle Entrate si avvale di PagoPA Spa, in qualità di Responsabile del trattamento dei dati ai sensi dell’art. 28 del Regolamento UE 679/16.” Si precisa, ancora, che “I suoi dati personali (Codice fiscale e IBAN) saranno comunicati a banche, Poste italiane, istituti…che.. prestano servizi di pagamento per poter verificare che il richiedente il contributo sia intestatario o cointestatario del conto su cui verrà erogato il contributo stesso.”
Orbene, l’Agenzia ha sostenuto preliminarmente l’ammissibilità del ricorso, ritenendo che lo stesso riguardasse un atto (lo scarto telematico) non impugnabile perché non contenente una decisione di rigetto, richiamando l’art.19 d.lgs.n.546/1992 e poi aggiungendo che in caso di istanza di autotutela il richiedente avrebbe potuto proporre ricorso innanzi alla commissione tributaria in caso di rigetto dell’istanza.
Plurime risultano le questioni esclusivamente di diritto rilevanti ai fini della proposizione del presente rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione ai sensi dell’art.363-bis c.p.c.
La prima, in punto di ammissibilità, attiene alla possibilità stessa che il giudice tributario di merito sia legittimato a sperimentare tale strumento, inserito nell’impianto del codice di procedura civile per effetto della introduzione dell’art.363 bis c.p.c. previsto dalla Commissione ministeriale (Luisa) all’interno della riforma del processo civile -poi esitata dalla l.n.206/2021- essendo la questione controversa in dottrina ed evidentemente suscettibile di ripetersi in un numero indeterminato di giudizi tributari. Questione sottoposta all’esame delle parti nel corso dell’udienza pubblica e che presenta, parimenti, notevoli difficoltà interpretative, essendo emerse opinioni assolutamente divaricate in materia che riposano su ragioni di natura sistematica, valorizzandosi talvolta, in senso negativo, la circostanza dello stralcio dalla riforma del processo tributario di una disposizione sostanzialmente – ma non completamente- sovrapponibile prevista dalla Commissione interministeriale per elaborare proposte di interventi in materia di giustizia tributaria (Della Cananea), istituita il 14 aprile 2021. Disposizione introdotta dapprima nello schema di disegno di legge di riforma dello stesso processo tributario -d.d.l.n.2636/2022- e poi stralciata dal Senato nel testo esitato il 4 agosto 2022, insieme all’ipotesi di ricorso nell’interesse della legge del Procuratore generale della Corte di cassazione contro sentenze del giudice tributario di merito, come risulta dalla relazione finale della Commissione Della Cananea, ove pure venivano menzionati gli istituti paralleli allo studio della Commissione Luisa.
L’esistenza di forti contrasti correlati, per un verso, alla rilevanza (o irrilevanza, per quel che qui interessa) della previsione di cui all’art. 1, c.2, d.lgs.n.546/1992 – nella parte in cui garantisce l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile ai giudizi tributari, in quanto compatibili – ai fini della applicazione dell’istituto del rinvio pregiudiziale ai giudici tributari e, per altro verso, alla netta suddivisione fra magistratura ordinaria e magistratura tributaria che la l. n. 130/2022 ha ulteriormente accentuato, non possono che essere demandati all’esame della stessa Corte di cassazione, attenendo appunto ad una questione di diritto di particolare delicatezza e centralità per il sistema di tutela rappresentato dalla giurisdizione tributaria, suscettibile di porsi in numerosi giudizi (tributari) e spettando a detta Corte di cassazione il compito di chiarire se il riferimento contenuto nell’art.363 bis c.p.c. al giudice di merito – quale autorità legittimata a sollevare il rinvio pregiudiziale – vada interpretato, in chiave sistematica, come riferito anche al giudice tributario di primo e di secondo grado.
Diverse possono essere le opzioni interpretative che questa Corte di giustizia tributaria ha vagliato, anche all’esito di apposita riunione di sezione fissata sulle questioni oggetto del rinvio pregiudiziale La prima muove dal convincimento che il rinvio pregiudiziale in materia tributaria, più che porsi come elemento destabilizzante rispetto alle garanzie di autonomia riconosciute ad ogni giudice dall’art.101 c.2 Cast., rappresenti una opportunità offerta al giudice di merito di rivolgersi all’organo giurisdizionale che, nell’attuale sistema, garantisce l’unità del diritto e l’uniforme interpretazione del diritto anche nel sistema processuale e sostanziale del diritto tributario, decidendo le impugnazioni proposte avverso le sentenze del giudice tributario di merito.
Ora, l’opinione di questo Collegio è che proprio lo sviluppo parallelo delle riforme del processo civile e tributario, la sostanziale identità delle disposizioni che apparvero nel corso del drafting legislativo all’interno delle Commissioni che fornirono elementi decisivi sui quali il Parlamento ha poi fondato le due riforme, la ritenuta opportunità dell’elisione dalla riforma tributaria della disposizione sul rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione – forse operata in vista dell’introduzione nel codice di procedura civile dell’art.363 bis per effetto del d.lgs.n.149/2022, essa costituendo attuazione della delega alla riforma del processo civile già approvata con la l.n.206/2021- rappresentino tutti elementi che potrebbero sorreggere la tesi dell’operatività in ambito tributario del meccanismo di cui all’art.363 bis c.p.c., introdotto nel tessuto del codice di procedura civile ed applicabile non solo per effetto del rinvio contenuto nell’art. 1 d.lgs.n.546/1992, ma a monte per il fatto che la Corte di cassazione, ancora di più dopo l’introduzione della riforma adottata dalla l.n.130/2022, rappresenta attraverso la sezione appositamente destinata alla trattazione del contenzioso tributario, l’organo giurisdizionale chiamato a garantire l’uniformità del diritto oggettivo nell’ambito del settore tributario, in linea con la tradizione giuridica, ai sensi dell’art. 65 r.d. 30 gennaio 1941 n.12 -cfr. Cass. S.U. n.8053/2014. Ciò nel senso, indubbiamente innovativo rispetto al ruolo ed alla funzione della Corte di cassazione tradizionalmente intesa come giudice “che cassa”, ma espressivo delle stesse finalità che il “vecchio” art.65 dell’ordinamento giudiziario intendeva perseguire per ragioni che appaiono, ad avviso di questa Corte di giustizia di primo grado attuali, avvertite e centrali nell’attuale contesto sociale e culturale.
Prospettiva che, alla base, si nutre dell’idea della fiducia reciproca e del dialogo fra le Corti interne, assolutamente in linea con altri simili strumenti – alcuni in progress, come il Protocollo n.16 annesso alla CEDU, almeno per l’Italia he non lo ha ancora ratificato- che caratterizzano, ormai, in modo sistematico, i rapporti fra giudici nazionali, di merito e di legittimità, e le Corti sovranazionali, senza che si sia mai ipotizzato un attentato alle prerogative del giudice di ultima istanza rispetto all’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’U.E.
Un istituto – quello introdotto all’art. 363 bis c.p.c. – che, in definitiva, sembrerebbe in questa prospettiva fondarsi su un nuovo bilanciamento, voluto dal legislatore, fra i poteri riconosciuti alla giurisdizione di merito e di legittimità, rispetto al quale alla compressione di potere decisorio alla quale il giudice remittente decide, per un verso, di sottostare nell’esercizio delle prerogative che, come giudice, la legge gli attribuisce fa da contrappeso, per altro verso, una forte espansione del ruolo di impulso dello stesso giudice di merito, individuato come “parte” di un sistema giustizia nel suo complesso che non è più solo funzione dello Stato diretta all’attuazione del diritto nel caso concreto, ma sempre più servizio pubblico nel quale le risorse destinate alla soluzione della singola controversia possono offrire beneficio per il soddisfacimento di un più ampio compendio di esigenze individuali, di cui sono portatori altre parti di altre controversie che pongono temi di indagine omogenei. Un essere così parte di un sistema che considera anche l’effettività dei rimedi giurisdizionale nella singola controversia, appunto strettamente collegata alla funzionalità dell’intero sistema giudiziario composto da risorse umane e finanziarie non illimitate.
Seguendo questa prospettiva il giudice di merito che si accosta al rinvio pregiudiziale, nel demandare la decisone della questione alla Corte di cassazione, non si spoglia dunque in modo defatigatorio del potere decisorio in una prospettiva di asservimento o subordinazione alla Corte di cassazione, ma consapevolmente e responsabilmente offre alla Corte di legittimità non solo l’opportunità di dare indicazioni vincolanti nel giudizio in ordine ad una questione che risulterà rilevante nella definizione del procedimento, ma anche di confezionare una pronunzia avente portata nomofilattica. Un atto, dunque, che non deresponsabilizza affatto il giudice a quo, ma tutto al contrario ne accentua la responsabilità, anche nel prospettare la “specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili” e che non sembra perciò rispondere ad una logica di dualismo competitivo tra corte di merito e Corte di cassazione, fondandosi piuttosto su un pluralismo cooperativo in cui non è decisivo guardare a chi, tra le varie corti in gioco, arrivi per prima, ma piuttosto, evidenziare i tratti comuni che legano inscindibilmente il richiedente ed il decidente, coinvolti attivamente in un dialogo equiordinato nel quale ciascuno è chiamato a porre dei tasselli indispensabili per un esito idoneo a svolgere un ruolo di effettività della tutela giurisdizionale.
Un atto, ancora, che sarebbe così in linea con l’esigenza del giusto processo, nell’accezione complessa che se ne può dare per effetto delle garanzie costituzionali e convenzionali, se appunto si considera che il meccanismo introdotto dall’art. 363 bis c.p.c. affida alla Corte di cassazione il compito di decidere il rinvio ritenuto ammissibile dal Primo Presidente con pronunzie rese in pubblica udienza, sia a sezioni unite che a sezione semplice e con la requisitoria scritta del Procuratore generale, per ciò stesso dotate di una valenza nomofilattica al più elevato livello e tali da renderle – se non vincolante per gli altri giudizi in cui si discuta della medesima questione risolta – sicuramente dotata di un particolare grado di persuasività proprio perché orientata a garantire la certezza e prevedibilità del diritto, ai sensi dell’art.65 della legge sull’ordinamento giudiziario. Tutto ciò in modo da salvaguardare diverse esigenze contrapposte che meritano di essere comunque garantite. Da un lato, quella sottesa alla continua evoluzione giurisprudenziale che non viene in alcun modo intaccata dall’intervento in sede di rinvio pregiudiziale, potendo sia la Corte di cassazione, secondo i meccanismi interni che lo consentono, sia i giudici di merito, motivatamente dissentire dalla posizione espressa (Corte cost.n. 230/12, Cass.n.174/2015, Corte edu, Unédic c. Francia, 2008, n. 74; Corte edu, Parrocchia greco-cattolica di Lupeni e altri c. Romania [GC], 2016, § 116), altrimenti introducendosi ostacoli a qualsiasi riforma o miglioramento (Corte edu, Nejdet $ahin e Perihan $ahin c. Turchia [GC], 2011, § 58; Albu e altri c. Romania, 2012, § 34). E pare evidente che a queste esigenze occorre anche affiancare quelle che colgono l’importanza dell’istituzione di meccanismi finalizzati a garantire la coerenza della prassi giudiziaria e l’uniformità e prevedibilità della giurisprudenza dei giudici (Corte edu, Svilengaéanin e altri c. Serbia, 2021, § 82), incombendo sugli Stati contraenti la responsabilità di organizzare i loro ordinamenti giuridici in modo da evitare l’adozione di sentenze discordanti (Corte edu, Nejdet $ahin e Perihan $ahin c. Turchia [GC], 2011, § 55). E non pare potersi disconoscere che spetti proprio ad una corte suprema il ruolo di risolvere eventuali contraddizioni o incertezze derivanti da sentenze recanti interpretazioni divergenti.
Le ragioni che stanno al fondo del rinvio pregiudiziale appena esposte potrebbero trovare conferma con specifico riguardo al settore tributario, se è vero che l’art.3 della l. n. 130/2022, laddove attribuisce al Primo presidente della Corte di cassazione il compito di adottare “provvedimenti organizzativi adeguati al fine di stabilizzare gli orientamenti di legittimità e di agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione in materia tributaria, favorendo l’acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla sezione tributaria, esprime appunto un’esigenza di razionalizzazione degli orientamenti giurisprudenziali all’interno della Cassazione, nella quale il contenzioso tributario assume notoriamente una dimensione di particolare rilevanza quanto a pendenze e sopravvenienze. Ora, proprio le esigenze appena ricordate potrebbero completarsi in modo armonico con l’istituto del rinvio pregiudiziale in materia tributaria, anzi costituendone la naturale proiezione dal basso nell’ambito della giurisdizione tributaria di merito spiegandosi in maniera lineare, in questa prospettiva, il vaglio di ammissibilità delle questioni esclusivamente di diritto riservate al Primo Presidente della cassazione, in questo caso investito di funzioni appunto doppiamente legittimate sia dal ricordato art.3 che dall’art.363 bis c.3, c.p.c.
In questa direzione, del resto si pongono sia la Relazione del Primo presidente della Corte di cassazione in occasione della relazione sull’amministrazione della giustizia per l’anno 2023-pag.283- che la relazione dell’Ufficio del Massimario dedicata al tema della riforma del processo civile -rel.n.96/2022-, in sintonia con una parte della dottrina secondo la quale il rito del processo civile in Cassazione è unico, indipendentemente dalla materia trattata, sicché le misure che investono la funzione giurisdizionale della Corte di legittimità, devono innestarsi nell’ambito dell’impianto generale che regola il processo di legittimità, evitandosi distonie processuali che finirebbero con l’incidere inevitabilmente sul diritto di difesa costituzionalmente garantito. Ciò, a maggior ragione, considerando che la Sezione Tributaria, per quanto concepita come sezione specializzata, non realizza un ordine autonomo e specializzato (art. 103 Cast.), sicché se fosse rimasta la previsione di una funzione di legittimità (nel caso il rinvio, pregiudiziale) deputata solo alla materia tributaria, tale previsione sarebbe stata sicuramente incompatibile con il sistema del nostro ordinamento processuale.
Tuttavia, si riscontrano autorevoli opinioni di diverso segno in materia di applicabilità del rinvio pregiudiziale al giudizio tributario che affondano su una pluralità di argomenti correlati vuoi all’iter legislativo che ha condotto, in sede parlamentare, allo stralcio dell’istituto del rinvio pregiudiziale originariamente pensato come modifica al sistema del processo tributario- art.62 ter da aggiungere al d.lgs.n.546/1992 secondo l’originaria proposta contemplata dall’art.2, 2° comma, lett.g) del d.d.l.n.2636, cit., solo in parte sovrapponibile all’attuale art.363 bis c.p.c., soprattutto in ordine ai presupposti di accesso al rinvio pregiudiziale-, salutato in sede parlamentare come espressivo della volontà di non prevedere nel processo tributario siffatto meccanismo, vuoi all’utilizzo ed alla portata dell’espressione “il giudice di merito” che compare nel primo comma dell’art.363 bis c.p.c. – già valorizzata al punto 2.5 della rel. dell’Ufficio del Massimario della Corte di cassazione n. 98/2021 per ritenere, come ricordato in dottrina, scontata la non applicabilità del rinvio pregiudiziale al giudizio tributario – vuoi al tema dell’esistenza o necessità di una specifica delega all’interno della l.n.206/2021 in ordine all’introduzione del meccanismo del rinvio pregiudiziale per i giudici di merito tributario. Argomenti che giustificano il presente rinvio pregiudiziale sulla questione, di particolare complessità, della stessa ammissibilità del rinvio ed in particolare il dubbio, di portata generale, “se l’art.363 bis cpc, introdotto dall’art. 3 comma 27, lett. c) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 in attuazione dell’art. 1, comma 9, lett. g), I. 26 novembre 2021, n. 206 si applichi al giudice tributario di merito”.
Venendo alla questione di particolare difficoltà demandata all’esame della Corte di cassazione in sede di rinvio pregiudiziale ritiene questa Corte di giustizia che il tema della interpretazione del compendio normativo connesso al contributo a fondo perduto ed alla giurisdizione competente a decidere le controversie nelle quali l’Agenzia delle entrate abbia rigettato le richieste dei potenziali beneficiari e che trovano la loro regolamentazione nell’art.25 d.l.n.34/2020 sembra essere essa stessa questione esclusivamente di diritto necessaria per la definizione del procedimento all’esame di questa Corte di giustizia e di particolare complessità, oltre che nuova e destinata a proporsi in numerosi giudizio per plurimi ragioni.
Anzitutto, va evidenziato che nel caso di specie la controversia si incentra sul mancato riconoscimento del contributo di euro 2.000,00 richiesto dalla ricorrente per la sola ragione rappresentata dalla errata indicazione dell’IBAN che, nelle istruzioni dell’Agenzia delle entrate e nella Guida operativa fornita ai richiedenti, deve indicare l’IBAN su cui accreditare la somma richiesta che deve essere quello intestato al soggetto richiedente. In altre controversie già passate al vaglio di questa Corte di giustizia o pendenti innanzi a questa stessa Corte si discute sempre della legittimità delle decisioni di scarto telematico adottate dall’Agenzia delle entrate per ragioni che tutte riposano sulla non ricorrenza dei presupposti formali o sostanziali previsti dall’art.25, deducendosi specificamente l’assenza del requisito consistente nella diminuzione di fatturato, la carenza di legittimazione attiva alla richiesta del contributo, l’assenza dei presupposti soggettivi in relazione alla composizione della struttura societaria richiedente. Giudizi nei quali l’Agenzia delle entrate ha costantemente rappresentato per un verso l’inammissibilità del ricorso perché emesso contro un atto non contenente un rigetto della domanda di contributo e comunque l’infondatezza del ricorso per assenza dei presupposti.
Orbene, rispetto a tali giudizi, risultano depositate due sentenze che hanno accolto i ricorsi dei soggetti richiedenti, ritenendo correttamente attivata la tutela giurisdizionale innanzi al giudice tributario contro l’atto di scarto. Tanto sembra fare emergere, anzitutto, il requisito della numerosità delle liti che possono dipendere dalla questione di giurisdizione sollevata, vieppiù confermata dall’esistenza di altro precedente del giudice tributario che ha invece dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sul ricorso proposto contro l’atto di scarto telematico adottato dall’Agenzia telematica impugnato dal richiedente che ne prospettava l’illegittimità ritenendo sussistenti i presupposti per il riconoscimento del contributo di cui all’art.25 d.l.n.34/2020. In particolare, i dubbi in ordine alla portata interpretativa dell’art.25 u.cit. in punto di giurisdizione tributaria e la ponderosità dell’ipotetico contenzioso si è già manifestata con pronunzie rese da altro giudice tributario -cfr. CTP Milano n.4296/2021del 16.11.2021- e da questa stesso giudice tributario -cfr. CTP Agrigento, nn.1333/2022 (R.G. n.10/2021) e 1334/2022 (R.G. n.11/2021), sentenze entrambe depositate il 18 novembre 2022, che hanno deciso nel merito, accogliendoli, i ricorsi proposti dai soggetti che avevano impugnato le decisioni di “scarto” dell’Agenzia delle entrate relative a contributi previsti dall’art.25 d.l.n.34/2020 negati anche se i richiedenti rientravano fra i comuni colpiti da eventi calamitosi, in tal modo affermando la giurisdizione del giudice tributario, per via dell’iter già intrapreso e oltre che in ragione della natura sostanziale del rapporto tra le parti, qualificato da dati in possesso della sola amministrazione finanziaria.” Giudizi che sono tutti accomunati dalla circostanza che l’Agenzia ha denegato il contributo con provvedimenti di “scarto telematico” mettendo in discussione, nei singoli ricorsi, i presupposti legittimanti il riconoscimento del contributo medesimo.
Occorre precisare, ancora in punto di ammissibilità del rinvio pregiudiziale sulla questione di interpretazione qui proposta, involgente il tema della giurisdizione, che questa Corte di giustizia ha individuato in punto di fatto la fattispecie sulla quale si innesta la questione prospettata sulla base del quadro fattuale sopra indicato, analiticamente individuando il contenuto degli atti prodotti e le verifiche in fatto ad esse connesse.
Si pone, tuttavia, il dubbio se in sede di rinvio pregiudiziale possa sollecitarsi alla Corte di cassazione la questione interpretativa esclusivamente di diritto incidente sulla giurisdizione del giudice che solleva il rinvio.
Questa Corte giustizia tributaria evidenzia la particolare delicatezza della questione, posto che le Sezioni Unite della Corte di cassazione chiamate a individuare la giurisdizione in sede di regolamento preventivo sono, come noto, anche giudice del fatto, potendo e dovendo esaminare gli atti ed i fatti -per come emergenti dalla domanda- avuto riguardo alla causa petendi e al petitum sostanziale della stessa, -v., ex plurimis, Cass.,Sez. U., n.156/2020, Cass.S.U.22575/2019- e che l’art.363 bis c.p.c. ammette il rinvio per questioni “esclusivamente” di diritto.
Ora, secondo un primo approccio ermeneutico la pur peculiare questione di diritto di cui qui si discute, involgente profili che il giudice a quo individua rilevanti rispetto alla sua giurisdizione, non impedirebbe il ricorso al rinvio pregiudiziale, essendo la questione rimessa pur sempre “esclusivamente di diritto” collegata al tema della giurisdizione- recte, dell’interpretazione del quadro normativo di riferimento rilevante ai fini dell’individuazione del plesso giurisdizionale competente a decidere la controversia-. Ciò perché non verrebbe in alcun modo rimessa alla Corte alcuna questione di fatto, ma unicamente l’interpretazione della regola astratta di diritto ai fatti come rappresentati dal giudice a quo in funzione del dubbio in ordine alla giurisdizione del giudice che solleva il rinvio oggetto del contraddittorio e specificamente esaminato dalla parte resistente nella memoria già ricordata. Il che potrà dunque suscitare un principio di diritto vincolante nel procedimento nell’ambito del giudizio al quale si riferisce la questione o, in caso di estinzione nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda-art.363 ult.comma c.p.c.- in questa prospettiva il mezzo del rinvio pregiudiziale su questione che involge i profili di giurisdizione non si porrebbe come speculare o sovrapponibile allo strumento del regolamento preventivo di giurisdizione, non soltanto per la ragione connessa alla titolarità del potere di sollevarlo che viene conferito non alle parti, come fa l’art.41 c.p.c., ma -in modo innovativo – al giudice di merito, in piena coerenza con le prerogative allo stesso riservate in tema di rilevabilità ex officio della questione di giurisdizione, ma anche per l’ambito di operatività del principio di diritto sulla questione interpretativa sollevata in sede di rinvio pregiudiziale che potrebbe essere, come detto, non integralmente sovrapponibile a quello proprio del giudice di legittimità chiamato a regolare la giurisdizione. Per modo che si potrebbe dubitare della ragionevolezza di un sistema che, pur consentendo la rilevazione d’ufficio della questione di giurisdizione nel giudizio di merito da parte del giudice che pone alle parti la questione di giurisdizione ed eventualmente la denega, non riconosca allo stesso giudice di merito -ordinario e tributario- di proporre il rinvio pregiudiziale sulla medesima questione dell’interpretazione della disciplina normativa che involge la giurisdizione della quale dubita, quando l’ordinamento ha appunto introdotto un meccanismo destinato a risolvere i dubbi di natura esclusivamente di diritto.
Sicché seguendo questa prospettiva, il dubbio in ordine alla portata dell’art. 25 d.l.n.34/2020 con riferimento alla giurisdizione si palesa in quello volto a chiarire di chiarire se la previsione contenute nell’intero articolo e, in particolare, nel comma 12 laddove si individua l’applicazione alle controversie relative all’atto di recupero per le controversie relative all’atto di recupero delle disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 abbia inteso riferirsi, in generale, alla giurisdizione del giudice tributario – come assume parte resistente ed in definitiva lo stesso ricorrente che non ha posto in dubbio la competenza del giudice adito- e se tale disposizione propaghi i suoi effetti sulle controversie nelle quali è in discussione il diritto all’ottenimento del contributo e non soltanto alle liti correlate al solo recupero del contributo indebitamente versato dall’Agenzia. E sempre nella stessa linea ermeneutica potrebbe osservarsi che il tema dell’individuazione delle disposizioni che incidono sul riparto fra diversi plessi giurisdizionali costituisce uno dei fattori più dirompenti, ove controverso, rispetto all’allungamento dei tempi processuali anche in materia tributaria, come testimoniato dal notevole contenzioso rimesso all’esame delle Sezioni unite civili. Sicché sembrerebbe paradossale che proprio tale questione (di giurisdizione) sia estranea al rinvio pregiudiziale, tenuto conto delle finalità che lo animano e della finalità del principio dal quale deriverebbe la regola da applicare con riguardo alla giurisdizione sulla base dei fatti esposti nel rinvio stesso.
V’è tuttavia da evidenziare che un’interpretazione di segno diverso rispetto alla questione da ultimo evidenziata potrebbe fondarsi su una nozione restrittiva del riferimento, contenuto nell’art.363 bis c.p.c., alle questioni esclusivamente di diritto che, pur talvolta criticata in dottrina sul presupposto che non sarebbe possibile concepire una categoria di questioni non esclusivamente di diritto, avrebbe appunto concepire l’intervento della Corte di cassazione come unicamente rivolto a fissare una regola astratta di diritto sulle norme alle quali si riferisce il dubbio del giudice remittente che risulterebbe dunque incompatibile con il sistema processuale codificato quanto ai motivi di giurisdizione che possono essere proposti in seno al ricorso per cassazione o al regolamento di giurisdizione o, ancora, in seno ai conflitti di giurisdizione.
Spetta tuttavia soltanto alla Corte di cassazione individuare, in quella logica di dialogo e fiducia di cui è già fin troppo detto che appunto esclude vincitori e vinti, ma favorisce la chiarezza del sistema soprattutto nelle fasi di rodaggio del meccanismo di rinvio pregiudiziale, se l’art.363-bis c.p.c. vada inteso nel senso che il sindacato riservato alla Corte in sede di esame della questione di diritto che concerne l’individuazione della giurisdizione rispetto alla controversia pendente sia o non compatibile con la richiesta adottata in sede di rinvio pregiudiziale.
Venendo così al fondo della questione interpretativa, ove la Corte di cassazione dovesse ritenere di poterla affrontare in sede di rinvio pregiudiziale, giova premettere che secondo l’impianto normativo detto contributo a fondo perduto, spettante ai soggetti indicati nel comma 1 dell’art.25 ult.cit. – soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito testo unico delle imposte sui redditi) – viene erogato quando l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019 ed è determinato applicando una percentuale alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. Detto contributo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, e non concorre alla formazione del valore della produzione netta, di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 e si ottiene sulla base di una istanza, il contenuto della quale viene determinato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate anche in relazione ai termini di presentazione dell’istanza. Il contributo a fondo perduto è corrisposto dall’Agenzia delle entrate mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al soggetto beneficiario. I fondi con cui elargire i contributi sono accreditati sulla contabilità speciale intestata all’Agenzia delle entrate n.1778 “Fondi di Bilancio”. L’Agenzia delle entrate provvede al monitoraggio delle domande presentate ai sensi del comma 8 e dell’ammontare complessivo dei contributi a fondo perduto richiesti e ne dà comunicazione con cadenza settimanale al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.
Ai fini della questione di interpretazione relativa alla giurisdizione assume poi rilievo particolare il comma 12 dell’art. 25 ult. cit., secondo il quale “Per le successive attività di controllo dei dati dichiarati si applicano gli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, anche a seguito del mancato superamento della verifica antimafia, l’Agenzia delle entrate recupera il contributo non spettante, irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 e gli interessi dovuti ai sensi dell’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in base alle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 421 a 423, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Si rendono applicabili le disposizioni di cui all’articolo 27, comma 16, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché, per quanto compatibili, anche quelle di cui all’articolo 28 del decreto 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Per le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.”
Orbene, oggetto della lite nel presente procedimento è come già detto rappresentato dal ricorso proposto dal contribuente volto ad ottenere il pagamento del contributo in ragione della comunicazione di scarto relativa alla richiesta avanzata dalla parte ricorrente e disattesa per erronea indicazione dell’IBAN che l’Agenzia ritiene costituire elemento imprescindibile ai fini dell’ottenimento del contributo, evidentemente anche al fine di prevenire eventuali frodi- come si desume dagli atti prodotti dall’Ufficio sopra ricordati.
La disposizione che viene qui in rilievo, in termini generali, è la prima di altre simili previsioni normative che, susseguitesi nel tempo, hanno previsto contributi analoghi in favore di imprese e professionisti, riproponendo lo schema normativo previsto dall’art. 25 d.l.n.34/2020 -v. , in particolare, articolo 59 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (c.d. «Rilancio» – contributo a fondo perduto), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77; articolo 1 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. «Ristori» – contributo a fondo perduto da destinare agli operatori IVA dei settori economici interessati dalle nuove misure restrittive), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176; articolo 2 del decreto-legge 18 dicembre 2020, n.172, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2021, n. 6 (c.d. decreto «Natale»); articolo 1 del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. decreto «Sostegni»)-. Si tratta di disposizioni che rimandano, in tutto o in parte- e per quel che qui interessa al comma 12 – al ricordato art.25 d.l.n.34/2020 quanto alle questioni relative alla legittimazione dell’Agenzia delle entrate alla ricezione dell’istanza per l’ottenimento del contributo, alla successiva verifica dei requisiti oggettivi e soggettivi, all’eventuale erogazione o diniego del contributo ed alla specifica indicazione della giurisdizione tributaria per le ipotesi di recupero del contributo indebitamente erogato.
In sostanza, tale previsione normativa, se interpretata come disposizione di rinvio alla competenza giurisdizionale del giudice tributario, radicherebbe tale giurisdizione rispetto agli atti tesi ad ottenere la restituzione del contributo inizialmente versato dalla stessa Agenzia su istanza del richiedente, facendo sorgere il dubbio in ordine alla natura tributaria del contributo stesso rispetto alla giurisdizione relativa al contenzioso nel quale sia in discussione non il recupero del contributo già dato, ma il riconoscimento stesso della provvidenza. Dubbi che troverebbero ulteriore conferma non solo nel fatto che, nella medesima disposizione, il soggetto indicato come legittimato a riconoscerlo è l’Agenzia delle entrate, ma anche in relazione alle modalità di ripresa delle somme indebitamente corrisposte che il legislatore ha calibrato richiamando espressamente, all’interno dello stesso art. 25, la procedura prevista dai commi 421 e 423 della l.n.311/2004 e, per l’appunto, assimilando l’atto di recupero motivato del contributo indebitamente riconosciuto a quelli relativi ai crediti d’imposta indebitamente utilizzati in tutto o in parte, ancora rimandando alla disciplina fiscale anche per ciò che riguarda il sistema degli interessi (art.20 d.P.R. n.602/1973) e, soprattutto, delle sanzioni(art.13, c.5 d.lgs.n.471/1997).
Ed è appena il caso di ricordare che non si dubita della giurisdizione tributaria per i casi in cui si controverta dell’esistenza di un credito d’imposta, esso involgendo un rapporto tributario -cfr. Cass. S.U. n.3773/2014-.
Ora, reputa questa Corte di giustizia che i dubbi interpretativi sulla giurisdizione in base al tessuto normativo anzidetto potrebbero accrescersi ulteriormente se si considera la natura del contributo, essendosi talvolta ipotizzata in dottrina la sussumibilità dello stesso nell’ambito di un credito d’imposta – ove riconosciuto dall’Agenzia e dunque valorizzando, in questa stessa direzione, i dati ricordati dall’Agenzia delle entrate in seno alla memoria, – relazione governativa al d.l.n.34/2020 e giustificazione offerta a proposito della giurisdizione tributaria in tema di recupero-.
In termini generali, questa Corte di giustizia tributaria non può che ricordare che per verificare se il contributo oggetto del presente procedimento, non riconosciuto dall’Agenzia, abbia natura fiscale e possa rimanere attratto da quella giurisdizione in base all’art.2 del d.lgs.n.546/1992 o meno rilevano i principi espressi dalla Corte costituzionale, a tenore dei quali «una fattispecie deve ritenersi “di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili requisiti: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese» (Corte cast. n.167/2018, Corte cast. n.269 e n.236 del 2017; Corte cast. n. 89/2018).
Giova ricordare che le Sezioni Unite della Cassazione hanno avuto occasione di ricordare che la Corte costituzionale, nell’intervenire su questioni concernenti l’ambito della giurisdizione tributaria, dopo avere ricordato che questa “deve essere considerata un organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione”, ha riconosciuto che l’oggetto di tale giurisdizione, così come la disciplina degli organi speciali, ben possano essere modificati dal legislatore ordinario, il quale, tuttavia, incontra precisi limiti costituzionali consistenti nel “non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisdizione speciale) le materie attribuite” a dette giurisdizioni speciali e nell’assicurare la conformità a Costituzione delle medesime giurisdizioni. Sulla base di tali considerazioni, le Sezioni Unite hanno affermato che la giurisdizione tributaria” deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto” e che l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali -cfr., testualmente, Cass. S.U., n. 20323/2012-. Tale illegittima attribuzione, hanno ancora ricordato queste Sezioni Unite richiamando, in particolare, Corte Cast. nn. 64 e 130 del 2008, n. 238 del 2009 e n. 39 del 2010, può derivare, direttamente, da una espressa disposizione legislativa che ampli la giurisdizione tributaria a materie non tributarie ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di “tributaria” data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia -cfr. Cass. S.U. n.37445/2022-.
Ora, l’unico elemento di collegamento fra il contributo a fondo perduto, che non impone un pagamento, ma riconosce al richiedente in possesso dei requisiti, una somma versatagli dall’Agenzia delle entrate e la materia astrattamente tributaria potrebbe essere rappresentato dallo stretto vincolo esistente fra quantum del contributo e livello di redditività del richiedente.
Resterebbe solo da comprendere se tale elemento possa in sé modificare o incidere sulla natura del contributo, avuto anche riguardo alla circostanza che la Corte costituzionale -nella già ricordata C. Cast. n. 130/2008- ebbe a dichiarare l’illegittimità dell’art.2 del D.lgs. 546/92 nella parte in cui devolveva alla giurisdizione tributaria le liti inerenti alle sanzioni amministrative comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove conseguissero a violazioni di natura non tributaria. Orientamento che potrebbe confermare l’irrilevanza, ai fini del radicamento della presente controversia alla giurisdizione tributaria, della legittimazione a riconoscere il contributo attribuita all’Agenzia delle entrate, chiamata ad un’attività di verifica delle condizioni analiticamente descritte dalla disciplina positiva.
Elementi, quelli fin qui evidenziati, che potrebbero orientare nel senso di ritenere che il comma 12 dell’art. 25 d.l.n.34/2020, comunque lo si interpreti- e cioè se esso si riferisce alla disciplina sostanziale o anche processuale con riguardo agli atti di recupero non potrebbe ritenersi applicabile rispetto agli atti dell’Agenzia delle entrate che disconoscono il contributo richiesto rispetto alla controversia qui pendente concernente il contributo negato dall’Agenzia delle entrate per l’erronea indicazione dell’IBAN, nemmeno ravvisandosi in questa prospettiva, anche in relazione alle difese esposte dalla parte resistente, profili di discrezionalità nell’erogazione dello stesso che potrebbero, in astratto, orientare per il riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo.
Ora, la complessità, difficoltà e problematicità della questione relativa alla portata dell’art. 25 d.l.n.34/2020 per le ragioni sopra esposte sembrano giustificare l’intervento della Corte di cassazione proprio al fine di evitare che la decisione sulla questione possa produrre incertezze applicative destinate ad incidere in maniera determinante sui diritti reclamati dal richiedente il contributo a fondo perduto e di soggetti che dovessero trovarsi in situazioni analoghe, esponendo la vasta platea dei richiedenti che non abbiano ottenuto il contributo ad incertezze in ordine al plesso giurisdizionale da adire destinate a ripercuotersi sulla sfera patrimoniale degli stessi e dello Stato, se si considera la numerosità dei soggetti interessati a tali provvidenze per le ragioni sopra esposte.
Tale questione esclusivamente di diritto sembra dunque presentare non solo gravi difficoltà interpretative non ancora affrontate dalla Corte di cassazione, ma anche i requisiti della novità e della suscettibilità di porsi in numerosi giudizi, proprio in ragione dell’intervento legislativo che, nel rivolgersi agli effetti procurati dalla pandemia da Covid 19, ha inteso adottare misure destinate a rivolgersi ad una platea assai numerosa di possibili destinatari, coinvolgendo espressamente tra i beneficiari il ceto produttivo e professionale dell’intero Paese.
In conclusione, proprio in ragione della novità e rilevanza dell’istituto qui attivato e delle questioni esaminate, questa Corte di giustizia tributaria ritiene di sollevare il rinvio pregiudiziale di cui all’art.363-bis c.p.c. alla Corte di cassazione affinché essa, secondo le scansioni previste dall’art.363-bis c.p.c., possa fissare principi di valenza nomofilattica sulle questioni, fatte oggetto di specifico contraddittorio, concernenti la rilevanza dell’art.363 bis c.p.c. nel giudizio tributario di merito, la ammissibilità di questioni di diritto incidenti sulla giurisdizione in sede di rinvio pregiudiziale e, conseguentemente, la portata dell’art.25 d.l.n.34/2020 sulle controversie relative alla spettanza del contributo a fondo perduto disciplinata dall’art.25 d.l.n.34/2020, ricorrendo tutte le condizioni previste dai nn.1,2 e 3 dell’art.363-bis c.p.c.
In attesa della decisione della Corte di cassazione il presente procedimento è sospeso ai sensi dell’art.363 bis, 2° comma c.p.c.
P.Q.M.
Visto l’art.363 bis c.p.c.
Solleva rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di cassazione nei termini di cui in motivazione.
Dispone la immediata trasmissione del presente rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione. Si comunichi.
Dispone l’oscuramento dei dati personali in caso di pubblicazione del presente provvedimento ai sensi dell’art.52 d.lgs. n.196/2003.