Corte di Cassazione sentenza n. 1138 del 17 gennaio 2013  

LAVORO (RAPPORTO DI) – LICENZIAMENTO – MOBILITA’ – ADESIONE AL FONDO DI SOLIDARIETA’ – LEGITTIMITA’

massima

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Il D.M. 28 aprile 2000, n. 158 ha istituito presso l’Inps il Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito nei confronti dei lavoratori delle aziende cui si applicano i contratti collettivi del credito. Il Fondo provvede all’erogazione di assegni straordinari ed al versamento della contribuzione correlata. In base al regolamento del Fondo, il lavoratore che rinunci al preavviso ed alla relativa indennità sostitutiva, richiedendo i benefici previsti dalla normativa, pone in essere una accettazione esplicita della anticipata risoluzione del rapporto di lavoro.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 12 marzo 2007 la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale che ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla Banca Meridiana a C.R., dipendente come quadro direttivo di quarto livello con funzioni di direttore di filiale presso la sede di Brindisi, nell’ambito di una procedura di riduzione del personale ed in applicazione del criterio selettivo della maggiore anzianità contributiva.

La Corte territoriale ha ritenuto, in primo luogo, infondata la tesi della banca secondo la quale il R. aderendo al fondo di solidarietà, aveva accettato il licenziamento con conseguente preclusione di ogni impugnativa.

La Corte ha poi rilevato che nella comunicazione di avvio della procedura di mobilità di cui alla nota del 17 maggio 2004 mancava l’indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente e che infatti gli allegati alla stessa, in violazione dell’art. 4 L. n. 223/1991, non contenevano alcuna reale indicazione delle posizioni professionali in esubero, né dei settori effettivamente interessati al programma di riduzione; che con specifico riferimento all’area di Brindisi cui era addetto il ricorrente gli esuberi risultavano tre, ma solo tra gli addetti ai fidi ovvero tra personale di profilo professionale diverso dal ricorrente. La Corte ha poi rilevato che la mancata osservanza della procedura nei suddetti aspetti era circostanza ammessa dalla stessa banca laddove sosteneva la validità dei licenziamenti collettivi disposti sulla sola base del criterio adottato della pensionabilità, nonché dove aveva espressamente ammesso che anche un addetto che ricopriva una posizione lavorativa non eccedentaria doveva essere licenziato, se era pensionabile o accompagnabile alla pensione, per liberare un posto all’addetto che ricopriva una posizione eccedentaria ma che non era individuabile in base al criterio pattuito.

Secondo la Corte territoriale la tesi della banca poggiava su un’arbitraria sovrapposizione dei criteri di scelta elencati nell’art. 5 L. n. 223/1991 rispetto alle forme previste dal precedente art. 4; le due norme invece operavano su piani diversi in quanto dapprima dovevano essere indicati il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedentario e solo in via successiva, qualora i lavoratori eccedentari fossero stati in numero superiore rispetto a quello programmato, poteva essere richiamato il criterio da seguire per l’individuazione dei singoli lavoratori; che diversamente opinando si sarebbe finito per vanificare ogni portata precettiva dell’art. 4 e per lasciare l’imprenditore libero di individuare preventivamente i lavoratori da licenziare o da porre in mobilità sulla base del solo criterio prescelto, nella specie quello della pensionabilità, senza alcuna possibilità di comparazione concreta ed effettiva sotto il profilo tecnico organizzativo tra lavoratori eccedentari e non eccedentari.

La Corte ha osservato ancora che la legislazione di settore ed in particolare l’art. 59 della legge n. 449 del 1997, che prevedeva nei casi di ristrutturazione e riorganizzazione riguardanti tra l’altro le banche la possibilità per le parti sociali di stipulare accordi che stabilissero in via prioritaria il criterio della maggiore età ovvero della maggiore prossimità alla maturazione del diritto a pensione, non abrogava né introduceva deroghe agli obblighi previsti dalla legge del 1091; che la mancanza di censure da parte dei sindacati sul criterio della pensionabilità prescelto non sanava l’inosservanza della procedura di cui all’art. 4 della legge citata.

Infine, la Corte quanto all’eccezione della banca sulla necessità di tenere conto dell’aliunde perceptum ed in particolare del trattamento erogato dal fondo di solidarietà, ha rilevato che il lavoratore aveva dichiarato la sua disponibilità alla restituzione e che comunque il risarcimento spettante ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 non poteva essere diminuito degli importi per il suddetto titolo.

Avverso la sentenza propone ricorso in cassazione la Banca Meridiana, ora Bancapulia, formulando 5 motivi di impugnazione.

Si costituisce C.R. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Banca denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale del 28/4/2000 n. 158 (art. 360 n. 3); omessa, insufficiente motivazione su un punto controverso del giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Censura la sentenza nella parte in cui aveva affermato la compatibilità della domanda di accesso al Fondo di solidarietà e l’impugnazione del licenziamento. Rileva che gli accordi sindacali avevano previsto una specifica incentivazione all’esodo sotto forma di trattamento erogato dal fondo di solidarietà e che il R. aveva accettato questa incentivazione e ricevuto il trattamento dal fondo scegliendo questo assetto transattivo.

Rileva che il Decreto Ministeriale citato subordinava l’accesso al Fondo alla conclusione delle procedure contrattuali, preventive e di legge, con accordo aziendale e che ciò era avvenuto nella specie con la conseguenza che chi chiedeva l’accesso al fondo chiedeva l’applicazione dell’accordo aziendale e aderiva alla cessazione del rapporto.

Deduce che l’accesso al fondo era prevista come libera possibilità con funzione di incentivo all’esodo proprie del trattamento di prepensionamento; che l’adesione del lavoratore al fondo era atto negoziale del tutto libero e costituiva condizione indispensabile, insieme alla definitiva cessazione del rapporto, per l’attivazione del programma di prepensionamento; che tale complesso meccanismo era chiaramente incompatibile con un’accettazione dell’ingresso nel fondo aleatoria. La censura è fondata.

La ricorrente ha eccepito che la scelta del R. di accedere al Fondo precludeva qualsiasi impugnativa del licenziamento.

Questa Corte ha già avuto modo di statuire più volte (cfr. Cass. n. 20358/2010; n. 17406/2011 e 2517/2012; n. 16247/2012) con orientamento cui va data continuità, che “il D.M. 28 aprile 2000, n. 158, istitutivo, presso l’INPS, del Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e qualificazione professionale del personale dipendente dalle imprese di credito, ha previsto l’erogazione, a carico di detto Fondo, di assegni straordinari per il sostegno del reddito, in forma rateale, unitamente al versamento della correlata contribuzione ex art. 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996, riconosciuti ai lavoratori ammessi a fruirne nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo (art. 5), condizionando l’erogazione degli assegni ed il versamento della contribuzione alla previa rinuncia al preavviso ed alla relativa indennità sostitutiva per l’anticipata risoluzione del rapporto (artt. 10,11,14-16). Ne consegue che, alla stregua di una interpretazione sistematica ed alla luce della “ratio” della normativa recata dal citato D.M. (che è quella di contenere al massimo l’eventuale contenzioso derivante dai processi di ristrutturazione aziendale), la rinuncia anzidetta è intesa come accettazione della anticipata risoluzione del rapporto di lavoro, determinando essa l’acquiescenza al licenziamento e precludendo, quindi, la sua successiva impugnazione”. Questa Corte (cfr Cass. 2517/2012) ha anche evidenziato che ” nel decreto in esame sono riscontrabili indici inequivocabili dell’intendimento di correlare alla cessazione del rapporto l’accesso alle specifiche prestazioni ora in esame. Basti considerare al riguardo il richiamo agli eventuali ulteriori benefici previsti dalla contrattazione collettiva, connessi all’anticipata risoluzione del rapporto (art. 10, comma 14), il riferimento “all’ex datore di lavoro” ed a “successivi rapporti di lavoro dipendenti o autonomi, con specifica indicazione del nuovo datore di lavoro” (art. 11)”.

Ciò premesso deve rilevarsi che nella fattispecie in esame la Banca Meridiana ha licenziato il dipendente con lettera del 24/6/2004. Il R. ha proposto dapprima con lettera del 6/7/2004 impugnativa del licenziamento, e successivamente con atto del 27/8/2004 ha chiesto l’accesso al Fondo di Solidarietà usufruendo di fatto dell’assegno da questo erogato. Nella lettera di impugnativa il R. aveva manifestato anche l’intento di aderire al Fondo di Solidarietà cosi come previsto dal DM n. 158/2000 “costretto dal bisogno di conseguire il sostentamento proprio e della propria famiglia”. Il successivo atto di adesione al Fondo non contiene più alcuna riserva e, dunque, qualsiasi diversa o contraddittoria volontà precedentemente formulata risulta superata dalla chiara e successiva manifestazione di aderire al Fondo di solidarietà. Per le considerazioni di cui sopra deve affermarsi, anche, l’inammissibilità di un successivo ripensamento del lavoratore in quanto risulterebbe contrario alla ratio legis un’interpretazione che consenta l’erogazione del beneficio mantenendo aperta la possibilità di rimettere in discussione la ormai intervenuta conclusione del rapporto.

Nella memoria di cui all’art. 378 il R. ha esposto di non aver mai rinunciato al preavviso ed alla relativa indennità. Appare evidente che la rinuncia al preavviso ed all’indennità sostitutiva è conseguenza automatica dell’adesione al fondo e della disciplina di cui al D.M. n. 158/2000, non avendo il R. neppure mai contestato tale condizione, né indicato in quale atto o momento processuale precedente aveva sottoposto tale questione all’esame del giudice.

Con l’accoglimento del primo motivo del ricorso restano assorbiti gli altri motivi che attengono alla legittimità del licenziamento.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la domanda di C.R. volta alla dichiarazione dell’illegittimità del licenziamento deve essere respinta.

La complessità della materia e la novità della questione risolta dalla Corte solo da epoca relativamente recente giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito respinge la domanda di C.R. e compensa le spese dell’intero processo.