Corte di Cassazione sentenza n. 15860 del 20 settembre 2012
LAVORO (RAPPORTO DI) – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO AVVENUTO CON TELEGRAMMA – INSUBORDINAZIONE DEL DIPENDENTE – INADEMPIENZA DEGLI ORDINI DEL DATORE DI LAVORO
massima
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È legittimo il licenziamento che si basa sulle continue assenze che erano state ritenute ingiustificate prescindendo dalla legittimità o meno del trasferimento, che aveva subito il lavoratore.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10.7.2001 la Corte d’appello di Firenze, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da G.C. contro la C.U.I. s.p.a., a cui era subentrata la s.p.a. A.I., di impugnativa di un provvedimento di trasferimento da Firenze a Calenzano e del licenziamento intimatogli con telegramma del 5.1.1999.
Il ricorso per cassazione proposto dall’interessato era rigettato con sentenza 29 giugno 2004, n. 10422.
Successivamente il C. proponeva contro la sentenza di appello ricorso per revocazione, che era rigettato dalla Corte d’appello di Firenze.
Con la relativa sentenza la Corte fiorentina dava conto del complessivo iter processuale ricordando in particolare che:
– il C., liquidatore in servizio presso l’ispettorato sinistri di Napoli, a seguito del disposto suo trasferimento all’ispettorato sinistri di Firenze, aveva ottenuto dal Pretore di Napoli con provvedimento di urgenza la sospensione di tale provvedimento, ma successivamente lo stesso pretore con sentenza di merito in data 15.10.1998 aveva ritenuto giustificato il trasferimento a Firenze;
– nel frattempo il C., stante la chiusura dell’ispettorato di Firenze, era stato assegnato a una sede in Calenzano e aveva stragiudizialmente impugnato tale provvedimento, qualificato come trasferimento;
– la Compagnia assicuratrice, dopo avere contestato al lavoratore con diverse lettere l’assenza presso la nuova destinazione, lo aveva licenziato con il già indicato telegramma del 5.1.1999;
– il giudice di appello aveva rigettato l’impugnazione essenzialmente sulla base del rilievo che il C. aveva posto in essere, come già rilevato dal primo giudice, un’inammissibile forma di autotutela, concretatasi da un lato nel rifiuto di prestare l’attività lavorativa nel luogo legittimamente indicatogli dall’azienda e dall’altro nell’unilaterale svolgimento della prestazione presso l’originaria sede di lavoro; e che tale condotta integrava un’evidente e reiterata inadempienza ad un preciso ordine del datore di lavoro, che il C. – salvo il legittimo esercizio dell’impugnativa giudiziale – aveva il preciso dovere di ottemperare;
– lo stesso giudice di appello nel valutare la proporzionalità del provvedimento di licenziamento, aveva dato rilievo alla reiterazione per mesi delle condotte inadempienti, alla pervicace ostinazione nel pretendere di continuare a svolgere la propria attività in un sede con situazione di esubero di personale confermata dal giudice campano, al comportamento ostruzionistico e anche un pò irridente tenuto durante il procedimento disciplinare, al fatto di essersi messo in malattia immediatamente dopo aver preso servizio a Calenzano dopo quattro mesi e mezzo di “braccio di ferro”;
– nelle more procedeva anche il giudizio in corso a Napoli di impugnativa del trasferimento, caratterizzato dalla riforma in appello della sentenza di primo grado, avendo la Corte d’appello dato rilievo alla mancata osservanza della norma contrattuale sulla richiesta da rivolgere al lavoratore circa l’esistenza di eventuali gravi motivi ostativi del trasferimento, e dalla conferma in cassazione, con sentenza 2 marzo 2007, n. 4936, della sentenza di appello.
La Corte d’appello quale giudice della revocazione sintetizzava i motivi della impugnazione nei seguenti termini letterali:
«a) 395 n. 2: la sentenza da revocare sarebbe fondata su prove false, ritenendo parte ricorrente che il licenziamento e, quindi, la sua convalida, fosse fondato sul falso elemento dato dalla illegittimità del trasferimento;
b) 395 n. 1: dolo di una parte a danno dell’altra; il motivo è illustrato affermando che il provvedimene di trasferimento era stato dolosamente adottato omettendo il previo interpello, contrariamente a quanto previsto dal CCNL, come accertato dalla Suprema Corte;
c) 395 n. 5: essendo sentenza (…) contraria ad altra precedente (purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione, testualmente il codice di rito). Ed in effetti sarebbe del tutto evidente la contrarietà in quanto quella fiorentina si basava sulla legittimità dei trasferimento, definitivamente esclusa dalla Cassazione;
d) 395 n. 4: […] sentenza affetta da errore perché fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è inequivocabilmente esclusa o viceversa (sempre che il punto non fu controverso tra le parti). Secondo il revocante detti documenti sarebbero la sententi del Tribunale dì Napoli e della Cassazione, le quali hanno definitivamente ed inequivocabilmente escluso la legittimità di quel trasferimento erroneamente supposto dai giudici toscani.»
Preliminarmente la Corte d’appello rigettava l’eccezione di tardività dell’impugnazione, rilevando che, secondo l’impostazione di quest’ultima, i documenti o le prove sopravvenute che autorizzavano la revocazione erano costituiti dalle sentenze di appello e di cassazione sul provvedimento di trasferimento e prima della sentenza di cassazione essi non potevano assurgere al rango di prova del dolo di una parte (n. 1), prova falsa (n. 2), documento sopravvenuto (n. 3), sentenza basata su fatto/atto erroneo (n. 4).
Nel merito, la Corte rilevava:
– quanto al motivo ex art. 395 n. 2, che la sentenza impugnata non era fondata sul falso elemento della legittimità del trasferimento, risultando evidente che la Corte aveva affermato la legittimità del licenziamento non in base alla legittimità del trasferimento ma a causa delle assenze che erano state ritenute ingiustificate prescindendo dalla legittimità o meno del trasferimento;
– quanto al motivo ex art. 395 n. 1, che il dolo revocatorio avrebbe dovuto riguardare il giudizio nel cui ambito si inseriva la revocazione e non l’altro giudizio;
– quanto al motivo ex art. 395 n. 5, che nella specie non era ravvisabile la contrarietà ad un precedente giudicato, in quanto in realtà era il giudicato, in quanto era il giudicato sul trasferimento ad essere sopravvenuto;
– quanto al motivo ex art. 395 n. 4, che nella specie la decisione non era basata sulla legittimità del trasferimento, poi esclusa da altra sentenza, ma la Corte giudicante aveva affermato che la sua pronuncia prescindeva da quel fatto, essendo risultata intollerabile solo la reiterata insubordinazione relativa all’esecuzione del trasferimento. Peraltro la stessa Corte di cassazione aveva rilevato l’autonomia delle due vicende processuali, affermando testualmente che “la questione della legittimità del trasferimento non formava oggetto della presente controversia, che deve pertanto essere decisa indipendentemente dalla soluzione di quella”.
Il C. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La Soc. A.I. resiste con controricorso e propone due motivi di ricorso incidentale condizionato.
Memorie di entrambe le parti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi devono essere riuniti (art. 335 c.p.c.).
Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa corrispondenza tra chiesto e pronunciato), in relazione al rigetto del primo e del quarto motivo del ricorso per revocazione.
Con una prima censura, premesso che riguardo al quarto motivo del ricorso per revocazione per mero errore materiale era stato indicato l’art. 395 n. 4 invece che l’art. 395 n. 3, in quanto il motivo era fondato chiaramente sulla emersione di documenti sopravvenuti alla pubblicazione della sentenza da revocare, si lamenta che la sentenza impugnata non abbia esaminato tale motivo come esplicitato nel ricorso e invece abbia preso in considerazione un motivo mai dedotto.
La censura non è concludente, in quanto risulta evidente l’infondatezza del motivo di revocazione anche se qualificato e interpretato nel termini ora proposti.
E’ decisivo e assorbente il fatto che l’art. 395 n. 3 prende in considerazione l’ipotesi di ritrovamento in un momento successivo allo svolgimento del giudizio di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o di fatto dell’avversano. E’ chiaro quindi che deve trattarsi di documenti già esistenti al momento del giudizio, la cui produzione era rimasta ostacolata per una delle specifiche ragioni indicate dalla norma (Cass. n. 2010/1973, 1838/1990, 4610/1996, 8859/1996). Nella specie, invece, dichiaratamente e pacificamente si erano invocati documenti (la sentenza di appello e la sentenza di cassazione pronunciate nel giudizio sulla legittimità del trasferimento) sopravvenuti alla sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Firenze riguardo al licenziamento e quindi oggetto del giudizio di revocazione ora pervenuto in questa sede di cassazione.
Deve anche rilevarsi che la sentenza di rigetto della revocazione è basata, come meglio si vedrà più avanti, sull’identificazione di una ratio decidendi della sentenza revocanda rispetto alla quale non influisce il diverso indirizzo assunto dal giudizio sulla legittimità del trasferimento.
Analoga doglianza è formulata con riferimento al primo motivo del ricorso per revocazione, sostenendosi che la Corte d’appello non ha esaminato e deciso se, per effetto della citata sentenza Cass. n. 4936/2007, il provvedimento di trasferimento posto dalla società datrice di lavoro ad espresso fondamento del successivo provvedimento di licenziamento andava considerato alla stregua di una prova falsa per essere stato dichiarato nullo dalla Corte di cassazione.
Anche questa censura è priva di concludenza, in quanto non è assolutamente possibile l’assimilazione di una sentenza riformata nell’ambito del normale iter processuale ad una prova di cui sia stata dichiarata la falsità.
Peraltro, rileva anche in questo caso in senso ostativo la già indicata ragione di fondo del rigetto della revocazione.
Il secondo motivo denuncia motivazione carente, illogica e contraddittoria in ordine al rigetto del primo-del quarto e del secondo motivo del ricorso per revocazione (falsità di prove, scoperta di nuovi documenti e dolo di una parte in danno dell’altra).
Si censura l’erronea impostazione, l’intima contraddizione della sentenza impugnata nell’escludere l’irrilevanza della eliminazione con effetto retroattivo della dichiarazione della nullità del trasferimento sulla giustificatezza delle assenze poste a base del licenziamento, anche perché tale dichiarazione di nullità non poteva non incidere sulla insubordinazione addebitata al lavoratore. Si osserva anche al riguardo che la sentenza impugnata aveva omesso di ricordare che nella sentenza revocanda si legge che “in ogni caso”, anche a voler considerare solo le assenze posteriori alla pronuncia del pretore di Napoli del 15.10.1998, sia avrebbero pur sempre assenze ingiustificate nei periodi 16-19 ottobre e 21-27 ottobre.
Si lamenta poi che il giudice a quo, per rafforzare il convincimento espresso sulla intangibilità della sentenza revocanda, abbia formulato considerazioni sull’illegittimità di comportamenti di insubordinazione rispetto alle prestazioni richieste dal datore di lavoro, come precisato dalla giurisprudenza con riferimento al rifiuto di mansioni ritenute dequalificate: i giudici fiorentini avevano quindi delibato la proposta revocazione alla stregua di una impugnazione ordinaria. Viceversa con il ricorso per revocazioni era stato fatto valere il mutato quadro probatorio, il sopravvenire di una causa di ingiustizia della sentenza esterna al processo o al procedimento logico-giuridico di formazione della revocanda sentenza, e su tali ragioni dell’impugnazione non vi era stata adeguata motivazione.
E riguardo alla motivazione della sentenza sul motivo di revocazione del dolo di una parte ai danni dell’altra, si rileva che, per quanto già dedotto, la questione della legittimità del trasferimento costituiva il presupposto, la base giuridica dell’intimato licenziamento. Si osserva anche-che l’ingannevole prospettazione di assenze ingiustificate costituiva una falsa rappresentazione che aveva influito sulla decisione.
Riguardo al complesso delle censure di cui al motivo, deve rilevarsi che la motivazione della sentenza revocanda, nella sua parte essenziale, è adeguatamente fondata sull’identificazione e il richiamo della ratio decidendi della sentenza revocanda, la quale, come puntualmente rilevato in occasione della sua impugnazione in cassazione, era basata sulla tesi che la mancata ottemperanza del lavoratore ai provvedimenti datoriali di assegnazione del medesimo a una determinato sede di lavoro era qualificabile in termini di insubordinazione in mancanza di una sospensione della loro efficacia, a prescindere dalla definitiva sorte dei provvedimenti stessi a conclusione del giudizio sulla loro impugnazione.
Neanche poteva ritenersi integrata l’ipotesi prevista dall’art. 395 n. 1 c.p.c., della sentenza effetto del dolo di una parte in danno dell’altra.
Premesso che integra la fattispecie del dolo processuale revocatorio quell’attività intenzionalmente fraudolenta che si concreti in artifici e raggiri (che possono consistere anche nel mendacio su fatti decisivi della causa), tali da travisare una situazione in modo da farla apparire diversa da quella reale, onde fuorviare il giudice nell’accertamento della verità processualmente rilevante (Cass. n. 6595/2006, 12720/2002), deve rilevarsi che nella specie non risulta dedotta nessuna effettiva ipotesi di dolo ai sensi di legge verificatosi nel giudizio in cui è stata emessa la sentenza revocanda.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c. e dell’art. 2103 c.c.
Si deduce che la Corte d’appello ha compiuto un’erronea applicazione degli artt. 1460 e 2103 c.c., dovendosi ritenere, in contrasto con l’isolato precedente giurisprudenziale richiamato, che sia giustifica la mancata ottemperanza a provvedimenti aziendali affetti da nullità.
Come si è già detto, la sentenza impugnata è fondamentalmente e adeguatamente basata sulla identificazione e valorizzazione dei punti essenziali della motivazione della sentenza revocanda, mentre non hanno effettivo rilievo le considerazione in diritto formulate ad abundantiam in merito alla condivisibilità dell’impostazione della sentenza revocanda medesima.
Il ricorso principale deve quindi esser rigettato.
Consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato (finalizzato alla riproposizione della tesi della tardività della revocazione e di quella della distinzione del provvedimento di trasferimento alla direzione della società in Calenzano, presso la quale si erano verificate le assenze che avevano dato luogo al licenziamento, rispetto al precedente trasferimento all’ispettorato in Firenze).
Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; condanna G.C. a rimborsare alla controparte le spese del giudizio, liquidate in Euro quaranta per esborsi ed Euro tremila per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.
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