CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2019, n. 20719
Licenziamento – Trasferimento – Sussistenza delle ragioni organizzative – Rifiuto di eseguire la prestazione presso la nuova destinazione lavorativa – Grave insubordinazione
Rilevato che
1. Il Tribunale di Monza, con sentenza nr.182 del 2017, rigettava l’opposizione proposta da G.A., ai sensi dell’art. 1, commi 51 e ss., della legge nr. 92 del 2012, avverso l’ordinanza del medesimo Tribunale che, a sua volta, aveva respinto l’impugnativa di licenziamento intimato il 20.3.2015, previo accertamento dell inefficacia e/o illegittimità del trasferimento;
2. la Corte di appello di Milano, con sentenza nr.1732 del 2017, respingeva il reclamo proposto dal lavoratore, ai sensi del medesimo art. 1, commi 58 e ss., della legge nr. 92 cit.;
3. la Corte territoriale, per quanto oggi rileva, ha ritenuto che:
3.1. il trasferimento del 29.1.2015 non era stato impugnato, nei termini di legge, in quanto contestato, per la prima volta, con il ricorso in opposizione del 21.12.2015;
3.2. in ogni caso, il trasferimento era legittimo: il mutamento della sede era giustificato dall’esigenza di una nuova struttura organizzativa commerciale, presso la sede di Terni, cui era stato destinato il lavoratore; tutti i venditori e corrispondenti dell’Ufficio Gestione Vendite Nazionali Italia erano stati accentrati in Terni e l’Avezza, assegnato a funzioni nell’ambito di detto ufficio, era l’unico dipendente ancora fuori sede; la posizione del lavoratore presso la sede di origine era stata definitivamente soppressa;
3.3. alla legittimità del trasferimento, conseguiva la legittimità del recesso: la condotta del lavoratore che, deliberatamente, non aveva preso servizio presso la nuova sede di adibizione, integrava una grave insubordinazione, violando il vincolo gerarchico ed il potere di autoregolamentazione del datore di lavoro;
3.4. andava esclusa la tesi difensiva dell’eccezione di inadempimento, stante la legittimità dell’atto datoriale: l’esecuzione del provvedimento datoriale era possibile, non comportando alcun pericolo o danno per il lavoratore;
3.5. a fronte di superiori ed incensurabili esigenze organizzative, le motivazioni personali erano prive di rilievo, specie se le stesse, come nel caso di specie, «avrebbero potuto essere gestite in maniera compatibile con la nuova destinazione lavorativa»;
3.6. il recesso non aveva natura ritorsiva;
4. avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione, G.A., affidato a cinque motivi.
5. ha resistito, con controricorso, la parte datoriale.
6. entrambe le parti, in prossimità dell’udienza del 13.11.2018, hanno depositato memoria;
7. la trattazione del ricorso è stata rinviata all’odierna udienza camerale, su richiesta della difesa del lavoratore, per consentire la trattazione congiunta con altro procedimento relativo ad entrambe le parti;
8. ha depositato requisitoria scritta il PG;
Diritto
Considerato che
1. con il primo motivo – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione dell’articolo 101 cod.proc.civ. con riferimento all’articolo 111, co. 2, Cost. e dell’art. 2969 cod.civ.; la censura riguarda la pronuncia di ufficio sulla «tardività» dell’impugnazione del trasferimento, in assenza di una eccezione, in tal senso, sollevata dalla parte datoriale; si assume, in ogni caso, la violazione del principio del contraddittorio, dovendo la Corte di appello, quanto meno, sottoporre la questione alle parti e consentire alle stesse di dedurre in merito;
2. con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; la questione oggetto del primo motivo è riproposta sotto il profilo del vizio di motivazione; secondo la parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che era incontestata e, comunque, documentale la prova della raccomandata del 16 febbraio 2015 con cui si impugnava detto trasferimento;
3. con il terzo motivo – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta omessa pronuncia ai sensi dell’articolo 112 cod. proc. civ.; la censura riguarda la statuizione di «assorbimento di ogni altra questione»; secondo la parte ricorrente, erano state dedotte, in appello, questioni non «coperte» dalle ragioni argomentative della decisione; in particolare, risultava dedotta, nell’atto di reclamo, la natura dequalificante del trasferimento che rendeva, ex se, l’atto datoriale illegittimo e giustificava la condotta del lavoratore, ai sensi dell’art. 1460 cod.civ.; inoltre, la Corte di appello avrebbe omesso, nella sostanza, di pronunciarsi in merito alle previsioni di cui all’art. 8 del CCNL (che stabilisce testualmente: «in caso di trasferimenti individuali dovrà tenersi conto delle obiettive e comprovate ragioni che il lavoratore dovesse addurre contro il trasferimento»);
4. con il quarto motivo è dedotta violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ.; la parte ricorrente, in relazione alla pronuncia di decadenza dall’impugnativa del trasferimento, prospetta, altresì, vizio di ultrapetizione; la sentenza è censurata per aver statuito d’ufficio, pur trattandosi di questione oggetto di eccezione in senso stretto; la successiva valutazione, nel merito, del licenziamento configurerebbe solo una pronuncia ad abuntandiam, priva di effetti giuridici;
5. con il quinto motivo – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione degli articoli 1175, 1375, 1460 cod. civ. e dell’art. 8 del CCNL Metalmeccanici Industria con riferimento anche all’articolo 2 della Costituzione; le ragioni di critica di cui al terzo motivo vengono riproposte sotto il profilo della violazione delle norme indicate in rubrica; la parte ricorrente reitera la deduzione di apodittica affermazione di irrilevanza delle esigenze personali del lavoratore a fronte della sussistenza delle ragioni organizzative del trasferimento;
6. per ragioni di ordine logico giuridico vanno esaminati preliminarmente il terzo ed il quinto motivo di ricorso che, nel complesso, afferiscono alla statuizione di legittimità, nel merito, del trasferimento e del successivo licenziamento;
6.1. essi sono fondati nei limiti di cui alla motivazione che segue;
6.2. come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano «a fronte della sussistenza delle ragioni oggettive a base del trasferimento» ha ritenuto che «nessun rilievo po(tessero) avere le motivazioni personali del lavoratore specie se le stesse, come nel caso in esame, avrebbero potuto essere gestite in maniera compatibile con la nuova destinazione lavorativa»;
6.3. in parte qua, pur non configurandosi la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ., formalmente denunciata nella rubrica del terzo motivo, sussiste, invece, una grave omissione motivazionale, nella sostanza, dedotta con le sviluppate censure;
6.4. la decisione del giudice d’appello si mostra palesemente assertiva nella parte in cui esclude rilievo alle esigenze personali del lavoratore, per essere le stesse compatibili con la nuova destinazione lavorativa, perché del tutto priva delle ragioni che la sorreggono; in altre parole, l’esclusione di ragioni personali che avrebbero legittimato la condotta del lavoratore – questione specificamente devoluta alla Corte di appello, con richiamo dell’art. 8 del CCNL di disciplina (cfr. pag. 3, punto 6., della sentenza impugnata) – è espressa secondo uno schema meramente assertivo, sulla base di conclusioni disancorate dalle risultanze di causa, con una motivazione che finisce per essere meramente figurativa e apparente, tanto da violare il c.d. «minimo costituzionale» della motivazione medesima (v. Cass. nr. 16247 del 2018; Cass. nr. 5159 del 2018; Cass. nr. 26538 del 2017; in motivazione, Cass. nr. 12456 del 2019);
6.5. per il resto, la Corte di appello, sia pure implicitamente, ha ritenuto di escludere l’attribuzione di compiti dequalificanti, richiamando il contenuto, al riguardo non sufficiente, delle allegazioni sviluppate negli atti difensivi («lo stesso (id est: il lavoratore) si è limitato a dedurre circa un asserito demansionamento […]»);
7. il primo, il secondo ed il quarto motivo possono trattarsi congiuntamente, investendo, nel complesso, la statuizione di tardività dell’impugnazione del provvedimento di trasferimento;
7.1. essi (i motivi), sono inammissibili in quanto censurano argomentazioni della sentenza che, all’evidenza, sono rese ad abundantiam rispetto alla principale ratio decidendi che si incentra tutta sulla legittimità della condotta datoriale;
7.2. diversamente da quanto argomentato nei motivi di ricorso, reputa il Collegio che le considerazioni svolte dalla Corte di appello, in ordine al momento ed alle modalità di impugnazione del trasferimento, siano da considerare (esse appunto e non già quelle relative al merito del trasferimento medesimo), alla stregua del complessivo tenore della sentenza, eccedenti rispetto alla necessità logico-giuridica della decisione e, quindi, costituenti meri «obiter dieta», come tali non vincolanti, improduttivi di effetti giuridici e che quindi, non sono suscettibili di gravame, né di censura in sede di legittimità (Cass. nr. 11160 del 2004; Cass. nr. 23635 del 2010 ; Cass. nr. 1815 del 2012; in motiv., Cass. nr. 28923 del 2018, § 4.5.);
8. conclusivamente, vanno accolti, nei termini di cui alla presente motivazione, il terzo ed il quinto motivo di ricorso e dichiarati inammissibili gli altri; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano che, in diversa composizione, procederà a riesaminare la fattispecie, provvedendo anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo ed il quinto motivo, nei limiti di cui in motivazione, dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
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