CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 agosto 2022, n. 25303
Licenziamento – Accertamento di illegittimità del trasferimento – Portalettere – Reintegrazione – Indennità risarcitoria
Rilevato che
1. con sentenza 31 dicembre 2018, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il reclamo di P.I. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di (reiezione della sua opposizione all’ordinanza di) illegittimità del licenziamento intimato con lettera del 16 novembre 2015 a F.M., per non aver preso servizio come portalettere (con assenza ingiustificata per oltre sessanta giorni), non già nell’originaria sede di Valmontone, bensì nella nuova nel comune di Torino, cui era stata assegnata a seguito della sentenza della Corte d’appello di Roma del 26 giugno 2015 (di accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti nel 2003); la pronuncia di illegittimità del licenziamento era seguita dall’ordine alla società di reintegrazione della predetta nel posto di lavoro e dalla condanna risarcitoria in misura pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
2. in via preliminare, essa ha ribadito l’ammissibilità del rito Fornero in relazione alla domanda della lavoratrice, per la natura incidentale dell’accertamento di illegittimità del trasferimento, siccome strumentale a quella del licenziamento ad esso conseguente; neppure configurandosi la violazione, rispetto al giudizio pendente davanti al Tribunale di Velletri di legittimità del medesimo trasferimento, del principio di ne bis in idem, in assenza di una specifica censura da parte della reclamante dell’affermazione del Tribunale di accertamento meramente incidentale di illegittimità del trasferimento, inidoneo alla formazione di un giudicato, neppure essendosene formato uno su detto provvedimento datoriale;
3. nel merito, la Corte capitolina ha negato che la società datrice avesse offerto una prova idonea a dimostrare l’eccedentarietà del personale nel comune di Valmontone e il rispetto dell’accordo sindacale del 14 febbraio 2014, in ordine alle indifferibili esigenze aziendali di riequilibrio del personale, alla base del trasferimento della lavoratrice nel comune di Torino (nell’ambito delle regioni capienti per disponibilità di posti: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna) e neppure ne avesse considerato la condizione di donna divorziata con un figlio in tenera età (ed ex marito con diritto di visita del minore), in violazione dell’art. 38 CCNL applicato (secondo il quale: “nel disporre il trasferimento la società terrà conto delle condizioni personali e familiari del lavoratore interessato”) e del generale principio di correttezza. Sicché, essa ha incidentalmente ritenuto illegittimo il trasferimento disposto e integrante grave inadempimento della società datrice, cui la lavoratrice aveva legittimamente opposto il proprio, ai sensi dell’art. 1460 c.c., pure proporzionato, essendosi resa disponibile a prestare la propria attività nella sede di Valmontone, ivi presentandosi il giorno della sua riammissione in servizio (15 luglio 2015);
4. con atto notificato il 26 febbraio 2019, la società ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui la lavoratrice ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. la società ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 39, 298, 337, secondo comma c.p.c. e comunque dell’art. 18, quarto comma l. 300/1970, per non avere la Corte territoriale, al fine di prevenire un contrasto di pronunce né essendo stata accolta l’istanza di riunione dei due giudizi (sul presupposto ostativo di diversità dei riti di trattazione, erroneamente ritenuto), disposto, senza neppure esplicita motivazione, la sospensione necessaria, o quanto meno facoltativa, dell’odierno giudizio in attesa della definizione di quello pregiudicante di impugnazione del trasferimento della lavoratrice (in esito alla sua riammissione in servizio), alla base del licenziamento intimatole, pendente davanti al Tribunale di Velletri e da questo ritenuto legittimo, con pronuncia impugnata davanti alla Corte d’appello (primo motivo);
2. esso è inammissibile;
3. in via preliminare, occorre osservare come l’ipotesi prevista dall’art. 39 c.p.c. (verosimilmente di continenza) sia stata soltanto indicata in rubrica, senza alcuno sviluppo argomentativo nel contenuto del motivo: in ogni caso, essa non ricorre, attesa la pendenza dei due giudizi in questione davanti allo stesso ufficio giudiziario (Corte d’appello di Roma), mentre è nota la configurabilità degli istituti di litispendenza e di continenza, regolanti la competenza per territorio, soltanto fra cause pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi (Cass. 21 aprile 2010, n. 9510; Cass. 23 settembre 1013, n. 21761);
3.1. giova poi sottolineare come il solo provvedimento ordinatorio richiesto dalla ricorrente sia stato di riunione, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., tra l’odierno giudizio e quello di impugnazione del trasferimento della lavoratrice, alla base del licenziamento oggetto del primo indicato, con istanza rigettata dal Presidente Coordinatore della Sezione Lavoro della Corte d’appello di Roma con decreto del 27 settembre 2018 (integralmente trascritto a pg. 9 del ricorso): oggetto di una censura evidentemente inammissibile, per essere stato il provvedimento emesso nell’esercizio di un potere discrezionale del giudice, avente natura ordinatoria e fondato su valutazioni di mera opportunità, pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass. s.u. 6 febbraio 2015, n. 2245; Cass. 30 marzo 2018, n. 8024);
3.2. in assenza invece di alcuna propria specifica sollecitazione di parte nel giudizio di appello, né avendo la Corte capitolina ritenuto di porsi la questione (diversa da quelle processuali preliminari di inammissibilità di trattazione della domanda di accertamento di illegittimità, sia pure in via strumentale, del trasferimento con rito Fornero e di violazione con la stessa del principio di ne bis in idem: risolte ai punti sub A, B di pg. 4 della sentenza), soltanto davanti a questa Corte P.I. prospetta, in via di eventualità alternativa al rigetto dell’(unica)istanza di riunione, la possibilità di una “sospensione necessaria (art. 295 c.p.c.) ovvero, quanto meno, quella sospensione discrezionale (art. 337 c.p.c.)” (così al quinto capoverso di pg. 10 del ricorso): il che rende palesemente inammissibile la deduzione, che neppure si configura come censura, per la ragione detta;
3.3. in ogni caso, neppure si configurano i presupposti: a) né di un potere, nella pendenza davanti al medesimo ufficio giudiziario di più cause connesse per pregiudizialità, del giudice della causa pregiudicata di sospenderla ai sensi dell’art. 295 c.p.c., da rimettere piuttosto al capo dell’ufficio, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., per la sua valutazione in ordine all’opportunità di assegnarla al giudice della causa pregiudicante: a nulla rilevando che i due giudizi siano soggetti a riti diversi, soccorrendo in tal caso la regola dettata dall’art. 40 c.p.c. (Cass. 20 luglio 2012, n. 12741; Cass. 17 maggio 2017, n. 12436; Cass. 16 giugno 2020, n. 11634); b) né di un potere di sospensione del processo ai sensi dell’art. 337, secondo comma c.p.c., in quanto soltanto facoltativa, in presenza di un rapporto di pregiudizialità in senso lato tra la causa pregiudicante e quella pregiudicata (Cass. 4 gennaio 2021, n. 80), non esplicando la statuizione assunta nella prima un effetto di giudicato nella seconda, né richiedendo che le parti dei due giudizi siano identiche: a differenza di quella disciplinata dall’art. 295 c.p.c., che è sempre necessaria, essendo finalizzata ad evitare il contrasto tra giudicati nei casi di pregiudizialità in senso stretto e presupponendo l’identità delle parti dei procedimenti (Cass. 25 agosto 2020, n. 17623);
4. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’Accordo del 14 febbraio 2014 e dell’art. 38 CCNL del 2011, anche in relazione all’art. 41 Cost., per essere stata la ragione di trasferimento della lavoratrice comprovata dal Verbale di Accordo suindicato, avente ad oggetto la “Gestione degli effetti delle riammissioni in servizio”, condivisa da P.I. s.p.a. con le OO.SS., con la quale era stata: per un verso, accertata la situazione generale di eccedentarietà di personale stabile addetto al settore Recapito; per altro verso, prospettata la necessità, in caso di riammissione dei lavoratori in uno di questi centri, del loro trasferimento in un Comune sede di Centro di Distribuzione in una delle Regioni specificamente indicate (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto), con esigenze di carattere produttivo tali da consentire il superamento della percentuale del 100% di personale stabile (come avvenuto per F.M.). E ciò per essere in detto Verbale contenute quelle ragioni di carattere tecnico-organizzativo e produttivo richiamate nell’art. 38 CCNL del 2011, sindacabili giudizialmente sotto l’esclusivo profilo di effettività, in assenza di previsione di alcun titolo di preferenza per la composizione del nucleo familiare e potendo il lavoratore (o la lavoratrice) esprimere un’indicazione preferenziale di trasferimento in uno dei centri con posti disponibili; possibilità che era stata offerta anche a F.M. con la nota di comunicazione 8 giugno 2015 e la convocazione al colloquio per il ripristino del rapporto di lavoro (secondo motivo);
5. anch’esso è inammissibile;
6. è noto che la facoltà del datore di lavoro di disporre, in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, il trasferimento del lavoratore subordinato da un’unità produttiva ad un’altra, secondo la previsione dell’art. 2103 c.c., debba trovare diretta giustificazione esclusivamente in un criterio di gestione aziendale seria e tecnicamente corretta; sicché, il controllo del giudice in proposito non può spingersi oltre la verifica di effettiva sussistenza di ragionevoli motivi e del rispetto dei limiti connessi al divieto di atti discriminatori o lesivi della sicurezza, libertà e dignità del lavoratore, non potendo estendersi alla valutazione del merito della scelta del datore di lavoro, esigendone l’inevitabilità ma essendone sufficiente la ragionevolezza (Cass. 17 giugno 1991, n. 6832; Cass. 28 aprile 2009, n. 9921; Cass. 2 marzo 2011, n. 5099; Cass. 30 maggio 2016, n. 11126);
6.1. il motivo è tuttavia, prima ancora che infondato, generico, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959); con esso, infatti, la società non confuta, tanto meno in modo specifico, l’argomentata esclusione dalla Corte territoriale di alcuna “prova” (in particolare al quarto capoverso di pg. 7 della sentenza), a carico di P.I. s.p.a., “della situazione di totale eccedentarietà negli uffici postali diversi da quelli delle quattro Regioni … menzionate … ” nell’accordo del 14 febbraio 2014, né l’affermazione della risultanza in esso del”le esigenze menzionate … abbastanza generiche” (così al terzo capoverso di pg. 7), come già ritenuto da questa Corte in analoga vicenda (Cass. 5 gennaio 2018, n. 144);
6.2. il mezzo scrutinato si è, infatti, esclusivamente concentrato sull’accordo suddetto, illustrato nella sua finalità di “modalità concordata tra azienda ed OO.SS. per fronteggiare in modo trasparente la grave situazione di squilibrio occupazionale esistente e descritta nell’accordo stesso”, fungendo la stessa “accertata situazione di eccedentarietà dell’ufficio di riammissione” da “ragione tecnica-organizzativa-produttiva in grado di giustificare il trasferimento” (così dal terzo al quinto capoverso di pg. 13 del ricorso), tale da integrare una piena autosufficienza probatoria, potendo “dette esigenze … dirsi già provate dalla preventiva verifica sulle stesse operata dalle OO.SS.” (così al secondo capoverso di pg. 15 del ricorso), senza alcuna confutazione, come anticipato, della mancanza di prova ritenuta invece da entrambe le Corti di merito, nella ravvisata insufficienza delle sole previsioni dell’accordo in questione;
6.3. d’altro canto, questa Corte ha già affermato, in materia di trasferimento di dipendenti postali, che il rispetto di precedenti accordi, analoghi a quello del 14 febbraio 2014, che prevedano specifici criteri per individuare la collocazione dei lavoratori già assunti a termine e riammessi in servizio presso sedi cd. eccedentarie, non valga (per l’esclusiva indicazione in essi delle procedure da seguire nei processi di riequilibrio dell’organico per gestire gli effetti delle riammissioni in servizio del personale già assunto con contratto a tempo determinato) ad esonerare P.I. s.p.a. dalla prova delle ragioni tecniche, produttive ed organizzative legittimanti il singolo trasferimento, ai sensi dell’art. 2103 c.c., nel testo ratione temporis applicabile (Cass. 28 gennaio 2016, n. 1597; Cass. 13 marzo 2017, n. 6407; Cass. 23 aprile 2019, n. 11180), non potendo l’autonomia collettiva sottrarsi al rispetto di norme inderogabili (in specifico riferimento allo ius variandi: Cass. 4 marzo 2014 n. 4989);
7. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 2104, 2105 c.c., per non essere stato il comportamento della lavoratrice proporzionato, in violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà nell’osservanza delle disposizioni datoriali impartite per l’esecuzione e la disciplina del lavoro, non essendosi presentata al colloquio per esprimere un’eventuale preferenza in ordine alla sede di trasferimento, secondo l’informazione ricevuta, con la nota di comunicazione dell’8 giugno 2015, di essere stata riammessa in servizio presso il comune di Valmontone, privo tuttavia di posti disponibili di addetto al recapito e di trasferimento in uno dei comuni sede di Centri di Distribuzione. E la datrice sottolineava pure non essersi mai la lavoratrice, tanto meno, presentata presso il comune di Torino – sede Centro Primario Distribuzione Torino – Recapito Marsigli, comunicatole, con la successiva lettera del 16 giugno 2015, quale sede cui era stata assegnata con effetto dal 15 luglio 2015, a conferma dell’indisponibilità di posti nel comune di Valmontone (terzo motivo);
8. esso pure è inammissibile;
9. in tema di trasferimento adottato in violazione dell’art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell’art. 1460, secondo comma, c.c. alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede (Cass. 11 maggio 2018, n. 11408; Cass. 13 agosto 2019, n. 21391); ed essendo l’eccezione di inadempimento ben opponibile anche nei confronti di un’obbligazione accessoria qualora essa abbia un’importanza rilevante, perché essenziale per l’equilibrio sinallagmatico del rapporto e di tale gravità da menomare la fiducia sul corretto adempimento del contratto (così ancora recentemente: Cass. 23 aprile 2019, n. 11180, con specifico riferimento all’ipotesi, sovrapponibile a quella in esame, di duplicità e di eguale rilevanza delle obbligazioni della società datrice, quali il ripristino del rapporto e la riammissione concreta in servizio nelle precedenti condizioni di luogo e dì mansioni, salva l’adozione di un provvedimento di trasferimento, quand’anche contestuale ma comunque logicamente successivo, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2013 c.c.).
9.1. la valutazione delle circostanze concrete, tali da escludere la contrarietà a buona fede del rifiuto del lavoratore, a fronte dell’inadempimento datoriale in un trasferimento in violazione dell’art. 2103 c.c., di esecuzione della prestazione della propria attività, a norma dell’art. 1460, secondo comma c.c., oltre che della seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, è poi rimessa al giudice di merito, in quanto consistente in un apprezzamento in fatto (Cass 25 novembre 2005, n. 24899), incensurabile in sede di legittimità se espressa con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici (Cass. 10 gennaio 2019, n. 434);
9.2. nel caso di specie, la Corte territoriale ha congruamente argomentato la proporzionalità del comportamento della lavoratrice, nella valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, in relazione alla funzione economico-sociale del contratto e della loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni e gli interessi delle parti, per la disponibilità dimostrata dalla medesima a riprendere la prestazione della propria attività presso la sede di Valmontone, ivi presentandosi il giorno della sua riammissione in servizio (per le ragioni esposte al punto D, di pgg. 8 e 9 della sentenza); sicché essa ha esattamente applicato l’insegnamento di questa Corte, secondo cui l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie; a meno che il datore medesimo non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad un’altra unità produttiva e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive; essendo configurabile, in mancanza di tali condizioni, una condotta datoriale illecita e nell’inosservanza di tale provvedimento, da parte del lavoratore, l’attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c., oltre che l’improduttività di effetti di un atto nullo (Cass. 2 ottobre 2002, n. 14142; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27844; Cass. 23 novembre 2010, n. 23677; Cass. 16 maggio 2013, n. 11927; Cass. 14 luglio 2014, n. 16087; Cass. 23 settembre 2016, n. 18721);
10. la ricorrente deduce violazione degli artt. 112 c.p.c., 2697 c.c., per omessa pronuncia sulle istanze istruttorie formulate nella memoria difensiva nella fase sommaria del rito Fornero, nuovamente nell’atto di opposizione all’ordinanza e quindi nel reclamo avverso la sentenza di primo grado (quarto motivo);
11. esso è infondato;
12. non ricorre l’omissione di pronuncia denunciata, per avere la Corte territoriale implicitamente rigettato (Cass. 21 ottobre 1972, n. 3190; Cass. 2 aprile 2020, n. 7662; Cass. 9 dicembre 2021, n. 39161) la deduzione della prova testimoniale datoriale, riferendone la valutazione di irrilevanza del Tribunale (al primo periodo di pg. 3 della sentenza) e ravvisando a propria volta la mancata offerta di prova sulla totale indisponibilità di posti con mansioni di portalettere nella regione di appartenenza della M. (al quarto capoverso di pg. 7 della sentenza);
13. la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulle richieste della società in ordine all’acquisizione di elementi relativi all’aliunde perceptum, per la limitazione della condanna economica nei confronti della lavoratrice (quinto motivo);
14. anch’esso è infondato;
15. è risaputo che un’omissione di pronuncia si verifichi per difetto del momento decisorio, occorrendo che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto; ciò che si verifica quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronunci solo nei confronti di alcune parti; mentre il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. 18 febbraio 2005, n. 3388; Cass. 3 marzo 2020, n. 5730; Cass. 2 novembre 2021, n. 31100);
15.1. nel caso di specie, non sussiste l’omessa pronuncia denunciata, avendo anzi la Corte territoriale reso un’esplicita pronuncia negativa, in assenza di “alcuna allegazione specifica da parte di Poste sull’esistenza dell’aliunde perceptum” (al penultimo capoverso della parte motiva, a pg. 9 della sentenza); in esito ad una valutazione pertinente al principio regolante la materia, per il quale la deduzione del datore di lavoro (di percezione dal dipendente di un altro reddito per effetto di nuova occupazione) ha natura di eccezione in senso lato, in assenza di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte, sul presupposto tuttavia di una sua rituale allegazione dei fatti rilevanti. Ed infatti, da essi, qualora siano da ritenere incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, ben può il giudice trarre d’ufficio tutte le conseguenze, cui essi siano idonei, ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato; essendo peraltro il datore gravato dell’onere della prova, ancorché con l’ausilio di presunzioni semplici, dell’aliunde perceptum (Cass. 26 ottobre 2010, n. 21919; Cass. 10 aprile 2012, n. 5676; 1 settembre 2015, n. 17368; Cass. 24 marzo 2022, n. 9307);
16. la ricorrente deduce infine violazione dell’art. 3 l. 604/1966, per non aver la Corte territoriale, una volta esclusa la giusta causa, valutato la possibile integrazione nel comportamento della lavoratrice di un giustificato motivo soggettivo, per la gravità del suo inadempimento, legittimante un recesso con preavviso dalla società datrice (sesto motivo);
17. esso è infondato;
18. la Corte territoriale ha accertato in fatto (in particolare al secondo capoverso di pg. 9 della sentenza) il rispetto da parte della lavoratrice, con la propria condotta, del canone di buona fede, legittimante la sua opposizione, per le ragioni dette, di un’eccezione di inadempimento, integrante i requisiti dell’art. 1460 c.c.: così escludendo che ella sia incorsa in un grave inadempimento, suscettibile di un recesso datoriale con preavviso, essendo stata anzi piuttosto “la condotta di P.I. spa” ritenuta integrare “un ‘grave inadempimento che ai sensi dell’art. 1460 legittimava il diritto di autotutela del lavoratore” (così al terz’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza, in riferimento all’accertamento del Tribunale, condiviso dalla Corte d’appello);
19. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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