Corte di Cassazione sentenza n. 207 del 08 gennaio 2013
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE – SCADENZA DEL TERMINE APPOSTO ILLEGITTIMAMENTE – RISOLUZIONE DEL RAPPORTO PER MUTUO CONSENSO – CONFIGURABILITÀ – CONDIZIONI – VALUTAZIONE DEL GIUDICE DI MERITO – CENSURABILITÀ IN SEDE DI LEGITTIMITÀ – ESCLUSIONE – LIMITI
massima
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Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. La valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è quindi di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, mentre grava sul datore di lavoro che eccepisca tale risoluzione l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro. Tali principi, del tutto conformi al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 cod. civ., vanno ribaditi, così confermandosi l’indirizzo ormai consolidato basato, in sostanza, sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo ovvero la mancanza, sia pure prolungata, di operatività del rapporto.
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Sentenza
La Corte
Rilevato che:
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di prime cure che aveva rigettato la domanda, proposta da D. C. nei confronti di P. I. s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 22 dicembre 1998, stipulato fra lavoratrice e la società convenuta in primo grado.
2. Per la cassazione di tale sentenza D. C. ha proposto ricorso illustrato da memoria; P. I. s.p.a. ha resistito con controricorso.
3. Il collegio ha autorizzato una motivazione semplificata.
4. La lavoratrice è stata assunta con un contratto a termine protrattosi dal 22 dicembre 1998 al 30 gennaio 1999; il suddetto contratto è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 che prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.
5. Alla base della decisione della Corte territoriale è la ritenuta fondatezza dell’eccezione, proposta da P. I., di avvenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso; secondo la sentenza impugnata doveva ritenersi dimostrata la sussistenza degli estremi della risoluzione del rapporto per mutuo consenso essendo trascorsi oltre cinque anni tra la cessazione del rapporto e la notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio e tenuto conto altresì, da un lato, della breve durata del rapporto di lavoro (40 giorni) intercorso fra le parti, e, dall’altro, della mancanza, da parte del lavoratore, di manifestazioni di interesse alla ripresa del rapporto nel periodo precedente la proposizione dell’azione giudiziaria.
6. Con il primo motivo di ricorso tale statuizione è stata censurata ed è stata dedotta la violazione degli artt. 1372, primo comma, 1175, 1375 e 2697 cod. civ. nonché vizio di motivazione; ad avviso della ricorrente il tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e la messa in mora del datore di lavoro non è idoneo a configurare la risoluzione del rapporto; grava inoltre sulla parte che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la sussistenza di una volontà chiara e certa delle parti di porre fine al rapporto.
7. Il motivo è fondato.
8. Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. (ordin.) 4 agosto 2011 n. 16932; Cass. 24 giugno 2008 n. 17150), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è quindi di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso (cfr., da ultimo, Cass. 15 novembre 2010 n. 2305; Cass. 11 marzo 2011 n. 5887) mentre grava sul datore di lavoro che eccepisca tale risoluzione l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine a ogni rapporto di lavoro (Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279). Tali principi, del tutto conformi al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 cod. civ., vanno ribaditi anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo ormai consolidato basato, in sostanza, sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo ovvero la mancanza, sia pure prolungata, di operatività del rapporto.
9. La sentenza impugnata non ha correttamente applicato i suddetti principi avendo erroneamente attribuito, in buona sostanza, valore decisivo alla notevole ampiezza dell’intervallo temporale (oltre cinque anni) intercorso fra la cessazione del rapporto e la manifestazione di interesse alla ripresa del lavoro e non avendo adeguatamente spiegato le ragioni per cui la breve durata dell’unico contratto a termine intercorso fra le parti e il periodo di inerzia del lavoratore possano costituire circostanze idonee a far emergere la sussistenza di una chiara e certa comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
10. In relazione all’accoglimento del primo motivo di ricorso deve dichiararsi assorbito il secondo, col quale è stata invocata la violazione di norme processuali in ordine all’esame dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
11. La sentenza deve essere in definitiva cassata in relazione al motivo accolto e rinviata ad altro giudice, indicato in dispositivo, il quale provvedere applicando i principi sopra indicati; lo stesso giudice provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8 novembre 2012.