Corte di Cassazione sentenza n. 21485 del 18 ottobre 2011
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – SANZIONI DISCIPLINARI – PROCEDIMENTO – CONTESTAZIONE ADDEBITI – POTERE DISCIPLINARE DEL DATORE DI LAVORO – OSSERVANZA PRINCIPI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE – NECESSITA’
massima
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L’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il quale subordina la legittimità del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare alla previa contestazione degli addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli, pur non comportando per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla manifestazione tempestiva (entro il quinto giorno) del lavoratore di voler essere sentito di persona (sicché nel giudizio il lavoratore ha l’onere di provare la sua tempestiva richiesta, costituente elemento costitutivo a lui favorevole della fattispecie procedimentale), presuppone tuttavia che il datore di lavoro gestisca il potere disciplinare secondo i principi di correttezza e buona fede e, quindi, con modalità tali da non ingenerare equivoci nel dipendente cui si riferisce la contestazione.
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Con sentenza del 20 marzo 2009 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale dì Milano n. 1344/2007 che ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla O.B. s.p.a. a G.M. La Corte territoriale ha motivato tale decisione ritenendo illegittimo il comportamento della società che ha proceduto al licenziamento in questione senza dare seguito alla richiesta della lavoratrice di un rinvio della convocazione chiesta dalla lavoratrice e considerando anche i tempi ristretti previsti dalla convocazione stessa pervenuta sabato 3 dicembre per la mattina del 5 dicembre o per il giorno successivo 6 dicembre, mentre la lavoratrice aveva chiesto un rinvio a data successiva al 13 dicembre, in considerazione di un ponte festivo nei giorni precedenti.
La O.B. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato con unico motivo e tre quesiti di diritto.
Resiste con controricorso la G.M.
La ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 2, 3, 4 e 5 della legge n. 300 del 1970, e degli artt. 1366, 1374 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. In particolare si deduce di avere correttamente ottemperato al dettato dell’art. 7 della legge 300 del 1970 provvedendo alla convocazione della lavoratrice indicando due date a scelta; che il procedimento disciplinare si sarebbe correttamente concluso a seguito della diserzione della lavoratrice che si è limitata a chiedere lo spostamento dell’incontro a data successiva; che sarebbe legittimo irrogare la sanzione disciplinare senza accogliere l’istanza di rinvio proposta dalla lavoratrice, essendo il procedimento disciplinare validamente concluso con la convocazione della lavoratrice stessa.
Il motivo è infondato.
Va infatti rilevato che comunque, per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione l’art. 7 legge 20 maggio 1970 n. 300, il quale subordina la legittimità del procedimento di irrogazione della sanzione disciplinare alla previa contestazione degli addebiti, al fine di consentire al lavoratore di esporre le proprie difese in relazione al comportamento ascrittogli, pur non comportando per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla manifestazione tempestiva (entro il quinto giorno) del lavoratore di voler essere sentito di persona (sicché nel giudizio il lavoratore ha l’onere di provare la sua tempestiva richiesta, costituente elemento costitutivo a lui favorevole della fattispecie procedimentale), presuppone tuttavia che il datore di lavoro gestisca il potere disciplinare secondo i principi di correttezza e buona fede e, quindi, con modalità tali da non ingenerare equivoci nel dipendente cui si riferisce la contestazione (per tutte Cass. 3 agosto 2001 n. 10760). Nel caso in esame la Corte territoriale ha motivato riguardo all’applicazione della disciplina invocata dalla ricorrente, pervenendo alla conclusione per cui il datore di lavoro non ha gestito correttamente il potere disciplinare. Il vizio lamentato, quindi, configurerebbe un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. e non violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. così come rappresentato, proprio perché la Corte d’Appello ha considerato pienamente le norme applicabili giudicando non corretto ed in buona fede il comportamento del datore di lavoro con giudizio logico e congruo non censurabile in questa sede di legittimità.
Il ricorso deve dunque essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 40,00 – oltre € 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma il 29 settembre 2011.
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