CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 settembre 2013, n. 22100
Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Violazione della privacy – Danno non patrimoniale – Prove per testi – Assunzione
rilevato che sul ricorso n. 23482/11 proposto da B. G. nei confronti del Ministero Interno il Consigliere relatore ha depositato la relazione che segue.
Il relatore Cons. Ragonesi, letti gli atti depositati,osserva quanto segue .
B. G. , assistente capo presso il VI reparto mobile della Polizia di Stato di Genova, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso la sentenza 8359/10 del tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda dal medesimo proposta volta ad accertare l’illecito trattamento dei propri dati personali costituito dalla comunicazione di apertura di un procedimento disciplinare nei propri confronti inviata dal dirigente del predetto reparto mobile oltre che, come prescritto, alla Direzione Interregionale della Polizia di Stato — Piemonte —Valle d’Aosta — Liguria anche alla Direzione Centrale per la Polizia Stradale Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato — Servizio Reparti Speciali nonché alla Direzione Centrale per le Risorse Umane — Servizio Sovrintendenti Assistenti ed Agenti — Divisione IL.
La sentenza in questione aveva peraltro riconosciuto la violazione della normativa in tema di privacy limitatamente alla sola comunicazione della appartenenza sindacale del B. ma aveva respinto la connessa domanda di risarcimento del danno perché non provato.
Con il primo motivo sostiene la violazione degli artt. 11, 18 e 19 del d.lgs n. 196 del 2003 nonché degli artt 14 e 17 del DPR 737 del 1981.
Il motivo è manifestamente infondato.
Il tribunale ha respinto la domanda del ricorrente osservando che la comunicazione dell’avvio del procedimento anche a due direzioni centrali non costituiva violazione della privacy posto che gli uffici periferici di una amministrazione statale sono strettamente collegati, integrati e dipendenti con la Direzioni centrali svolgendo queste ultime una funzione di indirizzo,di coordinamento e di controllo.
Tale motivazione appare del tutto corretta in linea di principio dovendosi aggiungere che ,nel caso di specie, non si rinviene alcuna violazione della normativa indicata dal ricorrente.
In particolare, non ricorre la violazione degli articoli 18 e 19 del d.lgs n. 196 del 2003 che stabiliscono quanto segue.
“Articolo 18 1. Le disposizioni del presente capo riguardano tutti i soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici.
Qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali.
Nel trattare i dati il soggetto pubblico osserva i presupposti e i limiti stabiliti dal presente codice, anche in relazione alla diversa natura dei dati, nonché dalla legge e dai regolamenti.
. Salvo quanto previsto nella Parte II per gli esercenti le professioni sanitarie e gli organismi sanitari pubblici, i soggetti pubblici non devono richiedere il consenso dell’interessato.
Si osservano le disposizioni di cui all’articolo 25 in tema di comunicazione e diffusione. “
“Articolo 19
1. Il trattamento da parte di un soggetto pubblico riguardante dati diversi da quelli sensibili e giudiziari è consentito, fermo restando quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente.
2. La comunicazione da parte di un soggetto pubblico ad altri soggetti pubblici è ammessa quando è prevista da una norma di legge o di regolamento. In mancanza di tale norma la comunicazione è ammessa quando è comunque necessaria per lo svolgimento di funzioni istituzionali e può essere iniziata se è decorso il termine di cui all’articolo 39, comma 2, e non è stata adottata la diversa determinazione ivi indicata.
3. La comunicazione da parte di un soggetto pubblico a privati o a enti pubblici economici e la diffusione da parte dì un soggetto pubblico sono ammesse unicamente quando sono previste da una norma di legge o di regolamento. “
Nel caso di specie deve ritenersi che l’utilizzo dei dati relativi al ricorrente sia stato effettuato nell’esercizio delle funzioni istituzionali (art 18 comma 2) e che non vi sia stata violazione dell’art 19 comma 2. Tale disposizione normativa prevede infatti che la trasmissione ad un altro soggetto pubblico può essere consentita solo quando la legge lo preveda, ma nel caso di specie i dati relativi al ricorrente sono stati trasmessi all’interno della stessa amministrazione pubblica onde il limite predetto non trova applicazione.
Aggiungasi che l’art 19, comma 1, del d.lgs n. 196 del 2003, prevede, come dianzi riportato, che “il trattamento da parte di un soggetto pubblico riguardante dati diversi da quelli sensibili e giudiziari è consentito, fermo restando quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente”.
Nel caso di specie il dato relativo all’inizio del procedimento disciplinare non riveste la natura né di dato sensibile né di dato giudiziario.
Si rammenta a tale proposito che ai sensi dell’art 4, comma 1, lett. d) i dati sensibili sono : ” i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale ” mentre, ai sensi dell’art 4 comma 1 lett. E), i dati giudiziari sono i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale”.
Da ciò discende anche che nessuna violazione dell’art 11 del decreto legislativo in esame si è verificata in ordine al trattamento dei dati relativi al procedimento disciplinare essendo stati i dati utilizzati in modo lecito e secondo correttezza.
Deve escludersi anche violazione del dpr 737 del 1981 perché il fatto che gli articoli 14 e 17 ,che disciplinano aspetti del procedimento disciplinare, non facciano cenno alle comunicazioni ai vari uffici è privo di significato perché quest’ultimo aspetto esula dalla disciplina del procedimento disciplinare in quanto tale riguardando la regolamentazione dei rapporti tra i vari uffici , tanto è vero che questi aspetti risultano trattati da quanto dedotto dallo stesso ricorrente a livello di circolare ministeriale ( circ. n. 5.9.02).
E’ appena il caso di osservare che le prescrizioni di quest’ultima, avendo una portata interna e non avendo valore di legge o di regolamento non rilevano ai fini dell’osservanza della normativa in tema di privacy.
Dunque in ogni caso l’invio della comunicazione sul procedimento disciplinare alle Direzioni centrali indicate nel ricorso non ha comportato alcuna violazione delle norme sulla privacy.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale in relazione all’accertata violazione del d.lgs n. 196/2003 in riferimento alla comunicazione dei dati afferenti alla propria appartenenza sindacale e la mancata ammissione della prova per testi.
La Corte sul punto ha rilevato che non era stata fornita in proposito alcun riscontro probatorio del pregiudizio subito e che la prova richiesta non era ammissibile non essendo possibile provare per testimoni uno stato di affezione fisica o psichica.
Il motivo appare manifestamente fondato nei limiti che seguono.
L’art 15 del d.lgs n. 196 del 2003 prevede il riconoscimento del danno non patrimoniale nei confronti di chi viene operata una violazione della normativa prevista dal decreto.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici, (da ultimo explurimis Cass 10527/11).
E ‘ dunque erroneo l’assunto del ricorrente secondo cui la prova del danno in questione sarebbe in re ipsa.
Tuttavia appare errata l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui non sarebbe suscettibile di prova testimoniale uno stato di affezione fisica o psichica.
Se infatti il danno non patrimoniale è suscettibile di essere provato tramite presunzioni, a maggior ragione lo stesso può essere provato tramite testimoni che attestino uno stato di sofferenza psicologica desumibile dal comportamento e dalle parole di un dato soggetto.
In conclusione, ove si condividano i testé formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art 375 c.p.c..
P.Q.M.
Rimette il processo al Presidente della sezione per la trattazione in Camera di Consiglio
Roma 28.12.12
Il Cons. relatore”
Vista la memoria del ricorrente; Considerato:
che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;
che, in particolare, le disposizioni contenute nelle ” Linee guida per il trattamento dei dati personali dei lavoratori” emanate dal Garante per la privacy, cui si fa riferimento nella memoria, sono inapplicabili al caso di specie poiché le dette linee guida si riferiscono ai rapporti di lavoro privati e non a quelli pubblici ;
che conclusivamente le comunicazioni inviate ai veri Uffici dell’Amministrazione risultano giustificate dal perseguimento delle funzioni istituzionali di cui all’art 18, comma 2,del d.lgs 196 del 2003; che pertanto il primo motivo del ricorso va respinto; che il secondo motivo del ricorso va accolto limitatamente alla mancata ammissione della prova per testi;
che conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in relazione alladoglianza accolta con rinvio al tribunale di Roma in diversa composizioneanche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo limitatamente alla mancata ammissione della prova per testi; cassa la sentenza impugnata in relazione alla doglianza accolta e rinvia anche per le spese al Tribunale di Roma in diversa composizione.
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