CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 ottobre 2013, n. 22721
Lavoro – Contratto collettivo per dirigenti e funzionari delle casse di risparmio – Spese legali sostenute dal dipendente relativamente a procedimento penale – Rimborso
Svolgimento del processo
1- La sentenza attualmente impugnata conferma la sentenza del Tribunale di Massa n. 156 del 29 febbraio 2008, di rigetto della domanda di P. L. S., volta ad ottenere – ai sensi dell’art. 118 CCNL del 26 luglio 1983 per il Personale direttivo delle Casse di risparmio del 26 luglio 1983 – da parte della Cassa di risparmio di Carrara s.p.a., la rifusione delle spese per l’assistenza legale sostenute in un procedimento penale subito – quando era direttore dell’Istituto di Credito Apuano (poi incorporato dalla suindicata Cassa di risparmio) – per il reato di bancarotta fraudolenta aggravata, di cui agli artt. 216 e 219 della legge fallimentare (d’ora in poi: LF), conclusosi con sentenza di assoluzione – per non aver commesso il fatto – del Tribunale penale di Lucca n. 129/03 del 5 febbraio 2003, divenuta cosa giudicata.
La Corte d’appello di Genova, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la sentenza del Tribunale di Massa non merita censure per l’assorbente rilievo secondo cui l’invocato comma dell’art. 118 del CCNL non si applica nella specie, perché esso riguarda i casi in cui sia esercitata l’azione penale “per fatti connessi all’espletamento o all’adempimento dei compiti di ufficio” o degli incarichi affidati al dirigente bancario;
b) nella presente vicenda, infatti, tale connessione non sussiste, in quanto l’azione penale è stata esercitata contestando al S. di avere distratto fondi di una società terza dichiarata fallita, di cui era socio occulto ed amministratore, così danneggiando i creditori;
c) si tratta di un fatto rispetto al quale la posizione professionale del ricorrente nell’istituto bancario non ha alcun rilievo neppure di occasionalità e, d’altra parte, la concessione da parte del ricorrente nell’esercizio delle sue funzioni di mutui di rilevante entità alla suddetta società fallita – emersa nel corso del procedimento penale – non attiene al suddetto reato ma è da configurare solo come un antecedente remoto della bancarotta stessa, contestata al S., non nella sua qualità di direttore dell’Istituto di Credito Apuano (qualità solo menzionata ad abundantiam nel capo di imputazione del rinvio a giudizio);
d) va, inoltre, ricordato che in base alla giurisprudenza di legittimità (Cass. 11 aprile 1996, n. 3370), il rimborso delle spese processuali affrontate dal personale direttivo delle aziende di credito può essere concesso solo in caso di sottoposizione a procedimento penale per fatti “commessi per il perseguimento delle finalità istituzionali della banca”;
e) è, quindi, ultroneo ogni ulteriore esame delle istanze istruttorie.
2 – Il ricorso di P. L. S. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, la Cassa di risparmio di Carrara s.p.a.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
I – Profili preliminari
1- Preliminarmente deve essere dichiarata l’infondatezza della censura di inammissibilità del ricorso prospettata nel controricorso in riferimento alla formulazione dei quesiti di diritto per l’illustrazione dei motivi di ricorso.
Va, infatti, ricordato che, essendo stata la sentenza attualmente impugnata pubblicata in data 26 aprile 2010, al presente ricorso non si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ.
II suddetto articolo, inserito nel codice di rito (con decorrenza 2 marzo 2006) dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 marzo 2006, è stato abrogato dall’art. 47, comma 1, lettera d), della legge 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore il 4 luglio 2009.
Dal combinato disposto dei commi 1 e 5 dell’art. 58 della legge n. 69 cit. contenente la normativa transitoria) risulta che l’art. 366-bis cod. proc. civ. non si applica nel presente giudizio, visto che la sentenza attualmente impugnata con il ricorso per cassazione è stata pubblicata dopo il 4 luglio 2009. Peraltro, vi è una copiosa, uniforme e condivisa giurisprudenza di questa Corte che si è occupata dalla suddetta problematica (vedi, fra le tante: Cass. 17 ottobre 2011, n. 21431; Cass. 8 aprile 2011, n. 8059; Cass. 10 marzo 2011, n. 5752; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21079; Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119).
Ne deriva che nelle ipotesi in cui – come accade nella specie – il ricorrente ritenga ugualmente di corredare la formulazione dei motivi di censura con momenti di sintesi – liberamente denominati come “quesiti” o in altro modo – alla loro formulazione – che è, comunque, di grande utilità per la lettura degli atti difensivi – non si applicano le regole derivanti dall’abrogato art. 366- bis cod. proc. civ.
II – Sintesi dei motivi di ricorso
1. – Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1371 cod. civ., in riferimento all’art. 118 del CCNL 26 luglio 1983 per i Dirigenti e i funzionari delle Casse di Risparmio, dei Monti di credito su pegno di 1 ° categoria ed Enti equiparati.
Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe “eluso” la problematica sottopostagli in ordine al momento rilevante per valutare l’applicabilità del suindicato art. 118 del CCNL, con ciò mostrando – implicitamente – di accogliere la premessa di diritto posta a base della sentenza di primo grado, secondo cui tale valutazione deve essere fatta sulla base del capo di imputazione risultante dalla richiesta di rinvio a giudizio (cioè ex ante) e non, come sostenuto dal S., ex post, cioè prendendo in considerazione tutti gli atti del procedimento penale o, quanto meno, la conclusiva sentenza di assoluzione.
Tale assunto della Corte territoriale, secondo il ricorrente, è basato su una interpretazione della indicata norma contrattuale errata, sia dal punto di vista letterale sia dal punto di vista teleologico.
Sotto il primo profilo, si sostiene che il riferimento, contenuto nella clausola, ai “fatti o atti connessi” all’esercizio dei compiti di ufficio non potrebbe avere altro significato che quello di tenere indenne il dirigente bancario da ogni pregiudizio comunque ricollegabile all’espletamento delle mansioni di ufficio, fino a comprendervi le indagini penale aventi sostanzialmente ad oggetto le modalità di esercizio di quelle mansioni, come è accaduto nella specie.
Tale interpretazione, d’altra parte, sarebbe l’unica compatibile con la finalità della norma, che è quella di garantire economicamente il dirigente “per l’esercizio delle funzioni conforme agli interessi dell’azienda”.
1.2 – Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
In via “subordinata e residuale”, rispetto alle precedenti censure, si denuncia, sotto il profilo del vizio di motivazione, la decisione della Corte genovese di fare riferimento – per la valutazione sull’applicabilità dell’art. 118 CCNL – solo al capo di imputazione della richiesta di rinvio a giudizio e non agli atti successivi del procedimento penale.
Ili – Esame delle censure
2. – I motivi di ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono da accogliere, per le ragioni di seguito precisate.
Tutte le censure sono incentrate sull’assunto della erroneità della interpretazione dell’art. 118 CCNL cit. adottata dalla Corte d’appello.
Tale interpretazione invece – contrariamente a quanto sostiene il ricorrente – è del tutto coerente con la lettera e la ratio della clausola contrattuale, oltre ad essere supportata da una motivazione coerente e logica.
Infatti, dalle stesse espressioni ivi usate risulta evidente che il beneficio della rifusione delle spese per l’assistenza legale sostenute nei procedimenti penali relativi a “fatti o atti connessi” all’esercizio dei compiti di ufficio non può che riferirsi alle spese affrontate per i procedimenti penali promossi nei confronti del dirigente o del funzionario per fatti o atti compiuti nel perseguimento delle finalità istituzionali della Banca, non per quelli compiuti “in occasione” dell’attività lavorativa e tanto meno per quelli posti in essere per finalità private ed egoistiche.
Infatti, anche dal punto di vista teleologico, la tutela apprestata dalla norma collettiva non può che riguardare le condotte inerenti l’esercizio delle funzioni, esercizio che risulti essere stato svolto in conformità con gli interessi dell’azienda – ancorché con comportamenti ed atti che abbiano determinato l’instaurazione di un procedimento penale – e non anche le condotte poste in essere in violazione delle funzioni stesse, in danno alla stessa azienda e/o in contrasto con le istruzioni impartite, oppure quelle nel cui processo di causazione dell’evento dannoso come contestato in sede penale, la posizione professionale dell’imputato nell’istituto bancario assume soltanto il ruolo di una semplice occasione ovvero addirittura quelle rispetto alle quali la suindicata posizione professionale non ha alcun rilievo nell’instaurazione del procedimento penale (arg. ex Cass. 11 aprile 1996, n. 3370; Cass. 8 maggio 2008, n. 11359; Cass. 22 aprile 2011, n. 9291).
La condotta per la quale il S. è stato rinviato a giudizio per il reato di bancarotta fraudolenta aggravata, di cui agli artt. 216 e 219 della legge fallimentare, e poi assolto con formula piena con sentenza passata in giudicato, rientra in tale ultima categoria di condotte, come risulta ictu oculi dal fatto che egli è stato sottoposto a procedimento penale non nella qualità di direttore di un istituto bancario o per comportamenti o atti inerenti il corretto esercizio delle proprie funzioni professionali, ma sull’assunto accusatorio secondo cui, quale socio occulto ed amministratore di una società terza dichiarata fallita, avesse distratto fondi di tale società, così danneggiandone i creditori.
È quindi chiaro che l’ipotesi accusatoria, poi rivelatasi destituita di fondamento, faceva riferimento ad un comportamento posto in essere per finalità private ed egoistiche.
Per tale ragione la sentenza impugnata deve andare esente da qualunque censura, anche laddove ha rilevato ininfluenza del richiamo alla qualità di direttore dell’Istituto di Credito Apuano, contenuta nel capo di imputazione del rinvio a giudizio, avendo esattamente rilevato al riguardo che tale richiamo risulta essere stato fatto solo ad abundantiam nell’ambito dell’impianto accusatorio, il cui oggetto era rappresentato da un reato, per la cui contestazione il ruolo in quel momento ricoperto dal S. nell’Istituto bancario in oggetto è rimasto sullo sfondo nell’ambito procedimento penale, nel quale si prendono in considerazione sono i fatti e le situazioni che rilevano come elementi costitutivi o circostanze del reato contestato.
A fronte della motivata valutazione di merito delle risultanze probatorie di causa, basata su una corretta interpretazione della norma contrattuale in argomento, il ricorrente finisce in realtà per esprime un mero, quanto inammissibile, dissenso valutativo, proponendo anche una distinzione tra valutazione ex post e valutazione ex ante delle condizioni di applicabilità del suindicato art. 118 del CCNL che appare, per quel che si è detto, del tutto ultronea, visto che ciò che conta ai fini del rimborso delle spese legali, al di là dei formalismi, è – nei suindicati termini – il fatto-reato sulla cui base il dirigente o il funzionario si è trovato a dover subire il procedimento penale.
IV – Conclusioni
3. – In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 50,00 (cinquanta/00) per esborsi, euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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