CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 ottobre 2013, n. 22961
Lavoro subordinato – Retribuzione – Trattamento economico accessorio Pubblico impiego privatizzato – Contrattazione collettiva – Accordo decentrato – Contrasto insanabile – Indennità di cassa
Svolgimento del processo
1. M.G., dipendente dell’appellante Azienda USL Latina con mansioni di “operatore agli sportelli di cassa”, ha agito in sede monitoria deducendo: che con delibera n.1046 del 26/4/99 era stata disposta l’informatizzazione delle Casse CUP-SIAS. riconoscendo ad ogni operatore di cassa, a decorrere dall’1/3/99, un’indennità di £ 10.000 per ogni turno di sei ore di apertura al pubblico; che l’Azienda a decorrere dall’1/6/99 aveva disposto la sospensione di detta indennità, che, pertanto, non era stata più erogata; che stante l’illegittimità del comportamento dell’Azienda era rimasto creditore dell’importo di £4.154.000, a titolo di arretrati maturati nel periodo 1/6/99-31/12/00.
Il Tribunale di Latina, in funzione di giudice del lavoro, con decreto ingiuntivo n. 242/01 ha accolto la domanda, ingiungendo all’Azienda USL Latina il pagamento della somma richiesta, oltre accessori e spese.
Con sentenza n. 723 del 2004 è stata respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo avanzata dall’Azienda USL.
Il primo giudice, richiamati anche gli artt. 38 e 39 ccnl 1998-2001 ha ritenuto pienamente legittima la delibera n. 1046 del 1999; ha escluso l’operatività dell’art. 47 legge n. 833/78, perché superato dalla cd. riforma del pubblico impiego, ed ha ritenuto non provata l’esistenza del successivo accordo sindacale richiamato dall’Azienda a supporto del suo operato.
2. Con ricorso tempestivamente depositato e ritualmente notificato l’Azienda USL Latina ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado.
Si è costituita in giudizio il dipendente resistendo al gravame.
Disposta d’ufficio l’acquisizione di documenti, assunte informazioni sindacali, autorizzato il deposito di note, la adita Corte d’appello di Roma con sentenza dell’8 ottobre 2009 ha accolto l’appello e, in riforma della gravata sentenza, ha accolto l’opposizione già proposta in primo grado e, per l’effetto, ha revocato l’impugnato decreto ingiuntivo; ha compensato tra le parti per intero le spese del doppio grado del giudizio.
3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione il dipendente.
Nessuna difesa ha svolto la parte intimata.
Motivi della decisione
1. Con il ricorso, articolato in quindici motivi, il ricorrente deduce la tardività del deposito dei documenti in appello (accordo decentrato 24 agosto 1999); l’inammissibilità nuovi documenti in appello; l’erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali quanto all’inesistenza dell’accordo 24 agosto 1999; la sussistenza della prova delle funzioni di operatore di cassa; la validità dell’iniziale delibera n. 1046 del 26/4/99 e dell’accordo decentrato 9 marzo 1999. compatibile con il ccnl del comparto sanità 1998/2001; l’infondatezza della presunta violazione dell’art. 47 legge n. 833 del 1978; l’errata e falsa applicazione del ccnl 1998/2001; la mancata considerazione della volontà delle parti sindacali che avevano introdotto l’indennità in questione; l’inapplicabilità dell’art. 44 ccnl comparto sanità del 1 settembre 1995; l’invalidità delle delibere 1993 del 26 agosto 1999 e n. 1189 del 20 settembre 2009; l’inapplicabilità dell’art. 49 d.p.r. n. 384 del 1990; l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.; avvenuto riconoscimento del diritto da parte di altri giudici di merito; il mancato riconoscimento di interessi e rivalutazione: l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 10, legge 833 del 1978 per disparità di trattamento con dipendenti di altri comparti.
2. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – è inammissibile.
3. Il percorso argomentativo che ha condotto la Corte d’appello ad accogliere l’appello ed rigettare l’originaria domanda dei dipendente è chiaramente indicato nella sentenza impugnata.
La Corte territoriale – dopo aver premesso che con la deliberazione direttoriale n. 1046 del 26/4/99 posta a fondamento dell’azionata pretesa creditoria, era stato recepito l’accordo decentrato del 9/3/99, che al punto a), rubricato “informatizzazione Casse CUP-SIAS”, riconosceva agli operatori addetti agli sportelli di cassa informatizzati un’indennità di £10.000 per ogni turno di 6 ore di apertura al pubblico, avuto riguardo alle problematiche inerenti l’avvio delle procedure informatiche per la gestione delle casse e del CUP nonché dell’impegno connesso con il SIAS. nonché per la responsabilità connessa anche al maneggio del denaro e con l’obbligo di effettuare tutte le procedure informatiche, amministrative e contabili connesse con l’apertura e la chiusura nonché con particolare riguardo agli adempimenti di agente contabile – ha ritenuto persistere nell’ordinamento la previsione di cui all’art. 47, 10 comma, legge n. 833/78, in base alla quale “E’ fatto divieto di concedere al personale delle unità sanitarie locali compensi, indennità o assegni di qualsiasi genere e natura che modifichino direttamente o indirettamente il trattamento economico previsto dal decreto di cui al precedente comma . Gli atti adottati in contrasto con la presente norma sono nulli di diritto e comportano la responsabilità personale degli amministratori”.
Nel novellato regime del lavoro pubblico contrattualizzato tale divieto si pone in linea di continuità con la prevista riserva alla contrattazione collettiva dell’attribuzione di trattamenti economici, essendosi prevista la perdita dì efficacia di leggi, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti dai contratti collettivi. Trovava quindi applicazione l’art. 49 d.lgs. n. 29/93 in base al quale il trattamento economico ed accessorio è definito dai contratti collettivi. Occorre quindi far riferimento al contratto collettivo nazionale del comparto della sanità del 1° settembre 1995 e segnatamente al suo art. 43 sui trattamenti accessori; disposizione questa rispetto alla quale l’accordo del 9/3/1999, nell’attribuire l’indennità in questione, si poneva – secondo la Corte d’appello – in evidente ed insanabile contrasto. Ed infatti l’art. 43 del detto ccnl prevedeva tre diversi fondi; per il compenso del lavoro straordinario; per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo e danno; per compensare particolari posizioni di lavoro, in relazione all’accresciuta professionalità e responsabilità dei dipendenti, secondo la disciplina del successivo art. 45. La Corte d’appello ha ritenuto che il primo fondo non rilevasse nella fattispecie; il secondo fosse destinato esclusivamente al pagamento delle indennità di turno, di reperibilità, per servizio notturno, festivo e festivo notturno, nella misura di cui al successivo art. 44; il terzo fosse destinato alle indennità denominate di qualificazione professionale analiticamente e tassativamente indicate nell’art. 45.
Quindi l’indennità introdotta dall’accordo decentrato del 9/3/1999 non rientrava in alcuna di quelle previste dalla disciplina collettiva e quindi, comportando una modifica del trattamento economico, si poneva in contrasto con la citata normativa. Né la legittimità dell’accordo del 9/3/1999 poteva discendere dalla successiva contrattazione collettiva (ccnl 1998-2001) non ancora applicabile al momento della sottoscrizione dell’accordo. Infatti l’art. 2 del citato ceni ne prevedeva la decorrenza, quanto agli effetti giuridici, dal giorno successivo alla data di stipulazione, stipulazione intervenuta in data 7/4/1999 e quindi successivamente all’accordo decentrato suddetto. Sicché la conformità alla disciplina collettiva, e quindi il rispetto del divieto imposto dall’art.47, 10 co., legge n. 833/78, doveva essere verificata in base alla diversa regolamentazione vigente all’epoca della sottoscrizione, ossia a quella del ccnl 1995.
4. In sintesi la ratio decidendi dell’impugnata sentenza si riassume nel ritenuto contrasto tra raccordo decentrato in questione (quello del 9 marzo 1999) e la normativa di fonte legale e contrattuale collettiva vigente alla data dì sottoscrizione raggiungere un nuovo accordo in materia. A questo accordo aveva fatto seguito la deliberazione direttoriale n. 1993 del 26 agosto 1999 dì ricezione dell’accordo stesso con conseguente sospensione dell’erogazione dell’indennità in questione.
A tale deliberazione era seguita la n. 198 del 13/9/2000 di annullamento in sede di autotutela della deliberazione n. 1046 del 26/4/99, in quanto in contrasto con quanto previsto dal citato art. 47, penultimo comma, della legge 23/12/1978 n. 833 e dall’art. 44 del ccnl del comparto Sanità 1/9/1995 relativo alle indennità per particolari condizioni di lavoro.
Quindi – secondo la Corte d’appello – l’Azienda sanitaria aveva dapprima sospeso l’erogazione dell’indennità in ragione della ricezione del citato (secondo) accordo sindacale del 24 agosto 1999 e poi aveva annullato la precedente delibera che recepiva il primo accordo sindacale (del 9 marzo 1999) che tale indennità prevedeva. La delibera di annullamento in autotutela schermava quella di recepimento dell’accordo sindacale che prevedeva la sospensione dell’erogazione dell’indennità e quindi la Corte d’appello, pur facendo menzione di quest’ultimo, centra le proprie argomentazione sulla ritenuta illegittimità in radice del primo accordo sindacale quanto all’indennità in questione; per le ragioni sopra esposte la previsione ad opera del primo accordo sindacale contrastava con te vigenti (all’epoca) disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale.
Questa essendo la ragione del decidere della Corte d’appello, sono privi di rilevanza i plurimi ed insistiti rilievi della difesa de! ricorrente (nei primi tre motivi, poi ripresi nel 10° motivo) in ordine alla irritualità della produzione del secondo accordo sindacale, alla sua stessa sussistenza come accordo decentrato e comunque alla sua contestata vincolatività. In particolare nel 10° motivo la difesa del ricorrente deduce che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto valide le deliberazioni di sospensione prima e di annullamento poi dell’erogazione dell’indennità in questione, laddove – come già rilevato – la Corte d’appello ha ritenuto in radice illegittimo l’originario accordo decentrato che tale indennità prevedeva.
L’unico motivo che sarebbe quanto meno ben orientalo è il sesto perché censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la violazione dell’art. 47 penultimo comma, legge n. 833 del 1978. Ma ciò la difesa del ricorrente fa con un motivo (di poche righe) assolutamente generico e meramente assertivo; e pertanto non di meno inammissibile.
Inammissibili sono poi anche i restanti motivi che riguardano la contrattazione collettiva nazionale per il comparto della sanità per il triennio 1998-2001 (5°, 7° e 8° motivo) atteso che la difesa del ricorrente non si pone in critico confronto con l’affermazione della Corte d’appello che esclude la rilevanza dì tale contrattazione collettiva perché stipulata successivamente all’accordo decentrato della cui validità, in parte qua, si dibatte, Del tutto generico è poi il riferimento alla precedente contrattazione collettiva per il medesimo comparto del 1° settembre 1995 (9° motivo) che la Corte d’appello analizza invece in dettaglio per affermarne la violazione da parte del citato primo accordo sindacale.
Infine inammissibile è l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 47, decimo comma, legge n. 833 del 1978 (15° motivo). Tale disposizione è pienamente in linea ed è del tutto coerente con la previsione dei precedenti commi dell’art. 47 che demandavano il trattamento economico e gli istituti normativi di carattere economico del rapporto di impiego di tutto il personale dell’istituito Servizio Sanitario Nazionale ad un accordo nazionale unico, di durata triennale, stipulato tra Governo, regioni e comuni e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale. II decimo comma dell’art. 47 assegna alla disciplina posta sulla base di tale accordo nazionale unico una preminenza rispetto alla contrattazione territoriale decentrata che non poteva operare in contrasto con il livello nazionale. Principio questo – tipico della gerarchia delle fonti – che si rinviene anche nella normativa successiva fino all’art. 40 d.lgs. n. 165 del 2001 come novellato dal d.lgs. n. 150 del 2009 che parimenti prevede che la contrattazione collettiva integrativa, nel lavoro pubblico cd. “privatizzato”, si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali. Questa gerarchia delle fonti contrattuali collettive manifestamente non viola né il principio di eguaglianza, né gli artt. 35 e 36 Cost. evocati dalla difesa del ricorrente.
3. Il ricorso va quindi nel suo complesso dichiarato inammissibile.
Non occorre provvedere sulle spese non avendo la parte intimata svolto difesa alcuna.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.
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