CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 novembre 2022, n. 32697

Rapporto di lavoro – Capo team Agenzia delle Entrate – Mancato raggiugimento degli obiettivi – Nota di qualifica negativa – Legittimità

Rilevato che

1. la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha respinto la domanda proposta da M.T., funzionario di terza area con posizione di «capo team» di accertamento del gruppo 21 della Direzione provinciale di Roma, il quale, nel convenire in giudizio l’Agenzia delle Entrate, aveva chiesto l’annullamento della «nota di qualifica negativa» adottata a seguito di procedimento di valutazione dell’attività in relazione all’anno 2010 e, per l’effetto, il riconoscimento del suo diritto a ottenere la superiore valutazione;

2. la Corte capitolina, premesso che in forza dell’art. 19, comma 4, del CCNL l’incarico di «capo team» era soggetto a valutazione annuale dei risultati raggiunti, osservava che nel periodo dal 10 gennaio al 31 dicembre 2010 sia il valutatore di prima che di seconda istanza avevano espresso, nei confronti del T., giudizio di inadeguatezza per mancato raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi, il che deponeva per la legittimità della «nota di qualifica negativa»;

il giudice di appello riteneva l’infondatezza dell’assunto secondo cui gli obiettivi de quibus sarebbero stati assegnati tardivamente, con nota 6.9.2010, la quale ultima dava invece conto di una suddivisione tra i teams, in data 3.6.2010, del «budget di produzione dei controlli»;

suddivisione, peraltro, già anticipata negli incontri di area, come emergeva finanche dalla nota del 5.5.2010 della Direzione regionale del Lazio avente ad oggetto «assegnazione dei budget di produzione e delle risorse umane per l’anno 2010»; ad ogni modo, era ben noto, fin da inizio 2010, l’obiettivo di smaltimento del carico di lavoro dell’anno precedente;

gli obiettivi iniziali erano stati poi opportunamente rimodulati dall’Agenzia in considerazione «della riduzione dei componenti in servizio presso il team 21 nel corso dell’anno 2010», tanto si desumeva sia dalla nota 23.7.2010 del dirigente dell’Ufficio controlli sia dall’esito dell’espletata prova testimoniale;

né valeva invocare (ad avviso della corte d’appello) il quantitativo di «pratiche archiviate», visto che esse «non dipendevano dal caso», ma proprio dalla (in)capacità del capo team «di discernere, tra le lavorazioni assegnate, quelle su cui concentrare risorse ed energie al fine di non svolgere un’attività istruttoria che si rivel(asse) inutile»;

3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.T. sulla base di tre motivi, al quale ha opposto difese l’Agenzia delle Entrate con tempestivo controricorso illustrato da memoria;

4. la causa perviene all’odierna udienza camerale a seguito di rinvio per impedimento del relatore.

Considerato che

1. con il primo motivo, la cui rubrica reca «violazione, falsa, errata applicazione dell’art. 5 lett. d) d.lgs. 150/2009, dell’art. 19 CCNI, dell’allegato B del CCNI, dell’art. 18 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, in relazione all’art. 360 n. 3», il T. sostiene che la Corte distrettuale, facendo leva sulla nota prot. n. 2011/36651 che consentiva la valutazione della prestazione purché di durata pari ad almeno 90 giorni, era andata «in evidente contrasto con norme di legge» (i.e. con l’art. 5, comma 2 lett. d, cit.) e con i principi di «massimo dell’efficienza, trasparenza e oggettività» di cui all’art. 18 del Regolamento di Amministrazione nonché con il disposto di cui all’art. 19 CCNI e dell’allegato B del CCNI;

il motivo, non esente da profili di profili di inammissibilità, è da disattendere;

il ricorrente sotto l’apparente deduzione della violazione di legge, mira in realtà a una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito in guisa da surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 14 aprile 2017, n. 8758);

aggiungasi che il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza, da cui si desume che la Corte distrettuale, previo vaglio degli elementi istruttori (cfr. punto 3 della sentenza «dalla scheda di valutazione relativa all’anno 2010 si evince in maniera inequivocabile che il periodo preso in esame va dal 1 gennaio 2010 al 31.12.2010»), ha ritenuto che fosse stata operata una valutazione ancorata all’intero anno 2010, salvo aggiungere, in termini solo rafforzativi (inequivoca in tal senso la locuzione «tanto più»), che la nota interna prot. n. 36651 avrebbe consentito di sviluppare l’apprezzamento della prestazione anche nell’arco dei 90 giorni;

l’affermazione della Corte capitolina si appalesa conforme al dettato dell’art. 5 lett. d) del d.lgs. 150/2009 secondo cui «2. Gli obiettivi sono:

[…] d) riferibili ad un arco temporale determinato, di norma corrispondente ad un anno», disposizione che, adoperando la locuzione «di norma», non avrebbe impedito alla PA di fissare, a certe condizioni, un orizzonte temporale di valutazione più circoscritto;

2. vanno inoltre dichiarati inammissibili gli ulteriori rilievi che denunciano, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. la pretesa violazione del contratto collettivo integrativo;

2.1 la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione tennporis (cfr. fra le tante Cass. n. 5565/2004; Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 28859/2008; Cass. n. 6748/2010; Cass. n. 15934/2013; Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 16705/2018; Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; Cass. n. 25626/2020);

2.2 del pari le disposizioni regolamentari (pure evocate dal ricorrente) non hanno valore di norme giuridiche (Cass. n. 10581 del 1998, Cass. n. 5038 del 1998, Cass. n. 21 del 1986, Cass. n. 9239 del 2011; Cass. n. 26457/2017), esaurendo la loro operatività ed efficacia nell’ambito dell’attività interna degli enti, con la conseguenza che, in relazione all’interpretazione delle suddette disposizioni, la sentenza di merito non è censurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione; nella specie le censure in cui si articola il motivo non riguardano la violazione di disposizioni di legge sui criteri ermeneutici, ma direttamente il Regolamento d’Amministrazione (ove prevede «metodi e tecniche di valutazione che garantiscano il massimo dell’efficienza, trasparenza ed oggettività»), pertanto devono dichiararsi inammissibili;

3. con il secondo motivo, rubricato «omesso esame di fatti storici decisivi, […] con contestuale violazione, falsa e errata applicazione dell’art. 2697 cod. civ., della Metodologia di valutazione adottata dall’Agenzia delle entrate e di conseguenza del d. lgs. n. 150/2009 e successivi accordi integrativi, intervenuti con le OO.SS., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.», si deduce che la Corte distrettuale avrebbe ignorato il fatto che la struttura Direzione provinciale 1 di Roma (d’ora in poi anche DP1) nasceva l’8.3.2010 mentre i team solo in data 7 aprile 2010, sicché gli obiettivi non potevano essere stati assegnati in data anteriore, ma erano stati comunicati solo con ordine di servizio del 6.9.2010: la mail 3.6.2010 e il suo allegato, valorizzati dalla Corte di merito, contenevano solo «l’indicazione di massima di quelli che avrebbero potuto […] essere gli obiettivi definitivi»;

aggiunge il ricorrente che gli obiettivi non erano comunque proporzionati alle risorse del team 21 che avrebbero dovuto essere «pari a n. 12 unità più 1 e non a 7 unità più 1 e né a 10,92»: alla riduzione delle risorse avrebbe dovuto corrispondere la riduzione degli obiettivi almeno del 40% e non del 15% come operata dall’Agenzia delle entrate;

in definitiva «l’omesso esame di fatti, dei documenti, la mala interpretazione dei CCNI, l’omessa valutazione del rapporto di proporzionalità tra quantità e qualità delle risorse disponibili […] risultano decisivi in quanto, ove puntualmente esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia»;

3.1 il motivo è inammissibile perché introduce cumulativamente e inestricabilmente vizi eterogenei (violazioni di norme di diritto; vizi motivazionali, errores in iudicando), senza che si comprendano con chiarezza le plurime doglianze prospettate e così devolvendo impropriamente al giudice di legittimità la discrezionalità d’isolare le singole censure alla sentenza impugnata; nonostante la tassatività di motivi a critica vincolata e a cognizione determinata (Cass. Sez. Un. 06/05/2015, n. 9100; Cass. 17/03/2017, n. 7009; Cass. 23/10/2018, n. 26790; Cass. 09/12/2021, n. 39169);

quanto poi alla violazione dell’art. 2697 cod.civ., giova evidenziare che non viene qui dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni;

aggiungasi che censure che siano volte a contestare la valutazione della prova non possono trovare ingresso in sede di legittimità all’esito della modifica dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. perché l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque, come nella specie, preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018, Cass. S.U. n. 34476/2019);

né vale sostenere che la valutazione delle risultanze probatorie, e l’attribuita preponderanza ad alcuni elementi documentali anziché ad altri, avrebbe condotto il giudice d’appello «a un esito non corretto», perché tale deduzione si risolve, nuovamente, in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. sez. un. n. 8053 e 8054 del 2014; Cass. sez. un. n. 16598 del 2016; Cass. n. 11892 del 2016);

4. con il terzo motivo si denuncia «omesso esame del contributo dato dall’attività del team 21 nel raggiungimento dell’obiettivo complessivo dell’area e di cui all’allegato B del CCNI, violazione dell’art. 3 d. Igs. n. 150/09, cit., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.»; sostiene il ricorrente che i risultati del team 21 non avrebbero affatto compromesso il risultato globale della DP1, talché, se fosse stata fatta una valutazione della performance nel suo complesso, l’esito del giudizio sarebbe stato affatto diverso;

4.1 il motivo è inammissibile;

il ricorrente avrebbe dovuto indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366 comma 1 n. 6, e 369 comma 2 n. 4 cod. proc. civ.- il fatto storico, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extra-testuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053);

di tali evidenze non è stata fornita doverosa illustrazione, donde l’inammissibilità della censura;

non è dato poi comprendere in che termini la statuizione impugnata entrerebbe in conflitto con l’art. 3 d.lgs. n. 150, cit., il quale prevede, al comma 2, la necessità che l’amministrazione pubblica misuri e valuti la performance con riferimento anche «ai singoli dipendenti» e, al successivo comma 4, impone di «misurare, valutare e premiare la performance individuale e quella organizzativa»;

5. conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; la regolamentazione delle spese segue il principio della soccombenza;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.