CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 novembre 2013, n. 24896
Tributi – Valore delle partecipazioni – Svalutazione conseguenti a perdite patrimoniali della società partecipata – Determinazione del valore fiscale – Fondo rivalutazione partecipazioni – Posta iscritta in bilancio riferita alle medesime partecipazioni svalutate – Rilevanza – Sussiste – Valenza di mero adeguamento contabile – Esclusione
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, nel giudizio introdotto dalla spa (…) incorporante la spa (…), con l’impugnazione di due avvisi di accertamento ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per gli anni 1996 e 1997, ha accolto parzialmente l’appello dell’agenzia delle entrate, segnatamente in ordine al non riconoscimento della svalutazione della partecipazione della contribuente in una società controllata spagnola, atteso che la posta relativa al fondo di rivalutazione, incluso fra le poste del patrimonio netto, racchiudeva in sé l’espressione del maggior valore delle attività rivalutate, che non poteva non tradursi in un maggior valore della partecipazione, ed alla non deducibilità di costi da capitalizzazione concernenti i contributi di inserimento di prodotti della contribuente nel circuito della grande distribuzione spagnola.
Nei confronti della decisione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi ed illustrato con successiva memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando violazione di legge, assume che, alla luce dell’art. 61 (ora 94) del tuir, la corretta individuazione del valore delle partecipazioni sociali dovrebbe tener conto della sua sola svalutazione in ragione delle perdite (delle “diminuzioni”) patrimoniali pacificamente sofferte dalla società partecipata, e non anche della rivalutazione del valore delle medesime, “tuttavia operato a meri scopi di adeguamento contabile, senza cioè che essa rivalutazione costituisca espressione di un effettivo incremento patrimoniale del valore delle partecipazioni”; e denunciando vizio di motivazione assume che, l’aver ritenuto che la rivalutazione delle partecipazioni sociali, intervenuta a mero scopo di adeguamento cantabile, costituisca necessariamente espressione di un effettivo incremento patrimoniale delle partecipazioni stesse, non rappresenterebbe una motivazione di per sé inidonea a giustificare la decisione ovvero ancora contraddittoria o addirittura omessa.
Il motivo è infondato.
A norma dell’art. 61 (secondo la numerazione dell’articolato e nel testo vigente ratione temporis) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per le azioni e titoli similari non negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, ai fini dell’applicazione del comma quarto del precedente art. 59 il “valore minimo” è determinato infatti “riducendo il valore unitario in misura proporzionalmente corrispondente alle diminuzioni patrimoniali risultanti dal confronto fra l’ultimo bilancio regolarmente approvato dalle società o enti emittenti anteriormente alla data in cui le azioni vennero acquistate e l’ultimo bilancio o, se successive, le deliberazioni di riduzione del capitale per perdite”.
A tale regola si è attenuto il giudice d’appello, il quale, nella verifica del valore della partecipazione iscritta nel bilancio della società contribuente, e segnatamente dell’eventuale sussistenza di una “diminuzione patrimoniale”, nell’ultimo bilancio (1996) della società emittente, la partecipata spagnola, ha avuto riguardo, a fronte della svalutazione effettuata, alla “posta relativa al fondo di rivalutazione”, la quale “racchiude in sé l’espressione del maggior valore delle attività rivalutate”, e, alla stregua del detto art. 61, “non può non tradursi in un maggior reale valore della partecipazione, che trova la sua espressione contabile nell’iscrizione nella voce fondo di rivalutazione.
Nel caso in cui venga effettuata una svalutazione, si legge infatti nella sentenza impugnata, “i valori da mettere a confronto non possono non tener conto del suddetto fondo nel raffronto fra il valore iscritto in bilancio ed il valore della partecipazione espressa attraverso la (sua) corretta formazione”.
Determinante, in altri termini, è il valore emergente dal bilancio approvato, senza che nell’ambito di esso possa assegnarsi rilievo alla sola appostazione relativa alla svalutazione, e non anche a quella iscritta nella voce “fondo di rivalutazione” sulla base della considerazione, del tutto arbitraria e non autorizzata dalla noma dell’art. 61, che quest’ultima, sola, abbia una valenza “meramente contabile”.
Il secondo complesso motivo, con il quale la ricorrente denuncia violazione di legge, errar in procedendo e vizio di motivazione, muove dal presupposto che, con riguardo alla deducibilità di costi da capitalizzazione concernenti i contributi di inserimento dei prodotti nella grande distribuzione spagnola, fosse pacifica fra le parti la natura di spese promozionali o pubblicitarie. la ricorrente censura in proposito la sentenza per ultrapetizione, per violazione del divieto di pronunciarsi su questioni ed eccezioni non riproposte in appello, per violazione del giudicato interno circa la ritenuta, in primo grado, natura promozionale e pubblicitaria delle spese in questione, per la mancata applicazione del disposto dell’art. 74, comma 2, del tuir, che consente la deducibilità dei detti costi nell’esercizio in cui sono stati sostenuti, ed infine per non avere la sentenza ritenuto che detti costi “non costituissero spese promozionali e pubblicitarie, pur essendo pacifiche e concordi in tal diverso senso le allegazioni di entrante le parti”, il che rappresenterebbe “una motivazione di per sé inidonea a giustificare la decisione ovvero ancora contraddittoria o addirittura emessa”.
Il motivo è infondato.
Per un verso, infatti – e ciò vale ad integrare anche un profilo di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza – esso poggia su un presupposto indimostrato, vale a dire che dei “costi da capitalizzazione”, meglio denominati come “contributi o diritti di inserimento”, contraddistinti come rilievi con le lettere f ed m, rispettivamente per il 1996 ed il 1997, fosse incontroversa tra le parti la natura di spese promozionali o pubblicitarie; che l’ufficio non avesse negato tale natura neanche in appello, oltre che in prime cure; che in tale senso fossero pacifiche e concordi le allegazioni di entrante le parti.
Per altro verso, la sentenza impugnata appare immune dai vizi ad essa addebitati, avendo fatto corretta applicazione della previsione dell’art. 74, terzo comma, del tuir, ed avendo dato conto, senza incorrere in vizi logici, delle ragioni che ne costituiscono il fondamento.
La società ricorrente non riporta infatti, né indica la parte dell’avviso di accertamento,- con il relativo rinvio al verbale di constatazione, nonché delle controdeduzioni in primo grado – (“l’ufficio di Gallarate si costituiva in giudizio contestando quanto dedotto dalla società”, così nel ricorso per cassazione) -, in cui l’ufficio avrebbe qualificato come di natura promozionale e pubblicitaria le dette spese.
E nella sentenza impugnata la censura formulata in appello sul punto è sintetizzata nel senso che, quanto alla “capitalizzazione di costi, l’ufficio sostiene che la natura degli stessi è quella di costi ad utilizzazione pluriennale perché relativi a diritti di commercializzazione”; nell’atto di appello (che richiama anche un allegato al p.v.c.) riportato in parte qua nel ricorso per cassazione della contribuente, risulta con chiarezza, e quindi in forma non implicita, che i detti contributi di inserimento, in base ai contratti sottostanti erano un costo da capitalizzare che “interessava più anni di vendita e quindi da attribuire a più periodi d’imposta”, trattandosi di acquisizione verso corrispettivo, da parte della M., del diritto finalizzato all’inserimento del suo prodotto da commercializzare… ” rientrante in una politica delle vendite che “per sistematica prospettiva di indirizzo non può ragionevolmente e fiscalmente racchiudersi in un solo e limitato (periodo) temporale, quale l’anno di vendita, ma in armonia con il principio della correlazione costi-ricavi (deve) trovare correlazione in più esercizi contabili per la correlata quota imputabile, in sintonia a quanto, peraltro, stabilisce l’art. 74, terzo comma, del tuir” – relativo alle “altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 e 2”, comma quest’ultimo che regola appunto la deducibilità delle spese di pubblicità e di propaganda.
La sentenza di merito ha sul punto ritenuto si dovesse “accogliere l’appello dell’ufficio…, nella convinzione che in tali costi non vi sia contenuto di tipo pubblicitario o promozionale…” trattandosi bensì di oneri pluriennali che per loro natura dovevano essere trasferiti su più esercizi.
Di fatto trattasi di diritti pagati nei confronti di grandi aziende della grossa distribuzione per poter vendere i loro prodotti nei loro spazi. Nell’accordo fra le ricorrenti e tali aziende manca la durata, ma ciò non toglie che il rapporto dovesse essere considerato ultrannuale..”.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la contribuente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 11.000, oltre alle spese prenotate a debito.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 19 giugno 2019, n. C-607/17 - Ai fini della valutazione della definitività delle perdite di una società controllata non residente, ai sensi del punto 55 della sentenza del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03,…
- Corte di Cassazione, ordinanza n. 28064 depositata il 5 ottobre 2023 - In tema di utilizzo delle perdite fiscali pregresse, il contribuente è libero di decidere se e quando utilizzare le perdite fiscali a scomputo dei redditi futuri, in quanto la norma…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione tributaria, sentenza n. 8751 depositata il 3 aprile 2024 - Le perdite maturate anteriormente alla tassazione di gruppo sono utilizzabili individualmente ed esclusivamente in compensazione da parte di ogni soggetto aderente…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 agosto 2022, n. 24896 - In tema di ricostruzione della carriera del personale docente della scuola, secondo cui la clausola 4 dell'Accordo Quadro attribuisce un diritto incondizionato che può essere fatto valere dal…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 16595 depositata il 12 giugno 2023 - In tema di imposte sui redditi di capitale la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 5674 depositata il 23 febbraio 2023 - L’esenzione di cui all’art. 3 comma 4-ter del d.lgs. 346/90 (imposta di successione e donazione), valevole anche per le partecipazioni di società non residenti in Italia se…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024 le cause di esclusione per l’anno 2
La legge istitutiva degli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (ISA) ha una…
- Il diritto riconosciuto dall’uso aziendale n
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10120 depositat…
- L’indennità sostitutiva di ferie non godute
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9009 depositata…
- Il giudice tributario è tenuto a valutare la corre
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5894 deposi…
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…