Corte di Cassazione sentenza n. 27205 del 16 dicembre 2011
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO – REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO – DIRITTO DEL LAVORATORE DI OTTENERE L’INDENNITÀ SOSTITUTIVA – FONDAMENTO
massima
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La richiesta del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, l’indennità prevista dall’art. 18, quinto comma, della 20 maggio 1970, n. 300, costituisce esercizio di un diritto derivante dall’illegittimità del licenziamento, riconosciuto al lavoratore secondo lo schema dell’obbligazione con facoltà alternativa “ex parte creditoris”, nel senso che, in luogo della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, che è l’unica prestazione cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza dell’illegittimità del licenziamento irrogato, il lavoratore può optare per la corresponsione dell’indennità di cui alla citata norma.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma , confermando la sentenza di primo grado, rigettava l’opposizione proposta dalla società I.C. al decreto ingiuntivo emesso su istanza di R. per la somma di euro 20634,90 richiesta a titolo d’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro di cui alla precedente sentenza del 18 marzo 2003 con la quale era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento intimato dalla predetta società.
La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede,riteneva che ancorché il R. avesse – con atto di precetto – chiesto, a seguito della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, oltre al risarcimento dei danni anche la reintegrazione nel posto di lavoro ben poteva – in assenza di effettiva reintegrazione – richiedere l’indennità sostitutiva di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, avendo egli avanzato la relativa istanza nel termine di trenta giorni dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio.
Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure precisate da memoria.
Resiste con controricorso la parte intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società, deducendo vizio di motivazione, indica, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., quale fatto controverso l’atto di significazione e comunicazione con il quale la società aderendo alla richiesta del R. di essere reintegrato gli intimava di riprendere, senza dilazione, servizio con conseguente ripristino del rapporto di lavoro e tardività della richiesta d’indennità per essere stata la stessa avanzata dopo la ricostituzione del rapporto di lavoro.
Assume la società che la Corte del merito ha del tutto trascurato 1 ‘avvenuta esecuzione della reintegrazione prima della richiesta dell’indennità sostituiva da parte del lavoratore.
La censura è infondata.
Invero la Corte del merito nell’affermare che “ove il lavoratore abbia manifestato l’intenzione di chiedere la reintegrazione nel posto di lavoro, fintantoché la medesima reintegrazione non abbia avuto esecuzione, può optare per l’indennità di 15 mensilità”, ha ritenuto correttamente – che il mero invito riprendere servizio non costituisce esecuzione dell’obbligo scaturente dal dictum della sentenza – di reintegrazione nel posto di lavoro realizzandosi questo esclusivamente con l’effettivo reinserimento del lavoratore nel suo posto di lavoro.
Con la seconda critica la società, denunciando violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, formula, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito: “se il lavoratore che abbia richiesto la reintegrazione in servizio e che sia stato integrato dal datore di lavoro , possa, successivamente,ritrattare la propria scelta e domandare l’indennità sostitutiva”.
La censura non è accoglibile.
Infatti il quesito di diritto muove dal presupposto che, nella specie, il lavoratore sia stato reintegrato nel posto di lavoro, mentre di contro, come sottolineato ne11’esame del motivo che precede, il datore di lavoro si è limitato, nella specie, ad invitare il lavoratore a prendere servizio, ma a tale invito non è seguito l’effettivo ripristino del rapporto di lavoro
È, quindi, corretta la sentenza impugnata che si è adeguata alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’obbligazione alternativa, ai sensi dell’art. 1285 e segg. cod. civ., presuppone l’originario concorso di due o più prestazioni, poste in posizione di reciproca parità e dedotte in modo disgiuntivo, nessuna delle quali può essere adempiuta prima dell’indispensabile scelta di una di esse, scelta rimessa alla volontà di una delle parti e che diventa irrevocabile con la dichiarazione comunicata alla controparte. L’obbligazione cosiddetta facoltativa, invece, postula un’obbligazione semplice, avente ad oggetto una prestazione principale, unica e determinata fin dall’origine, nonché, accanto a questa, una prestazione facoltativa – della cui effettiva ed attuale esigibilità il creditore optante abbia piena consapevolezza – dovuta solo in via subordinata e secondaria qualora venga preferita dal creditore stesso e costituisca quindi l’oggetto di una sua specifica ed univoca opzione, opzione che, peraltro, può essere esercitata solo fino al momento in cui non vi sia stato l’adempimento della prestazione principale (Cass. 17 novembre 1995 n. 11899 e Cass. 16 agosto 2000 n. 10853).
Difatti è ius receptum che la richiesta del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, l’indennità prevista dall’art. 18, quinto comma, legge n. 300 del 1970, costituisce esercizio di un diritto derivante dall’illegittimità del licenziamento, riconosciuto al lavoratore secondo lo schema dell’obbligazione con facoltà alternativa ex parte creditoris, nel senso che, in luogo della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, che è 1’unica prestazione a cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza dell’illegittimità del licenziamento irrogato, il lavoratore può optare per la corresponsione della indennità di cui alla citata norma(v. oltre a Corte Costituzionale 4 marzo 1992 n. 81, Cass. 13 agosto 1997 n. 7581, Cass. 16 ottobre 1998 n. 10283, Cass. 8 aprile 2000 n. 4472, Cass. 12 giugno 2000 n. 8015, Cass. 26 agosto 2003 12514 nonché, tra le tante, Cass. 16 marzo 2009 n. 1642
Il ricorso in conclusione va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 50,00 per esborsi ed E. 3.000,00(tremila/00) per onorario oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 ottobre 2011
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