Corte di Cassazione sentenza n. 33282 del 07 settembre 2011
SICUREZZA SUL LAVORO – BETONELLE – PRECARIE MODALITÀ DI IMBALLAGGIO – AMMINISTRATORE UNICO
massima
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Vi è la responsabilità dell’amministratore unico della Ditta per la morte di un lavoratore causata dalla scomposizione di un carico di manufatti cementizi (le betonelle) per le precarie modalità di imballaggio degli stessi.
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Fatto
La Corte di Appello di Caltanissetta, pronunziando su appello del Pubblico Ministero che devolveva il giudizio in sede di impugnazione limitatamente all’addebito di cui al capo b) della rubrica, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ha dichiarato T.B. responsabile del reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p., con l’aggravante della violazione di specifiche norme antinfortunistiche (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 58 capo A) per essere stata la morte di B.F. causata dalla scomposizione di un carico di betonelle, verificatasi durante il trasporto a causa delle precarie modalità di imballaggio dei materiali.
La Corte di Appello, concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante contestata, ha condannato la imputata oggi ricorrente alla pena di mesi otto di reclusione nonché al pagamento delle spese processuali, e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, oltre che delle spese da costei sostenute per il giudizio, con sospensione condizionale della pena e non menzione.
L’imputata T. ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.
Parte ricorrente ha presentato due ricorsi per cassazione, rispettivamente depositati il 5/5/2010 e il giorno 11/5/2010.
Il primo ricorso denunzia:
1) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per illogicità della motivazione con riguardo a precedente giudicato posto che l’addebito al quale seguiva condanna era costituito da una contestazione di colpa specifica (già contenuta nel capo a della rubrica) per la quale la pronunziata assoluzione non era stata oggetto di impugnazione.
2) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 181 per violazione di legge e difetto di motivazione. La previsione dell’art. 181 sarebbe applicata ad una fattispecie che non le è propria a causa di inesistenza di obbligazioni del produttore in punto di confezionamento del prodotto venduto con clausola franco destino ma con rischio del viaggio a carico dell’acquirente e in punto di responsabilità assunta dall’acquirente (del quale la vittima era dipendente) a carico del quale sarebbe stato contrattato il trasporto. Ancora il sollevamento delle pedane sarebbe avvenuto a mezzo di muletto e non a mezzo di gancio con tiro verticale.
Il secondo ricorso denunzia:
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 157 c.p. per essersi il reato contestato (cadute le aggravanti per effetto del giudizio di equivalenza con le generiche) estinto alla data (9/2/2010) della sentenza di appello.
2. Violazione del principio del giudicato formatosi a seguito di assoluzione non impugnata per l’addebito di cui al capo a) in realtà anche costitutivo dell’addebito di cui al residuo capo b) e conseguente contraddittorietà della motivazione.
3. Violazione e falsa applicazione della legge penale con riferimento all’art. 521 c.p.p., nonché omessa contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione a fronte di una contestazione superstite di colpa generica la Corte avrebbe costruito una condanna ancora per colpa specifica.
4. Violazione e falsa applicazione della legge penale con riferimento all’art. 589 c.p., nonché omessa contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione in punto di difetto di addebitabilità dell’omicidio alla T..
5. Violazione di legge nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio per aver omesso ogni motivazione in punto di bilanciamento per sola equivalenza delle circostanze nonché in punto di scostamento della pena dal minimo pur in presenza di un altrui consistente concorso di colpa del 40%.
All’udienza pubblica del 24/2/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Diritto
La sentenza di appello ha sovvertito, in accoglimento della impugnazione proposta dal PM, la sentenza di assoluzione del primo grado, peraltro specificamente motivando in ordine alle ragioni del cambiamento totale di indirizzo.
Alla T. era stato contestato al capo a) della rubrica, il fatto di aver posto in commercio manufatti cementizi (le betonelle già sopra menzionate) imbracati in modo non idoneo ad evitare la caduta del carico e il suo spostamento dalla prima posizione di “ammaraggio” con espresso richiamo al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 181, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 e art. 34, comma 1, lett. a) e b) e commi 2 e 3; e al capo b) di avere, nella sua qualità di imprenditore, cagionato, a B.F., autista proprietario del mezzo sul quale era effettuato il trasporto e lo scarico, per colpa, imperizia e imprudenza, e per violazione della norma antinfortunistica di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 58, capo a) lesioni gravissime che determinavano la morte del trasportatore, cinque giorni dopo l’infortunio. Alla T. ancora era addebitato in dettaglio il fatto che nella sua qualità di amministratore unico della Ditta T., producendo betonelle le predisponeva con imbracatura carente e inadeguata, inidonea a prevenire la caduta del carico, in particolare omettendo di rivestire il carico con film di plastica sufficientemente robusto e con reggette in numero tale da fissare le pile di betonelle in modo efficace, per aggiunta facendo caricare sul camion condotto dal B. 26 pedane di betonelle che, all’atto dello scarico, rovinavano sul B..
Questa Corte rileva:
La Corte di Appello ha assunto la violazione di regole cautelari antinfortunistiche che per la complessità della vicenda processuale che ha portato alla cancellazione del primo addebito specifico e alla errata sovrapposizione del primo addebito specifico col secondo, deve essere negata trovandosi il nucleo centrale della decisione di appello nell’accertamento di una colpa generica della produttrice – venditrice condotto sul filo dei fatti e delle condotte in concreto descritte fin dai primi atti del processo e rispetto ai quali l’imputata ha certamente fruito di ogni diritto di difesa.
In questa prospettiva di lettura la sentenza di condanna oggi impugnata resiste ad ogni censura di violazione dell’art. 521 del c.p.p., posto che la condotta ritenuta dalla sentenza di appello fonte causale dell’evento mortale addebitato, non si identifica nella specifica violazione delle regole individuate al capo a) della rubrica (l’imbracatura dei carichi deve essere effettuata usando mezzi idonei per evitare la caduta del carico e il suo spostamento dalla primitiva posizione di ammaraggio D.P.R. n. 27 aprile 1955, n. 547, ex art. 181) che la sentenza impugnata qualifica come regolarmente funzionali alle esigenze della produzione modulate secondo gli assetti negoziali intercorsi tra venditore e acquirente delle betonelle, (condotta e violazione, per la quale è intervenuta decisione assolutoria).
La condotta addebitata nella sentenza di condanna in corrispondenza della parte di contestazione di cui al capo B) della rubrica nella parte non rimossa dalla assoluzione per il reato di cui al capo a) non impugnata dal PM, si identifica secondo ampia e diffusa ricostruzione della dinamica causale dell’evento, che supera la non adeguata citazione di giurisprudenza relativa al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 181 e la errata indicazione di norma di legge di cui a pg 20 della stessa sentenza impugnata, in una colpa corrispondente ad una condotta imprudente negligente e imperita rapportata ad un confezionamento delle betonelle (250 del peso di oltre 4 kg ciascuna su 15 pile, per ogni confezione) in pallets contenuti con film plastico nella sola parte superiore del blocco e 2 reggette parallele ai lati lunghi della pedana (come è dettagliato nella sentenza di appello). Tale confezionamento non solo è stato ritenuto dalla sentenza oggi impugnata concretamente inadeguato ad assicurare la tenuta di ogni confezione e a garantire la incolumità di chiunque, ma è stato letto come contrastante con i parametri di diligenza e prudenza ricavabili dal precetto di cui al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 58 che imponeva un sollevamento solo meccanico dei laterizi ed esplicitamente escludeva l’impiego di piattaforme semplici (leggi pallets) e di imbracature (leggi reggette e films di plastica).
Tenuto ben fermo che le norme fin qui citate, e non sempre precisamente indicate nei documenti relativi al processo di merito, sono attualmente abrogate ma che al di là di un principio di continuità normativa tra quelle e le nuove norme contenute nel D.Lgs. n. 81 del 2008 (tra le molte Cass. Pen. Sez. 3 6/11/2008 n. 41367) esse sono ancora pienamente utilizzabili come traccia storica di buona pratica e come misura di condotte prudenti, ritiene la Corte che gli assetti di interessi privati raggiunti mediante accordi negoziali e la rappresentazione cartolare dei rapporti, in occasione dei quali si è verificato un infortunio mortale, non sia suscettibile di incidere in senso riduttivo o addirittura ablativo sulla perimetrazione dell’area di garanzia e su quella della responsabilità penale. Al di là della qualità formale dei rapporti di lavoro comunque configurati, resta una esposizione a rischio mortale prodotta da un inadeguato tipo di confezionamento della merce movimentata e una qualificata imprudenza confrontabile col divieto di sollevare e movimentare laterizi mediante piattaforme semplici (leggi pallets) e imbracature (leggi reggette e films di plastica) al sollevamento di laterizi. Quanto al rapporto che corre tra la regolazione dell’imballaggio e la regolazione della imbracatura è da escludere che si tratti di rapporto tale da impedire che la regolazione degli imballaggi abbia a dare misura a quella delle imbracature e viceversa, posto che la sentenza impugnata ha accertato che l’imballaggio aveva nella concreta operazione posta in essere (sollevamento, mediante muletto a forche, di pallets carichi di laterizi) la contestuale funzione di sistema di contenimento e imbracatura per le manovre di movimentazione. In ogni caso il richiamo contenuto nel capo b) alla violazione del parametro cautelare di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 58 individua una omissione che nulla la che fare con quella contestata al capo a), poi eliminata dal giudizio con specifica statuizione di proscioglimento.
La responsabilità è stata dunque collegata dalla sentenza di appello al rischio professionale derivante da attività di impresa e alla posizione di garanzia di fatto assunta dalla T. in forza della concreta pericolosità del mezzo di contenimento del prodotto di fatto adottato e utilizzato (in concreto ma anche secondo regola di esperienza) come imbragatura per ogni operazione di logistica posta in essere a partire dall’assemblaggio delle betonelle in pile collocate su piattaforme contenute da reggette.
Tale responsabilità è stata espressamente e logicamente collegata ad una omissione che è ben distinta da quella contestata al capo a) della rubrica. La struttura giustificativa della motivazione di appello ricostruisce, nella complessiva tessitura del suo testo, una colpa generica della imputata mentre deve essere esclusa una colpa specifica equivalente a quella di cui al capo a) dell’originaria imputazione.
Tanto vale anche ad escludere contraddittorietà tra la statuizione parzialmente assolutoria e quella condannatoria ed egualmente vale ad escludere che sia stato violato un giudicato parziale già formato attraverso il proscioglimento da un addebito di colpa specifica diverso da quello assunto a contenuto della colpa generica accertata in fatto dalla sentenza di condanna.
La ricostruzione operata dalla sentenza impugnata della causalità materiale dell’evento morte e della causalità della colpa, come fin qui individuate, escludono la fondatezza della censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 589 c.p., nella prospettiva della non addebitabilità dell’omicidio colposo alla T..
La sentenza impugnata da compiuta certezza della causalità dell’evento e della causalità della colpa tutte rapportabili alla ricorrente T..
In conclusione la impugnazione proposta dalla ricorrente ai fini penali, non ha fondamento e, per quanto fin qui argomentato, essa si connota per la totale assenza in atti di cause evidenti che rendano possibile l’immediato proscioglimento della imputata ex art. 129 c.p.p.. Poiché la data di commissione del reato addebitato è collocata al 4/7/2002, la pendenza dell’appello si è determinata dopo il 22/9/2008, e normativa applicabile più favorevole in tema di prescrizione è quella risultante dal testo dell’art. 157 c.p. successivo alle modificazioni introdotte con L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 58. Applicato perciò il tempo della prescrizione di base per la colpa generica, deve essere preso in considerazione un tempo di prescrizione pari a totali sette anni e mezzo certamente decorso dopo l’instaurazione di un valido rapporto impugnatorio nel giudizio di cassazione e prima dell’odierna udienza.
Il ricorso deve conseguentemente essere rigettato per la parte in cui investe le statuizioni civili della sentenza impugnata e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per questo giudizio di cassazione, spese liquidate in Euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre accessori come per legge.
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