Corte di Cassazione sentenza n. 4486 del 29 gennaio 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – COMMITTENTE – RESPONSABILITA’ NELLA DUPLICE VESTE DI DATORE DI LAVORO E DI PRESIDENTE DELLA IMPRESA COMMITTENTE – COORDINATORE PER LA SICUREZZA
massima
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Vi è la responsabilità del Presidente del CDA di una s.r.l. per aver cooperato con altri nel cagionare lesioni personali ad un lavoratore dipendente. L’infortunato stava lavorando all’interno del capannone condotto in locazione da una snc quando veniva colpito da un trabattello che precipitava da un’altezza di 6 metri ove era stato posto dagli addetti della ditta alla quale erano stati appaltati i lavori di realizzazione dell’impianto elettrico nell’ambito di più ampi lavori di riqualificazione dell’immobile. In particolare era accaduto che il trabattello era stato urtato dal carro ponte azionato tramite una pulsantiera per trasportare da un lato all’altro del capannone un tubo lungo circa 6 metri, nell’ambito dei lavori previsti da un ulteriore contratto di appalto avente ad oggetto la realizzazione degli impianti idraulici.
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FATTO
1. (Omissis) veniva condannato dal Tribunale di Milano perché in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione della (Omissis) s.r.l. aveva cooperato con altri nel cagionare lesioni personali al lavoratore (Omissis). Questi, dipendente della (Omissis), stava lavorando all’interno del capannone condotto in locazione dalla (Omissis) quando veniva colpito da un trabattello che precipitava da un’altezza di 6 metri ove era stato posto dagli addetti della ditta alla quale erano stati appaltati i lavori di realizzazione dell’impianto elettrico nell’ambito di più ampi lavori di riqualificazione dell’immobile per l’uso al quale la (Omissis) intendeva adibirlo. In particolare era accaduto che il trabattello era stato urtato dal carro ponte azionato tramite una pulsantiera da (Omissis) per trasportare da un lato all’altro del capannone un tubo lungo circa 6 metri, nell’ambito dei lavori previsti da un ulteriore contratto di appalto avente ad oggetto la realizzazione degli impianti idraulici.
Il giudice di prime cure ravvisava nell’omessa nomina di un coordinatore per la progettazione e di un coordinatore per l’esecuzione dei lavori la condotta colposa ascrivibile al (Omissis) nella qualità di legale rappresentante della ditta committente, qualificando quindi i lavori come attinenti a cantiere temporaneo, ai sensi del D.Lgs. n. 494/1996. Sotto tale profilo il giudice prendeva in considerazione anche il rilievo difensivo che, facendo riferimento alla contestazione elevata all’imputato, secondo la quale questi sarebbe stato datore di lavoro dell’infortunato e inosservante agli obblighi discendenti dal D.Lgs. n. 626/1994, art. 7 rilevava che il fatto di aver contestato al (Omissis) di non aver cooperato all’attuazione di misure di prevenzione e protezione dei rischi di lavoro e non aver coordinato l’intervento di tutela, omettendo di informarsi reciprocamente al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte, nonché di non aver promosso la cooperazione, concretizzava una descrizione dell’addebito chiarissima la cui qualificazione giuridica competeva al giudice.
2. La Corte di Appello di Milano con sentenza pronunciata il 20 gennaio 2012 confermava integralmente la decisione appellata rilevando, quanto al lamentato omesso accertamento del nesso eziologico tra condotte omissive ed infortunio, che la censura non aveva fondamento poiché “l’inosservanza delle norme di prevenzione in presenza di quell’evento che si vuole impedire integrano di per sè responsabilità per colpa del soggetto che ne è destinatario”, aggiungendo altresì che l’infortunio subito dal lavoratore fu senza dubbio frutto di una negligenza del (Omissis), a sua volta causalmente connesso con l’assenza di un piano di sicurezza e coordinamento tra le imprese che operavano nel cantiere e del relativo responsabile. Sotto altro aspetto rilevava che la negligenza del coimputato (Omissis) non aveva quel requisito di eccezionalità richiesto per l’attribuzione esclusiva degli infortuni al medesimo, mentre la presenza di un piano di sicurezza e del relativo coordinatore avrebbe consentito il superamento dei limiti costituiti dall’insufficienza della sola informazione teorica. Tale specifica previsione operativa e la sua osservanza avrebbero impedito l’efficienza causale di fatti dovuti all’imprudenza del singolo lavoratore delle imprese interessate.
Quanto al preteso difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, la Corte di Appello riteneva che, essendo incontroversa la descrizione della condotta omissiva, non ha alcun rilievo la diversa qualificazione normativa attribuita dal giudice di primo grado “stante la coincidenza della posizione di garanzia, che impone l’osservanza di identica cautela anche al committente”.
La Corte distrettuale aggiungeva che l’imputato era stato in grado di ben comprendere quale fosse la condotta in contestazione e dunque di approntare la difesa.
Infine rigettava la censura relativa all’omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6.
3. Ricorre per cassazione il (Omissis) a mezzo del difensore di fiducia avvocato (Omissis).
3.1. Con un primo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 521 c.p.p., comma 1 e omessa motivazione in ordine agli specifici motivi dedotti. L’esponente ripropone il rilievo secondo il quale l’erronea attribuzione nella contestazione originale della qualità di datore di lavoro dell’infortunato ha condotto l’imputato a svolgere le sue difese in rapporto agli obblighi inerenti a tale posizione di garanzia e non in relazione alla violazione delle prescrizioni indirizzate al committente di un cantiere. Anche a voler condividere la tesi dell’equivalenza degli obblighi di cautela, accolta dalla Corte di Appello, ciò varrebbe unicamente rispetto alla posizione di garanzia del datore di lavoro della persona offesa. Su questo punto l’esponente lamenta la mancanza di qualsiasi valutazione da parte della Corte di Appello, la quale non si è rappresentata la differenza tra obblighi previsti in caso di appalto interaziendale e obblighi previsti nel caso di cantiere temporaneo o mobile, quale è quello del caso che occupa, secondo quanto ritenuto dal primo giudice.
2.2. Con un secondo motivo di ricorso si deduce l’erronea interpretazione della legge penale con riferimento all’art. 40 c.p., in riferimento alla sussistenza del nesso di causa con l’infortunio. Facendo riferimento ad un’affermazione fatta dalla Corte di Appello, l’esponente lamenta come si sia derivata l’esistenza del nesso eziologico dal solo fatto di non aver osservato le norme in materia cautelare, omettendo così di accertare la valenza causale della condotta.
La motivazione della Corte non permetterebbe di conoscere nello specifico quale sarebbero stati i comportamenti dovuti che avrebbero impedito la sequenza causale che ha determinato l’evento.
DIRITTO
4. Il ricorso è manifestamente infondato.
4.1. I fatti risultano non controversi. Non è contestato che l’imputato fosse presidente del C.d.A. della (Omissis) s.r.l.; che questa fosse committente dei lavori per l’installazione di tubazioni ed altro presso il capannone che aveva preso in locazione dalla (Omissis) s.n.c.; che l’appalto avesse interessato diverse imprese: la (Omissis), la (Omissis); che l’infortunio si verificò allorquando (Omissis), dipendente della (Omissis) s.r.l., intento alle proprie occupazioni, venne colpito da un ponte mobile installato dal (Omissis) a sei metri di altezza, precipitato sul (Omissis) a causa dell’urto con un carro ponte movimentato dal (Omissis) che attendeva all’esecuzione dei lavori appaltatigli.
4.2. Si osserva che all’imputato si ascrive una violazione in veste di datore di lavoro dell’infortunato, mentre questi era dipendente di altra società; che nella sua vera veste di committente egli è gravato da obblighi diversi. Si conclude che, ascrivendogli, attraverso l’indicazione della errata qualifica, la violazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro, l’imputato non ha potuto approntare una consapevole difesa in ordine alla violazione delle prescrizioni indirizzate al committente.
L’assunto non è del tutto conforme al vero e le conclusioni sono errate.
Nel capo di imputazione all’imputato è stata attribuita tanto la qualifica di datore di lavoro (evidentemente della p.o.) che quella di presidente della impresa committente. Non c’è dubbio che maggior rilievo ha il fatto che, nel descrivere i contenuti della colpa specifica attribuitagli, l’imputazione elevata dal p.m. fa riferimento a condotte tipiche del datore di lavoro committente (art. 7, cit. Decreto Legislativo); per contro, il Tribunale di Milano ha ritenuto il (Omissis) trasgressore di un obbligo tipico del committente (D.Lgs. n. 494/1996, art. 3: mancata nomina di un coordinatore per la progettazione e di un coordinatore per l’esecuzione; articolo 12: mancata redazione di un piano di sicurezza e di coordinamento; articolo 13: valutazione del rischio interferenziale ed adozione delle relative misure).
Ma, ciò posto, è anche vero che – oltre all’ampiezza dell’imputazione, che riferimento anche alla colpa generica, ovvero alla “negligenza, imprudenza e imperizia … nel controllo, nell’organizzazione e nella predisposizione dei mezzi a tutela della salute dei lavoratori”, l’imputato si è difeso in ordine alla corretta qualifica di competenza e ai discendenti obblighi, tanto da rilevare l’incongruenza della contestazione con specifica censura proposta all’attenzione dei primo giudice (cfr. pg. 5 della sentenza di primo grado).
Com’è noto, il principio di correlazione tra accusa e sentenza ha lo scopo di garantire il contraddicono sul contenuto dell’accusa e, quindi, l’esercizio effettivo del diritto di difesa dell’imputato, sicché non è configurabile una sua violazione in astratto, prescindendo dalla natura dell’addebito specificamente formulato nell’imputazione e dalle possibilità di difesa che all’imputato sono state concretamente offerte dal reale sviluppo della dialettica processuale (ex multis, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2074 del 25/11/2008, Fioravanti, Rv. 242351).
La Corte di Appello, nell’affermare che la qualificazione giuridica non è rilevante e che la posizione di garanzia è coincidente non fa che sintetizzare, forse con eccessivo self-restraint quanto già sostenuto dal primo giudice, ovvero che con estrema chiarezza l’imputazione ascriveva al (Omissis) la violazione di obblighi di cooperazione e di coordinamento nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi da lavoro.
Tanto chiarito risulta evidente che non è ravvisabile quel vizio di omessa motivazione che il ricorrente attribuisce alla sentenza di secondo grado, in ordine alla censura concernente la condanna sulla base di normativa diversa da quella contestata nell’imputazione.
4.3. Il secondo motivo di ricorso individua un passaggio motivazionale probabilmente poco felice, ma tutt’altro che centrale nell’economia della motivazione resa dalla Corte di Appello. Essa afferma in un passo che è sufficiente l’inosservanza delle norme precauzionale per fondare la responsabilità del destinatario dell’obbligo in caso di infortunio. Ma poi prosegue, aggiungendo che “l’infortunio subito dal lavoratore fu senza dubbio frutto di una negligenza del (Omissis), a sua volta causalmente connessa con l’assenza di un piano di sicurezza e coordinamento tra le imprese, che operavano nel cantiere e del relativo responsabile”. Tanto significa mettere in correlazione causale l’infortunio e la violazione di tali ultimi obblighi. Né va ignorato che, trattandosi di sentenza di conferma di quella impugnata, e quindi di sentenze che si integrano, va anche ricordato che il Tribunale aveva osservato che le condotte colpose attribuibili al (Omissis) “sono altresì rilevanti, perché la predisposizione di un adeguato piano di sicurezza e coordinamento e la verifica della libertà della pista del carroponte prima del suo avviamento, avrebbero evitato l’urto con il trabatello e quindi la sua condotta addosso al lavoratore (Omissis)”.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
5. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
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