Corte di Cassazione sentenza n. 4897 del 27 marzo 2012
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SOCIETÀ COOPERATIVE – SOCI – STATUTO DEI LAVORATORI – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE – FONDAMENTO – COOPERATIVE
massima
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Lo Statuto dei lavoratori non trova applicazione nei confronti dei soci di cooperative. Infatti, all’estensione della disciplina recata dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, ostano la “ratio” della normativa, che direttamente si occupa dei prestatori d’opera subordinati, nonché il tratto di specialità che connota le disposizioni di cui, in particolare, al Titolo V del predetto Statuto, che si dirigono ai datori di lavoro, tra i quali non possono ricomprendersi le società cooperative, che non intrattengono con i soci lavoratori rapporti diversi da quelli sociali. Siffatta conclusione trova ulteriore conforto nel nuovo assetto assetto legislativo della materia cooperativistica – non applicabile “ratione temporis” alla controversia in esame – ma utilmente richiamabile – con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore (L. 3 aprile 2001, n. 142), nel quale risulta nettamente distinto il rapporto sociale da quello di lavoro (subordinato o autonomo in qualsiasi forma), obbligando le società cooperative alla stipulazione di distinti contratti di lavoro (art. 1, comma 2), con la previsione specifica dell’applicabilità della legge n. 300/1970 nella sua interezza – fatta eccezione per l’art. 18 ove la cessazione del rapporto sia conseguenza della cessazione del rapporto sociale – ai soli soci che stipulano un contratto di lavoro subordinato (art. 2, comma 1), mentre, per gli altri, è prevista l’applicazione dei soli artt. 1, 8, 14 e 15 e sancendo, infine, la competenza del giudice del lavoro sulla controversie inerenti ai rapporti di lavoro dei soci (subordinati o autonomi), ma non su quelle inerenti al rapporto associativo (art. 5, comma 2).
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18.8.2009, la Corte di Appello di Bologna, in accoglimento del gravame proposto dalla Cooperativa Sociale, s.c.ar.l. D., respingeva il ricorso introduttivo di B.L., inteso alla declaratoria della propria qualità di socio lavoratore della prima, collocato in aspettativa non retribuita, ex art. 31 I. 300/70, dal 1.4.1997, alla condanna della società a rettificare le annotazioni in merito alla cessazione del rapporto operate sul libretto di lavoro e sui libri sociali ed a compilare la modulistica necessaria ai fini della instaurazione e prosecuzione del rapporto previdenziale figurativo con l’I..
Rilevava la Corte territoriale che prioritaria era la questione inerente alla ravvisabilità o meno di un rapporto di lavoro subordinato tra appellato e società appellante, a tal fine enunciando gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinari susseguitisi in materia e richiamando recente orientamento della S.C. che negava la configurabilità di un rapporto di lavoro tra il socio e la cooperativa, a meno che quest’ultimo non fosse simulato ovvero non emergesse, da apposita pattuizione o dalle concrete modalità di attuazione del rapporto, la volontà delle parti di ricondurre la prestazione al diverso schema del rapporto di lavoro subordinato, con deroga ai principi mutualistici ed assoggettamento del lavoratore ai poteri direttivi e gerarchici dell’imprenditore, con deviazioni dal modello cooperativo sul versante societario (mancata convocazione alle assemblee, mancato coinvolgimento nelle decisioni e nella vita associativa).
Evidenziava che, alla stregua dei principi affermati, non poteva ritenersi preclusa la possibilità, ove non esclusa dallo statuto, di costituire con i soci distinti rapporti di lavoro inerenti all’oggetto sociale, e come l’evoluzione in tal senso era confermata, a livello normativo, dalla emanazione della legge n. 142 del 3.4.2001.
La Corte del merito osservava, poi, che, carente l’allegazione e prova che l’attività lavorativa espletata non costituisse adempimento del contratto sociale e dell’esistenza di apposita pattuizione idonea a ricondurre la prestazione allo schema della subordinazione, o, comunque, dell’atteggiarsi del rapporto secondo il parametro normativo della subordinazione, la sentenza impugnata andava riformata anche con riguardo alla ritenuta illegittimità dell’annotazione della cessazione del rapporto di collaborazione, avvenuta consensualmente, come confermato dalla richiesta di esonero dall’incarico accettata dalla società e dalla erogazione e percezione del t.f.r., e non, come erroneamente ritenuto in prime cure, del rapporto associativo, della cui illegittima risoluzione, peraltro, il ricorrente si era unicamente doluto.
Per la cassazione di tale decisione, ricorre il B.L., affidando l’impugnazione a due motivi, ciascuno dei quali articolato sotto diversi profili.
La Cooperativa è rimasta intimata. L’I. ha rilasciato delega in calce al ricorso notificato, ed è stato presente, tramite il suo difensore, alla discussione in pubblica udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il B.L. deduce la violazione, falsa applicazione e/o erronea interpretazione di norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 31 L. 300/70, degli artt. 1175, 1176, 1366, 1372, 1375, 2094, 2118, 2119 e 2533 c.c., nonché la inadeguatezza della motivazione e l’erronea valutazione dei presupporti in fatto e diritto, essenziali per la risoluzione della controversia, sotto il profilo della insufficienza, incongruità e contraddittorietà della stessa in riferimento ad un punto decisivo della controversia.
Nella sostanza rileva che la sentenza erroneamente non ha ritenuto applicabile ad esso ricorrente l’art. 31 dello Statuto dei Lavoratori di cui alla legge n. 300/70, nonostante la chiarezza del dettato normativo, ed alla luce anche di circolare I. che richiama parere espresso al riguardo da Ministero del Lavoro.
Con il secondo motivo, denunzia la violazione, falsa applicazione e/o erronea interpretazione di norme di diritto e, segnatamente, dell’art. 31 L. 300/70, degli artt. 1175 1176, 1366, 1372, 1375, 2094, 2118, 2119, 2120 e 2533 c.c., nonché l’inadeguatezza della motivazione e l’erroneità della valutazione dei presupposti in fatto e diritto, essenziali per la risoluzione della controversia, sotto il profilo della insufficienza, incongruità e contraddittorietà della motivazione – art. 360 n. 5 c.p.c. -, in riferimento ad un punto decisivo della controversia.
Evidenzia il ricorrente che la Corte del merito ha arbitrariamente ritenuto che esso istante non avesse provato che l’attività lavorativa non costituiva adempimento del contratto sociale, senza considerare gli elementi a sostegno delle proprie ragioni e le deduzioni contenute nel ricorso introduttivo. La natura della cooperativa, che persegue l’interesse della comunità alla promozione umana ed all’integrazione sociale dei cittadini, attraverso la gestione dei servizi sociali sanitari ed educativi, e la visura comprovante che la stessa aveva addetti dichiarati nel 2000 come dipendenti in numero di 504 costituivano elementi di valutazione non adeguatamente vagliati dal giudice del gravame, analogamente alla circostanza che il ricorrente era socio lavoratore con funzione di educatore, prima con contratti a tempo determinato e poi indeterminato, come rilevabile dal libretto di lavoro, da registrazione nel libro matricola, ed a quella che l’attività lavorativa era prestata a fronte di retribuzione fissa, determinata in base a ceni cui il Regolamento Economico Interno fa espresso riferimento.
Assume ancora che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la cessazione del rapporto di lavoro fosse avvenuta consensualmente, a fronte della presunta richiesta di esonero dall’incarico di cui al rapporto di collaborazione al fine di potere esplicare l’attività di dirigente sindacale, avendo, invece, nella sostanza, il lavoratore chiesto, tramite la C. provinciale, l’annotazione, ai sensi dell’art. 31 L. 300/70, di un periodo a tempo indeterminato di aspettativa sindacale, a far data dal 1.4.1997, che non è in connessione con la cessazione dal rapporto, la quale è successiva alla data dell’aspettativa, così come la liquidazione del t.f.r. non poteva ritenersi indice di avvenuta anticipata risoluzione del rapporto di lavoro.
Il primo motivo di ricorso verte sull’applicabilità alle società cooperative di produzione e lavoro dell’art. 31 della L. 300/70, che prevede la possibilità di accedere al beneficio dell’aspettativa sindacale da parte dei lavoratori chiamati a ricoprire, tra le altre, cariche sindacali, con domanda di accredito figurativo presso la gestione previdenziale interessata in relazione al periodo in cui, in mancanza di retribuzione, il rapporto di lavoro, pur restando in vita senza subire interruzioni, passa in uno stato di temporanea inefficacia delle obbligazioni principali che lo caratterizzano (cfr. Cass. 13 agosto 1997 n. 7558).
La questione si collega a quella più generale dell’applicabilità della legge 300/70 ai soci delle cooperative. Al riguardo all’estensione della disciplina in essa contenuta ai detti soggetti ostano la “ratio” della normativa, che direttamente si occupa dei prestatori d’opera subordinati, e il tratto di specialità che connota le disposizioni di cui, in particolare, al titolo V dello Statuto, che si dirigono ai datori di lavoro, tra i quali non possono ricomprendersi le società cooperative, che non intrattengono coi i soci lavoratori rapporti diversi da quelli sociali, (cfr. Cass. 27.9.2002 n. 14040, riferita, più specificamente, alla tutela prevista dall’art. 28 l. 300/70). D’altronde è stato pacificamente ritenuto che siffatta conclusione ha il conforto anche nel nuovo assetto legislativo della materia cooperativistica – non applicabile ratione temporis, alla controversia in esame, ma utilmente richiamabile – con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore (legge 3 aprile 2001 n. 142), nel quale risulta nettamente distinto il rapporto sociale da quello di lavoro (subordinato o autonomo in qualsiasi forma), obbligando le società cooperative alla stipulazione di distinti contratti di lavoro (art. 1, comma 2), con la previsione specifica dell’applicabilità della legge 300/1970 nella sua interezza – fatta eccezione per l’art. 18 ove la cessazione del rapporto sociale sia conseguenza della cessazione del rapporto sociale – ai soli soci che stipulano un contratto di lavoro subordinato (art. 2, comma 1), mentre, per gli altri, è prevista l’applicazione dei soli artt. 1, 8, 14 e 15, e sancendo, infine, la competenza del giudice del lavoro sulle controversie inerenti ai rapporti di lavoro dei soci (subordinati o autonomi), ma non su quelle inerenti al rapporto associativo (art. 5, comma 2) (cfr. Cass. 14040/2002 cit.).
In tema di cooperative di produzione e lavoro, anche nel regime previgente alla legge 3 aprile 2001 n. 142, spetta, tuttavia, al giudice di merito verificare se, accanto al rapporto associativo, sussista un distinto rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, dovendo questo escludersi ove i soci si limitino ad espletare prestazioni ed a svolgere attività secondo le prescrizioni del contratto sociale (Cfr. Cass. 8.4.2010 n. 8346).
Orbene, è stato osservato dal giudice del gravame che non è emersa la prova della subordinazione, né a livello di esistenza di apposita pattuizione in tale senso, né in relazione al concreto ed effettivo atteggiarsi del rapporto nel suo svolgimento secondo il parametro normativo della subordinazione, con pieno assoggettamento del lavoratore- socio al potere direttivo dell’imprenditore, e della direzione aziendale. Onde non è caratterizzata da salti logici e vizi motivazionali la sentenza che abbia ritenuto – a fronte della mancata deduzione e prova di circostanze decisive ai fini considerati – che la mancanza di subordinazione fosse ostativa all’applicabilità dell’art. 31 Statuto dei Lavoratori. Anche la richiamata circolare L. n. 92 del 23.3.1992 non muta i termini della conclusione, atteso che l’art. 31 dello Statuto dei Lavoratori viene nella stessa in esame con riguardo alla necessità di individuazione della retribuzione a fini contributivi, con riguardo alla posizione dei soci-lavoratori, senza precisarsi se la problematica affrontata riguardi tutti i soci lavoratori che prestino attività nell’ambito dello schema e delle finalità mutualistiche ovvero,specificamente, i lavoratori il cui rapporto si configuri in termini di stretta subordinazione, in senso derogatorio rispetto ai principi propriamente mutualistici.
Il secondo motivo riguarda questioni di fatto, relative alla asserita mancata considerazione di elementi a sostegno della natura della cooperativa e del rapporto della stessa con i soci lavoratori e le censure mirano a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità, atteso che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza impugnata, a norma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi deinter” formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 120520). Nella specie non risulta che la doglianza abbia evidenziato i profili di omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione nei termini consentiti in sede di legittimità, indicati dalla pronunzia richiamata.
Peraltro, nel caso in esame, ciò che costituisce oggetto di contestazione è la valutazione della prova e non l’applicazione di parametri della subordinazione non corrispondenti, e ciò è in contrasto con quanto ribadito in più occasioni da questa Corte, che ha affermato che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 16681/2007).
Anche l’ulteriore profilo di censura, relativo alla natura consensuale della cessazione del rapporto di lavoro, a fronte di una presunta richiesta, da parte del ricorrente, di esonero dall’incarico di cui al rapporto di collaborazione al fine di potere esplicare l’attività di dirigente sindacale, non coglie nel segno, atteso che, se pure il lavoratore ha chiesto, tramite la C. provinciale, l’annotazione, ai sensi dell’art. 31 L. 300/70, di un periodo a tempo indeterminato di aspettativa sindacale, a far data dal 1.4.1997, non è contraddittoria la sentenza che abbia ritenuto non illegittima l’annotazione della cessazione del rapporto di collaborazione, una volta precisato ed esplicitato dalla società che era inesistente la condizione – natura subordinata del rapporto – per accedere alla richiesta di attivazione dell’aspettativa sindacale. Ed invero, deve ritenersi che al rapporto di collaborazione autonoma non siano estensibili le tutele della Statuto dei lavoratori e, nello specifico, il beneficio di cui all’art. 31 Statuto dei Lavoratori e che, pertanto, sia coerente con la natura del rapporto come individuata dal giudice del merito la interpretazione, nei termini ritenuti da parte dello stesso, della richiesta avanzata dal B.L. ed accettata dalla società, essendo incompatibile lo svolgimento dell’attività sindacale con il rapporto di collaborazione e non con quello associativo, comunque rimasto in essere, come correttamente precisato dalla Corte territoriale.
Va al riguardo richiamata altra pronunzia di questa Corte di legittimità, che – sia pure con riferimento alla diversa fattispecie del rapporto d’opera professionale dei medici convenzionati – ha negato l’applicabilità dell’art. 31 della legge n. 300 del 1970, “dovendosi escludere – come anche affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 3 del 1998 – una assimilazione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, seppure parasubordinato, attese le differenze di struttura e finalità delle relative discipline e ben potendo, le prestazioni previdenziali, essere differenziate anche tra categorie di lavoratori”, richiamando al riguardo le decisioni della Corte costituzionale nn. 31 del 1986 e 181 del 1993 e rimarcando che restano privi di fondamento giuridico i dubbi di costituzionalità dell’art. 31 dello Statuto e dell’art. 48 della legge 833 del 1978 per violazione degli artt. 3, 35 38, 52 e 97 Cost., nonché dell’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione di Strasburgo del 1985 (v. Cass. 8 aprile 2008 n. 9142).
Infine, e conseguentemente alle considerazioni svolte in merito alla correttezza della decisione del merito, che ha escluso che al rapporto sociale si affiancasse un rapporto di subordinazione del B.L., risulta inconferente il rilievo sul significato da conferirsi alla percezione del t.f.r., che, peraltro, non si riferisce a circostanza decisiva, non essendo quest’ultima stata posta in modo esclusivo alla base della valutazione che ha indotto la Corte a ritenere legittimamente operata l’annotazione.
Per i motivi esposti, il ricorso deve essere respinto.
Nulla va statuito per le spese del presente giudizio, essendo la Cooperativa rimasta intimata ed essendo la limitata attività defensionale svolta dal procuratore dell’I. relativa a controversia di natura previdenziale soggetta, ratione temporis, alla disciplina dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alla legge 326/2003, di conversione del d.l. 269/2003.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese nei confronti della Cooperativa e dell’I..
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