Corte di Cassazione sentenza n. 5156 del 1 marzo 2013
LAVORO SUBORDINATO – INVALIDITA’ DEL LAVORATORE – ATTIVITA’ AL REPARTO SPEDIZIONI – INCOMPATIBILITA’ – ASSENZE DAL LAVORO – LICENZIAMENTO – SUPERAMENTO PERIODO DI COMPORTO PER SOMMATORIA – NON SUSSISTE
massima
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Nel caso in cui una sentenza o un capo di essa si fondi su più ragioni (nel caso di specie mancato superamento del periodo di comporto da un lato e, idoneità al lavoro del dipendente dall’altro), tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza, con l’accoglimento di tutte le censure.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di (…) proposta nei confronti della società (…), avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto.
A fondamento del decisum la Corte del merito poneva, innanzitutto, il rilievo secondo il quale, in base alla lettera di licenziamento, doveva ritenersi che la società aveva inteso recedere dal rapporto di lavoro con il (…) perché costui aveva superato, a seguito delle sue assenze, il periodo massimo di comporto c.d. per sommatoria. Escludeva la Corte predetta che la società avesse, con la richiamata lettera, inteso manifestare una autonoma e diversa causa di recesso in quanto la precisazione – che la frequenza delle assenze per malattia rendeva la prestazione di lavoro non proficuamente utilizzabile perché incideva in modo negativo sull’organizzazione del lavoro – non esprimeva un giudizio di non idoneità del lavoratore in relazione a determinate mansioni, ma aveva unicamente la funzione di giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro.
Tanto premesso la Corte di Appello assumeva, nel condividere la consulenza espletata in grado di appello che confermava le conclusioni cui era né, per la Corte territoriale, i certificati medici giustificativi delle varie assenze, per la loro genericità e sinteticità, come ritenuto dai consulenti, erano di per sé idonei ad escludere la riconducibilità delle assenze ad un unico evento morboso.
Del resto, annotava la Corte del merito, il consulente di parte il quale aveva escluso la esistenza di alcune malattie era andato al di là delle stesse allegazioni della società la quale non aveva mai contestato l’esistenza delle malattie, ma solo la loro riconducibilità ad un unico evento morboso.
Trattandosi di malattie connesse al medesimo stato morboso, quindi, andava applicato il cd. comporto per sommatoria – pari a 14 mesi – che al momento del licenziamento non risultava superato di guisa che il licenziamento era illegittimo con tutte le conseguenze di cui all’art. 18 dello statuto dei lavoratori.
La Corte del merito, poi, “per completezza di motivazione” riteneva, altresì, infondate le deduzioni della società in ordine alla allegata inidoneità al lavoro del (…). Al riguardo, la Corte bolognese, rilevava, l’illegittimità del trasferimento di detto lavoratore dal reparto ferramenta al reparto spedizione in quanto, trattandosi di lavoratore assunto nelle forme del collocamento obbligatorio e con un grado d’invalidità dell’85%, l’assegnazione alle nuove mansioni avrebbe dovuto essere preceduta dall’accertamento della compatibilità di queste con abituali presso il reparto ferramenta. Al contrario l’attività al reparto spedizioni secondo l’ausiliare, risultava più gravosa ed era, quindi, incompatibile con l’invalidità del (…).
Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione sulla base di sette motivi di ricorso.
La parte resiste con controricorso notificato alla controparte in data 11 gennaio 2013.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va dichiarata la nullità del controricorso per essere stato questo notificato al ricorrente oltre il termine di cui all’art. 370, 1° comma, c.p.c. Con la prima censura la società,, deducendo violazione di norme di diritto, pone, ex art. 366 bis cpc, i seguenti quesiti: 1. “Vi è differenza tra malattia ed inidoneità al lavoro?”; 2. “Vero che la malattia ha carattere temporaneo, implica la totale impossibilità della prestazione e determina, ai sensi dell’art. 2110 c.c., la legittimità del licenziamento quando ha causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto; la inidoneità, invece, ha carattere permanente o, quantomeno, durata indeterminata o indeterminabile, non implica necessariamente l’impossibilità totale della prestazione e consente la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c. indipendentemente dal superamento del periodo di comporto”, ricondotte in sentenza al medesimo evento senza avere prova certa di ciò?”; 2.”Se le certificazioni di malattia si presentano come patologie slegate e non riconducibili alla patologia di fondo dell’HIV, può una sentenza ignorare tale situazione obiettiva e concludere senza prova certa che le varie malattie siano sicuramente tutte riconducibili all’HIV?”; 3.” Una sentenza in ambito medico legale, può essere motivata (oppure no) con l’affermazione secondo la quale qualcosa potrebbe essere dovuto a qualcos’altro anche se mancano completamente segnalazioni e prove in tal senso? Si può attribuire in una sentenza come causa di un fatto una causa indimostrata e addirittura indimostrabile?”; B) “Lo stesso CTU del grado di appello ha chiaramente affermato che nel caso in esame l’emottisi non si è mai verificata; la BPCO non è stata dimostrata; l’epatosi è assolutamente inesistente stante l’assenza di segni biomurali, la collagenesi perforante non ha alcun nesso causale con l’HIV, stante la segnalazione di appena due casi al mondo di coesistenza di tali patologie; la psicosi è definita come emessa impropriamente. A fronte di tale situazione medico legale, la motivazione della sentenza impugnata non poteva in alcun modo ricondurre, irrazionalmente e in contrasto con la verità dei fatti, tali supposte malattie all’unica causa, cioè all’HIV. Non possono certo essere le illazioni personali di un giudice a far diventare fatti accertati e veri circostanze non accertate ed inverosimili”.
2. “Tale lavoratore è equiparato agli altri lavoratori anche per quanto riguarda il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo?”; 3.”Trattandosi di un lavoratore assunto nelle forme del collocamento obbligatorio e con un grado d’invalidità dell’85%, l’assegnazione a nuove mansioni avrebbe dovuto o no essere obbligatoriamente preceduta dall’accertamento della compatibilità di queste con l’invalidità del dipendente ai sensi dell’art. 20, comma 5, della legge n. 482 del 1968.
Con la quarta censura la società, deducendo violazione di legge, pone i seguenti quesiti: 1.”Il datore di lavoro può, per ragioni tecniche organizzative e produttive (nei limiti di cui all’art. 2103 c.c.) trasferire il lavoratore da un’unità produttiva ad un’altra?”; 2.”I suddetti principi trovano applicazione anche in ipotesi di trasferimento dell’invalido assunto nelle forme del collocamento obbligatorio con l’unico limite del divieto di assegnazione del lavoratore a mansioni incompatibili con al sua menomazione?”; 3.”E’ necessario accertare prima (e in che forme?) se le nuove mansioni siano incompatibili?”; 4.”Se non vi è stato alcun accertamento preventivo della compatibilità delle mansioni, è forse possibile, senza alcuna prova, che le mansioni in questione erano incompatibili con le mansioni del lavoratore come fa la sentenza impugnata?”.
Con il quinto motivo la società, denunciando violazione di norme di al fine di constatare se effettivamente il lavoro era compatibile con la sua menomazione) rifiutarsi categoricamente dei presentarsi al reparto?”. 3. “Può un dipendente», assegnato ad un reparto ove si lavora in equipe, e ove sarebbe stato esonerato dallo svolgere le mansioni più importanti (avrebbe dovuto svolgere solo funzioni leggere e compatibili con le sue condizioni di salute) rifiutarsi dall’ “assumere le nuove mansioni?”. Con la sesta critica la società, prospettando violazione di norme di diritto, chiede ex art. 366 bis c.p.c.: 1.”E’ legittimo il licenziamento del dipendente per giustificato motivo ex art. 3 legge n. 604 del 15.07.1966 che prevede il licenziamento per ragioni inerenti all’attività produttiva e al regolare funzionamento di essa?”; 2. “Il datore di lavoro può procedere ad intimare licenziamento ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966 sottolineando che la frequenza delle assenze non rende proficuamente utilizzabile la sua prestazione, incidendo negativamente sull’organizzazione del lavoro e, pertanto, di rendere ragionevolmente non presumibile un suo utile inserimento nel futuro?”.
Con il settimo motivo, la società asserendo violazione di norme di legge, articola i seguenti interpelli:1.”Vi è inapplicabilità al licenziamento del dipendente dell’art. 10. comma 3, della legge 12 marzo 1999 n. 68 contenente norme per il diritto del lavoro dei disabili?”; 2.” La stessa norma prevede due presupposti per l’intervento di tale commissione: aggravamento delle condizioni di salute; significative variazioni Le censure in quanto strettamente connesse da punto di vista logico giuridico vanno tratte unitariamente.
E’ necessario premettere che, per quanto risulta dalla sentenza impugnata e non essendovi contrarie indicazione nel ricorso della società, oggetto della presente controversia è unicamente l’impugnativa del licenziamento intimato dalla società al (…).
In proposito la Corte di Appello, interpretando la lettera di licenziamento, ha ritenuto che l’unica ragione del recesso è rappresentata dal superamento, da parte del (…), del termine di comporto essendo del tutto estranea alla volontà, ivi espressa dalla società, di porre a base del licenziamento quale autonoma causa di recesso la inidoneità fisica del dipendente.
Nondimeno la Corte del merito, oltre a valutare la legittimità del licenziamento sotto il profilo del superamento del periodo di comporto,”per completezza di motivazione” ritiene di considerare il licenziamento anche sotto il profilo della idoneità al lavoro.
Conseguentemente la decisione impugnata si fonda su due distinte rationes deciderteli, autonome l’una dalla altra, e ciascuna, da sola, sufficiente a sorreggerne il dictum: da un lato, all’affermazione del mancato superamento del periodo di comporto; dall’altro, al rilievo della idoneità al lavoro del D. residua ratio (cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n. 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 n. 24540).
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo, nessuna specifica censura viene mossa all’interpretazione, fornita dalla Corte di Appello, secondo la quale la lettera di licenziamento è espressione della volontà della società di recedere dal rapporto di lavoro solo ed esclusivamente a causa del superamento del periodo di comporto.
Infatti trattandosi di atto di autonomia privata la società per correttamente investire questa Corte della interpretazione dell’atto in questione avrebbe dovuto dedurre la violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero specifici vizi dì motivazione (per tutte V. Cass. 25 febbraio 2004 n. 3772 e Cass. 22 febbraio 2007 n.4178).
Tanto premesso,- venendo all’esame delle censure che investono il non ritenuto superamento del periodo di comporto per sommatoria che s’incentrano sulla critica alla affermata riconducibilità dei vari eventi morbosi all’unica malattia di cui il (…) era portatore, osserva il Collegio che sotto il profilo in esame la sentenza è adeguatamente motivata e corretta in diritto.
Invero la Corte del merito basa il proprio decisum sulla condivisione, diffusamente argomentata, delle conclusioni ed argomentazioni di cui alla consulenza espletata in grado di appello, sostanzialmente confermativa di carico di confutare le osservazioni del consulente di parte sul presupposto fondante che con le stesse, il detto CTP, contesta l’esistenza di alcune malattie, ma tanto contrasta, afferma – correttamente – la Corte territoriale, con le allegazioni della società che non ha mai dubitato dell’”esistenza delle malattie denunciate essendosi limitata a contrastare la loro riconducibilità all’HIV.
Né il giudice di appello, a differenza di quanto assunto con il presente ricorso, sostituisce le proprie convinzioni soggettive a quelle medico legali del CTU poiché il decisum è pienamente coerente con le osservazioni e conclusioni della espletata CTU.
Analoghe considerazioni valgono circa la inidoneità, per loro genericità ed aspecificità, dei vari certificati medici, posti a base delle assenze, ad escludere la riconducibilità delle affezioni all’unica malattia di cui era portatore il (…).
Del resto tale inidoneità è suffragata, come rilevato dai giudici di appello nella impugnata sentenza, dalle considerazioni medico legali svolte al riguardo dal CTU.
Né con la censura di cui all’art. 360 n. 5 cpc, può chiedersi a questa Corte, come nella specie, un accertamento di fatto atteso che nel nostro ordinamento processuale la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) (in tal senso per tutte Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e 27 luglio 2008 n. 2049).
Risulta, quindi, del tutto corretta ed adeguatamente motivata la sentenza impugnata in punto di ritenuta illegittimità del licenziamento per essere stato questo intimato quando non era stato ancora superato il periodo di 14 mesi di comporto cd. per sommatoria.
Tanto determina che, resistendo la sentenza impugnata, sotto il profilo in esame, alle censure mosse, è del tutto ultroneo verificare la detta resistenza rispetto all’alternativa ratio rappresentata dalla idoneità al lavoro.
Non senza considerare che avendo ad oggetto la controversia in esame, come in precedenza evidenziato, esclusivamente l’impugnativa del licenziamento intimato al (…) sono estranei al tema decidendum tutti quegli interpelli che non attengono strettamente a siffatto oggetto.
In conclusione il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la società al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 50,000 per esborsi, oltre euro 1.500,00 per compensi ed oltre accessori di legge.