Corte di Cassazione sentenza n. 6643 del 02 maggio 2012
LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – CARATTERI – REQUISITO FONDAMENTALE – VINCOLO DI SOGGEZIONE DEL LAVORATORE AL POTERE DIRETTIVO, ORGANIZZATIVO E DISCIPLINARE DEL DATORE DI LAVORO – ACCERTAMENTO – CRITERI
massima
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Costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato – ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo – il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità, è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.V. ha chiesto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata intercorso tra lui e la società P. spa a decorrere dal 1.3.2005, deducendo la simulazione e comunque l’invalidità del contratto di lavoro a progetto stipulato tra le parti in data 1.7.2005, nonché la nullità del recesso comunicatogli con lettera del 14.2.2006, e chiedendo la condanna della società alla corresponsione degli importi dovuti a titolo di retribuzione, tredicesima, quattordicesima, ferie e trattamento di fine rapporto, oltre che alla reintegrazione nel posto di lavoro, ovvero, in subordine, al pagamento dell’importo pattuito quale compenso per il periodo 1.3.2005-14.2.2006, oltre al rimborso delle spese di trasferta e all’indennità di mancato preavviso.
Il Tribunale di Torino ha accolto parzialmente la domanda, condannando la società al pagamento del compenso contrattualmente previsto per il periodo 1.7.2005-14.2.2006 e al pagamento dell’indennità di mancato preavviso.
Tale sentenza, impugnata dal lavoratore, è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino, che ha ritenuto che il ricorrente non avesse provato di avere prestato la propria attività lavorativa in regime di subordinazione, ovvero con assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, essendo emerso, piuttosto, che il rapporto si era svolto secondo le previsioni contrattuali, avendo il ricorrente espletato proprio quell’attività di supporto operativo e commerciale per la realizzazione del progetto di creazione della “Divisione servizi di stoccaggio, movimentazione magazzini e gestione archivi”, prevista dal contratto a progetto.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione Vincenzo D. affidandosi a sei motivi di ricorso cui resiste con controricorso la C.G.I. spa (già P. spa).
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi del’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2094 c.c., sostenendo che dalle risultanze istruttorie sarebbe emersa, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, con la sottoposizione del ricorrente al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61, 62 e 69, e art. 2222 c.c., sostenendo che la stipulazione del contratto a progetto aveva lo scopo di dissimulare il rapporto di lavoro subordinato realmente intercorso tra le parti e che la Corte d’appello avrebbe omesso di rilevare che, in seguito all’acquisto da parte della P. spa del ramo d’azienda che svolgeva la stessa attività che avrebbe dovuto formare oggetto di tale contratto, non esisteva alcun progetto specifico da creare perché il medesimo era già stato realizzato al momento dell’assunzione del lavoratore.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 190 del 1985, art. 2, art. 2099 c.c., nonché dell’art. 36 Cost., relativamente alla statuizione con cui sono state respinte le domande conseguenti all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 63, e art. 36 Cost., sostenendo che, indipendentemente dal riconoscimento dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, il ricorrente avrebbe avuto diritto a vedersi riconosciuto il compenso per l’attività prestata dal 1.3.2005 al 14.2.2006 e il rimborso delle spese di trasferta previsto dall’art. 7 del contratto di lavoro a progetto.
5. Con il quinto motivo si deduce la violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, sostenendo che il giudice d’appello avrebbe dovuto ritenere il recesso del datore di lavoro del tutto inesistente (in quanto integrante un licenziamento privo di forma, L. n. 604 del 1966, ex art. 2) o qualificarlo come un licenziamento ontologicamente disciplinare e, come tale, illegittimo, con tutte le conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.
6. Con il sesto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 67, sostenendo che il ricorrente avrebbe avuto il diritto di ricevere l’indennità di preavviso per il periodo dal 15.2.2006 al 18.6.2006 e che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare che il rapporto di lavoro aveva avuto inizio il primo marzo 2005.
7. Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha più volte ribadito che, ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, costituisce requisito fondamentale il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto – incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (cfr. ex plurimis, Cass. 2728/2010, Cass. 23455/2009, Cass. 9256/2009, Cass. 14664/2001). E’ stato altresì precisato che lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro è compatibile con ambedue le forme di rapporti, sicché assume rilievo ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato solo quando per oggetto e per modalità i controlli siano finalizzati all’esercizio del potere direttivo e, eventualmente, di quello disciplinare; altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti al momento della stipulazione del contratto può essere rilevante, ma certamente non è determinante (Cass. 5534/2003, Cass. 4889/2002).
8. Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che nel caso in esame non era stata raggiunta la prova dell’elemento della subordinazione risultando, per contro, che durante tutto il corso del rapporto la volontà delle parti si era sempre espressa ed atteggiata nel senso di escludere tale elemento dalla disciplina giuridica del rapporto. Ha osservato, al riguardo, il giudice d’appello che non era emerso che il lavoratore fosse stato assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, né che fosse tenuto ad osservare un orario di lavoro, mentre la sua presenza, pressoché costante, negli uffici e nel magazzino all’indomani della cessione dell’azienda trovava logica spiegazione nel fatto che il prezzo definitivo della cessione era collegato anche al risultato economico che l’azienda avrebbe realizzato nel primo anno successivo alla cessione, oltre che nel fatto che la cessione aveva riguardato solo un ramo dell’azienda, sicché non poteva affatto escludersi che una parte dell’attività del D. riguardasse appunto la parte dell’azienda che non era stata ceduta alla P. spa
9. Si tratta, all’evidenza, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile in cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perché il ricorrente non ha riportato integralmente in ricorso il contenuto delle deposizioni testimoniali dalle quali dovrebbero trarsi elementi favorevoli alla tesi della subordinazione (con violazione, quindi, dei principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), limitandosi solo a riportarne alcuni brani, sicché le censure espresse nel primo motivo rimangono confinate ad una mera contrapposizione rispetto a tale valutazione di merito operata dai giudici d’appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest’ultima.
10. Anche il secondo motivo è infondato. Come si è detto, la Corte territoriale ha accertato che il rapporto si è sempre svolto secondo quanto previsto dalle parti nel contratto a progetto e non ha mai assunto i caratteri della subordinazione. Ha osservato, in particolare, il giudice d’appello che il progetto indicato nel contratto “era sufficientemente specifico e riguardava la creazione della “Divisione servizi di stoccaggio, movimentazione magazzini e gestione archivi” nell’ambito del quale il D. avrebbe dovuto svolgere attività di supporto operativo e commerciale … e non può per contro ritenersi, come invece sostiene l’appellante, che avendo la P. spa acquistato il ramo d’azienda concernente proprio i servizi di stoccaggio, movimentazione magazzini e gestione archivi, il progetto non esisteva perché già realizzato. Il ramo ceduto era costituito da contratti con clienti e fornitori e da tre contratti di leasing… dagli impianti e da diversi beni materiali… e da diversi dipendenti e collaboratori a progetto… ma intuitivamente non il semplice acquisto di detti beni o il subentro nei rapporti contrattuali consentiva di ritenere già “creata” una divisione logistica, specie ove si consideri che, pacificamente, l’attività fino ad allora svolta dalla Palmar aveva riguardato tutt’altro settore di attività (essenzialmente pulizie) e che, pertanto, si trattava di inserire la nuova attività nell’ambito dell’organizzazione aziendale preesistente, di porre in essere tutte le operazioni necessarie all’integrazione, di supportare la società acquirente nella nuova attività, sia sotto il profilo strettamente operativo che sotto quello commerciale”. Ed ha osservato ancora il giudice d’appello che “pacificamente, il D., proprio per la comprovata ultradecennale esperienza e conoscenza del settore, era persona sicuramente idonea (ed anzi la persona “giusta”) per realizzare il progetto, che per sua stessa ammissione… egli si occupò di acquisire nuovi clienti e mantenere i contatti con quelli vecchi e di organizzare e gestire i magazzini dell’area torinese e, quindi, di svolgere proprio quell’attività di “supporto operativo e commerciale” prevista dal contratto a progetto…”.
Si tratta, anche in questo caso, di valutazioni di fatto, adeguatamente motivate, alle quali il ricorrente si limita a contrapporre una propria diversa valutazione, denunciando, peraltro, l’esistenza di un errore che attiene alla ricognizione della fattispecie concreta e che, impingendo nella tipica valutazione del giudice del merito, avrebbe dovuto essere fatto valere, eventualmente, sotto il profilo del vizio di motivazione.
11. Il terzo e il quinto motivo sono infondati, e comunque assorbiti dal rigetto dei motivi che precedono, in quanto, avendo escluso la sussistenza dell’elemento della subordinazione, la Corte d’appello ha giustamente ritenuto assorbita ogni altra questione conseguente all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro.
12. Il quarto motivo è egualmente privo di fondamento. A prescindere, infatti, dalla novità della questione relativa alla proporzionalità e alla sufficienza del compenso pattuito tra le parti, che non risulta essere stata oggetto del dibattito nella precedente fase di merito, deve osservarsi che la Corte d’appello ha accertato che il rapporto di lavoro ha avuto inizio dal luglio 2005 ed ha già riconosciuto il diritto del ricorrente alla corresponsione del compenso pattuito nel contratto a progetto per il periodo dal 1.7.2005 al 14.2.2006 (confermando sul punto la sentenza impugnata).
Il ricorrente non indica le ragioni per le quali tale statuizione dovrebbe ritenersi in contrasto con le norme di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 63, e all’art. 36 Cost. Quanto al rimborso delle spese di trasferta, la Corte territoriale ha rilevato che “il D. ebbe a recarsi a Napoli ed a Pordenone… ma ciò non è certo sufficiente ai fini dell’accoglimento della domanda tenuto conto che non soltanto non è dato sapere se e quali spese lo stesso abbia sostenuto ma, soprattutto che, come già sottolineato dal Tribunale e però ignorato dal D. ancora nel ricorso in appello, il contratto stabiliva espressamente la rimborsabilità delle spese di trasferta sostenute dal collaboratore solo previa presentazione dei documenti giustificativi, documenti che mai l’odierno appellane ha prodotto in giudizio”. Ed anche in questo caso non è dato ravvisare alcuna violazione delle norme indicate dal ricorrente, nè sono state indicate nel ricorso le ragioni per cui la decisione della Corte d’appello dovrebbe ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie. Il motivo non può pertanto trovare accoglimento.
13. E’ infondato, infine, l’ultimo motivo di ricorso. La Corte territoriale ha accertato che la P. spa ha comunicato il recesso (in data 19.12.2005) nel rispetto del termine di preavviso previsto dal contratto di lavoro a progetto ed ha riconosciuto, confermando anche su questo punto la sentenza impugnata, il diritto del ricorrente all’indennità di preavviso fino al 30.6.2006. La retrodatazione dell’inizio del rapporto al 1.3.2005 non potrebbe avere alcuna incidenza sul computo del periodo di preavviso e comunque il giudice d’appello, come già accennato sopra al punto 8), ha indicato in modo sufficiente e logico le ragioni per le quali deve ritenersi che il rapporto abbia avuto effettivamente inizio in data 1.7.2005.
14.- Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.
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