CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 2529 depositato il 26 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento – Simulazione dell’atto di cessione di azienda – Interposizione fittizia della cessionaria nel rapporto di lavoro – Licenziamento ritorsivo – Cancellazione della società dal registro delle imprese – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma di sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, in accoglimento dell’appello principale di A.M. ed in parziale riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato al lavoratore appellante il 21/3/2012 dalla s.r.l. F.C.; ha condannato le parti appellate II.C., G.L., R.L., P.R., S.L., M.L., Azienda Agricola F.C. s.r.l. alla reintegrazione del medesimo nel proprio posto di lavoro e al risarcimento in solido del danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dovute dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione come per legge; ha condannato le parti appellate in solido al versamento dei conseguenti contributi previdenziali e assistenziali. nonché al pagamento in solido delle spese di lite; ha rigettato l’appello incidentale.
2. La Corte di merito accertava la simulazione dell’atto di cessione di azienda del 19/7/2011 dalla società semplice F.C. alla s.r.l. F.C. e l’interposizione fittizia della cessionaria nel rapporto di lavoro con l’originario ricorrente (e con il fratello V.), con conseguente nullità del licenziamento in quanto ritorsivo; ciò al contrario del Tribunale, che, invece, aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta nei confronti dei soci della società semplice, escludendo un fenomeno successorio stante la cancellazione di tale società in data 18/1/2012, decaduto il lavoratore dall’impugnativa di licenziamento nei confronti dei soci della società semplice cancellata in quanto notificata alla stessa società, e dimostrata l’effettiva cessazione di ogni attività aziendale costituente la ragione formalizzata nell’atto di recesso, così escludendo che la finalità ritorsiva potesse essere qualificata come motivo illecito unico determinante.
3. La Corte distrettuale, in estrema sintesi, ha fondato il nucleo delle proprie argomentazioni sulla natura simulata della cessione di azienda dalla s.s. alla s.r.l. e sulla ricorrenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, costituito dagli eredi del defunto F.C. e dalle due società succedutesi nella titolarità formale dello stesso.
4. Per giungere a tali conclusioni, la Corte di merito ha espresso motivate valutazioni di fatto sui beni intestati alla s.s. ceduti, sulla vendita di terreni, sulla consistenza dell’attrezzatura meccanica e del bestiame e ha accertato che l’assegno di pagamento dell’azienda agricola ceduta dalla s.s. alla s.r.l. non era stato mai posto all’incasso; in base alla sovrapposizione teleologica e organizzativa tra le due società, ha ritenuto la s.r.l. un mero schermo giuridico frapposto tra la s.s. e i suoi soci da un lato, e i due dipendenti dall’altro, in stretta contiguità temporale con il palesarsi delle pretese creditorie di questi ultimi;
esaminato il quadro fattuale e i documenti lavorativi raccolti, ha ritenuto provato che il rapporto di lavoro subordinato si era svolto alle dipendenze dell’unico centro di imputazione datoriale costituito dalle persone fisiche discendenti dai capostipiti e persone giuridiche da costoro costituite o promosse per utilità comuni.
5. Quale conseguenza dell’accertata simulazione della cessione aziendale e dell’accertata esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, la Corte di Catanzaro ha ritenuto provato che la società semplice, a dispetto della sua avvenuta cancellazione dal registro delle imprese, aveva di fatto continuato a operare e non poteva così essere considerata un soggetto giuridico estinto. Ha ulteriormente tratto la conseguenza che risultavano tempestive tanto l’impugnativa del licenziamento, ricevuta entro i 60 giorni sia dalla s.s. che dalla s.r.l., quanto la richiesta di esperimento di conciliazione, inviata ad entrambe le società entro i successivi 270 giorni. Ha, quindi, tratto l’ulteriore conseguenza della ritorsività del licenziamento intimato dalla s.r.l., ritenendo l’intera operazione di costituzione della s.r.l. e cessione aziendale finalizzata al licenziamento dei lavoratori e alla creazione di uno schermo protettivo nei confronti delle loro pretese.
6. Avverso la predetta sentenza G.L., R.L., P.R., S.L., M.L. hanno proposto ricorso per cassazione con 11 motivi; successivamente II.C. ha parimenti proposto ricorso per cassazione con 7 motivi; A.M. ha resistito con autonomi controricorsi a ciascuno dei ricorsi avversari; l’Azienda Agricola F.C. s.r.l. è rimasta intimata; tutte le parti costituite hanno depositato memoria. La causa è stata discussa dai procuratori delle parti all’odierna udienza.
7. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Va, preliminarmente, ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. n. 25662/2014, Cass. S.U. n. 24876/2017, Cass. n. 10412/2020).
2. Nella specie deve, pertanto, essere considerato principale il ricorso di G.L. e altri, perché risulta notificato e depositato prima del ricorso di II.C.. Quest’ultimo ricorso deve essere, pertanto, considerato incidentale.
3. I ricorrenti L. (G., R. e la moglie e le figlie di A. L., deceduto nel 2005) con il primo motivo di ricorso deducono nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 337, comma 2, e 282 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) per avere la Corte di Appello deciso la causa pregiudicata di impugnazione del licenziamento in senso opposto alla sentenza resa in causa pregiudicante, violando così i principi dell’armonia dei giudicati e della presunzione di giusto accertamento.
4. Il motivo non è fondato. Dall’esame delle conclusioni nelle rispettive controversie risulta la differenza di petitum, da una parte domanda di differenze retributive, dall’altra, in questa sede, impugnativa di licenziamento. In ogni caso, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica, che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non è doverosa, bensì facoltativa ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., come si desume dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo (in particolare, dall’art. 282 c.p.c.), alla cui stregua il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso rispetto allo stato iniziale della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado (Cass. n. 26251/2017; conf. Cass. n. 80/2019, n. 8885/2023).
5. Con il secondo motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 434 e 112 c.p.c. e 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di Appello riformato, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, l’accertamento operato dalla sentenza di primo grado relativo all’avvenuta cessazione dell’attività d’impresa nel novembre 2011, violando così il giudicato interno.
6. Il motivo è inammissibile, perché qualifica impropriamente in termini di giudicato interno un accertamento in fatto, che, in esito a diversa valutazione delle prove, è stato giudicato in modo diverso in secondo grado (in cui si dà atto della continuazione dell’attività e della simulazione della cessione), quale conseguenza fisiologica dell’accoglimento dell’impugnazione in materia di perdurante imputazione soggettiva del rapporto di lavoro e del continuato esercizio dei poteri datoriali.
Invero, in tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 21566/2017, n. 40276/2021, n. 20951/2022).
7. Con il terzo motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., comma 2, n. 4 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di Appello, in violazione del principio di non contestazione, ritenuto che sia proseguita l’attività di impresa, nonché omesso esame del fatto contrario, risultante dagli atti di causa e decisivo per il giudizio, dell’avvenuta cessazione dell’attività di impresa in riferimento all’art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c.
8. Il motivo, che ricalca, sotto diverso profilo, il motivo precedente, risulta parimenti inammissibile, per i motivi espressi con riferimento allo stesso, e perché è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia mirando, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758/2017, Cass. S.U. n. 34476/2019). Del resto, lo stesso principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (Cass. n. 16028/2023).
9. Con il quarto motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 414, 434 e 437, secondo comma, c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di Appello accolto la domanda di condanna diretta delle persone fisiche convenute formulata per la prima volta in appello sulla base di una causa petendi nuova, che individua l’azienda agricola nei terreni e la titolarità dell’azienda in capo non più alla società o ai soci ma in capo ai proprietari dei suoli in quanto successori o discendenti di F.C., violando così il divieto di ius novorum in appello.
10. Il motivo non è fondato. La sentenza impugnata è coerente con i principi affermati da questa Corte in materia, a partire da Cass. S.U. n. 6070/2013 (espressamente richiamata), in base ai quali, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo.
Inoltre, benché, dopo la riforma del diritto societario, la cancellazione dal registro delle imprese estingua anche la società di persone, sebbene non tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo siano stati definiti, la prova contraria, idonea a superare l’effetto di pubblicità dichiarativa che l’iscrizione della cancellazione spiega per la società di persone, non può vertere sul fatto statico della pendenza di rapporti sociali non definiti, occorrendo, viceversa, la prova del fatto dinamico della continuazione dell’operatività sociale dopo l’avvenuta cancellazione, la quale soltanto giustifica, ai sensi dell’art. 2191 c.c., la cancellazione della cancellazione, cui consegue la presunzione che la società non abbia mai cessato di esistere. La Corte ha spiegato in fatto le ragioni per cui ha ritenuto la simulazione della cessione e la sussistenza di unico centro di imputazione giuridica costituito da persone fisiche e persone giuridiche costituite o promosse per utilità comuni, e quindi provata, la suddetta “cancellazione della cancellazione”. La condanna solidale in capo alle persone fisiche e giuridiche costituenti il suddetto unico centro di imputazione datoriale non rappresenta, pertanto, accoglimento di una domanda nuova in appello, ma il corollario giuridico necessitato della suddetta ricostruzione in fatto e in diritto.
11. Con il quinto motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 112, 115 e 116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di Appello riferito l’onere di contestazione gravante sugli odierni ricorrenti a documenti provenienti da terzi piuttosto che al fatto proprio di essi convenuti di non essere succeduti a F.C. nella titolarità della sua ditta e della sua azienda e pronunciato ultra petita l’inefficacia del contratto di comodato del fondo agricolo del 25.11.2005.
12. Il motivo è inammissibile. Spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni; invero, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021).
13. Con il sesto motivo, deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., degli artt. 2697, 1414, 1415, 1416, 2082, 2103, 2112, 2137, 2495, 2555, 2556, 2565, 2566 c.c., dell’art. 49 legge n. 203/1982, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere la Corte di Appello invertito l’onere della prova in relazione al subentro dei convenuti nella ditta e nella titolarità dell’azienda di F.C. e falsamente applicato le norme che disciplinano norme che disciplinano la successione nella società di persone e la simulazione per interposizione fittizia, disapplicando altresì l’art. 4 della legge n. 108/1990 e negando la possibilità di realizzare un’impresa agricola su terreno altrui e di trasferirla disgiuntamente da esso.
14. Il motivo è inammissibile. In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 26874/2018, n. 19443/2011).
15. Con il settimo motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte di Appello ritenuto non contestata la circostanza che i convenuti abbiano continuato a impartire direttive dopo la cessione dell’azienda del 19/7/2011, violando il principio di necessaria corrispondenza fra chiesto e pronunciato, nonché omesso esame del fatto decisivo di segno opposto risultante dagli atti di causa in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, c.p.c.
16. Il motivo è inammissibile. Non sussiste la dedotta nullità procedimentale, ma piuttosto una determinata ricostruzione in fatto, nei confronti della quale parte ricorrente esprime il proprio dissenso, che però non può portare, in sede di legittimità, ad una rivisitazione globale degli elementi di prova raccolti e valutati, a fronte di motivazione congrua e logica. Né sussiste il dedotto omesso esame di fatto contrario decisivo, perché, come detto, la selezione degli elementi di prova rilevanti spetta al giudice di merito, anche spiegando le proprie conclusioni riguardo al complessivo materiale probatorio con formule sintetiche o implicite, purché congrue e con rationes decidendi percepibili, esplicitate e logiche, come nel caso di specie. La nullità, denunziabile ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c., consegue nel solo caso di mancanza o apparenza della motivazione in sé, senza estendersi al confronto del contenuto della motivazione con le risultanze istruttorie o alla valutazione della sua sufficienza e correttezza rispetto ad una o più circostanze ritenute decisive ai fini della decisione (cfr. Cass. S.U. nn. 8053 e 8054/2014), mentre l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. Cass. n. 22397/2019; cfr. anche Cass. n. 27415/2018, che specifica che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie).
17. Con l’ottavo motivo, deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 485, 2284, 2289 e 2290 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto che le eredi di L. A., deceduto a dicembre 2005, siano succedute al de cuius nella società semplice o di fatto.
18. Il motivo risulta inammissibile, perché volto anch’esso alla rivalutazione del materiale probatorio non consentita nel grado di legittimità. La Corte distrettuale ha ritenuto provata la sussistenza di unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro a seguito di un fenomeno di successione con responsabilità solidale in capo alle persone fisiche e giuridiche costituenti il suddetto unico centro di imputazione datoriale (cfr. supra, $ 8); né risulta alcun elemento di prova di liquidazione pro quota, sicché non sussiste violazione, ma piuttosto coerente applicazione, del disposto di cui all’art. 2284 c.c. sulla continuazione della società da parte degli eredi in assenza di liquidazione o scioglimento.
19. Con il nono motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dei commi 1 e 2 dell’art. 6 legge n. 604/1966 e degli art. 1334, 1335, 2297 e 2312 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto efficaci nei confronti dei soci i recapiti dell’impugnazione del licenziamento e del tentativo di conciliazione presso la sede legale della società semplice quando era già cancellata dal registro delle imprese.
20. Il motivo è infondato. La sufficienza, nel caso di specie, della notifica impersonale dell’impugnativa del licenziamento presso la sede della società semplice deriva dalla responsabilità illimitata dei soci di società di persone per i debiti sociali e dall’accertata simulazione dell’operazione di cancellazione della società di persone con contestuale costituzione di società di capitali, permanendo unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.
21. Con il decimo motivo, deducono nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost. e dell’art. 3, legge n. 108/1990, in combinato disposto con gli artt. 1324 e 1345 c.c., e con l’art. 18, legge n. 300/1970, degli artt. 1344, 1345, 1414, 1415 c.c. in relazione agli artt. 2112 e 2082 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di Appello sanzionato la volontà dei soci di trasferire a terzi l’azienda e dismettere la qualità di imprenditori per reazione al comportamento del lavoratore e considerato illecita la cessione dell’azienda senza corrispettivo siccome effettuata al solo scopo di addossare al cessionario obblighi ed oneri conseguenti.
22. Il motivo è inammissibile. Anche in questo caso (come con riguardo al settimo motivo, v. supra, §§ 15-16), non ricorre nullità procedimentale, a fronte di articolata ricostruzione in fatto, non essendo consentita in questa sede una rivisitazione globale degli elementi di prova raccolti e valutati per giungere ad un diverso apprezzamento fattuale, a fronte di motivazione congrua e logica. Neppure ricorre la lamentata violazione di legge, in quanto la censura non centra compiutamente la ratio della decisione gravata, che non si muove lungo lo schema illiceità-sanzione, ma sul diverso piano accertamento della simulazione – prevalenza dell’assetto di interessi reale (dissimulato) su quello apparente (simulato).
23. Con l’undicesimo motivo, deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 18, legge n. 300/1970, della legge n. 604/1966, dell’art. 1463 c.c. e degli artt. 116 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di Appello disposto la reintegrazione del lavoratore, mentre doveva limitarsi ad accogliere la domanda di risarcimento del danno sino al 9.12.2014 come chiesto dal lavoratore essendo documentata a questa data la definitiva disgregazione del patrimonio aziendale, e omesso esame, in riferimento all’art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c., del fatto risultante dall’atto di vendita acquisito d’ufficio dalla Corte ed oggetto di discussione nel processo.
24. Il motivo è inammissibile, per effetto dell’incompatibilità dei profili di censura assemblati nello stesso (v. supra, § 14).
25. Con il primo motivo del proprio separato ricorso, da qualificarsi incidentale, II.C. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 2697, 2729, 1414, 1470 c.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per malgoverno, nella sentenza gravata, dei principi in materia di prova presuntiva della simulazione del contratto di compravendita, nonostante l’assenza di indizi gravi, precisi e concordanti idonei a consentire l’applicazione del predetto canone probatorio.
26. Il motivo è inammissibile. Il ragionamento presuntivo è censurabile in sede di legittimità solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (cfr. Cass. n. 3541/2020, n. 5279/2020; v. anche Cass. n. 22366/2021).
27. Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697 c.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per essere stata affermata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con tutte le parti convenute (persone fisiche e giuridiche), pur senza aver individuato, in concreto, la ricorrenza dell’assoggettamento ai poteri direttivi, disciplinari e di controllo da parte di alcuna di esse.
28. Il motivo è inammissibile. La valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. n. 22846/2022, n. 33652/2022).
29. Con il terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), in relazione alla ricorrenza di unico centro di imputazione di rapporti giuridici, assumendo l’insussistenza di tale fenomeno unitario riferito ai rapporti di lavoro tra la precedente società semplice e la società di capitali costituita successivamente, trattandosi di legittimo fenomeno di trasformazione della veste sociale afferente alla libertà di iniziativa economica.
30. Il motivo non è fondato. La Corte di merito si è conformata (richiamando espressamente i pertinenti precedenti) ai principi fissati in materia da questa Corte, secondo cui il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare – anche al fine della sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della cd. tutela reale del lavoratore licenziato – un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro;
che tale situazione ricorre ogni volta vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico-funzionale e ciò venga rivelato dai seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo ed il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico ed amministrativo[1]finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (Cass. n. 26346/2016, n. 19023/2017); ne consegue che tutti i fruitori dell’attività devono essere considerati responsabili delle obbligazioni che scaturiscono da quel rapporto, in virtù della presunzione di solidarietà prevista dall’art. 1294 c.c., in caso di obbligazione con pluralità di debitori, qualora dalla legge o dal titolo non risulti diversamente (Cass. n. 7704/2018).
31. Con il quarto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 414, 434, 437 c.p.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile un’estensione soggettiva della domanda di condanna alla reintegrazione, in primo grado limitata alle sole società, in secondo grado estesa anche alle persone fisiche.
32. Il motivo non è fondato. Attesa la responsabilità illimitata dei soci di società di persone, la domanda deve ritenersi contenuta in quella svolta in primo grado e specificata nel grado successivo, quale conseguenza di legge della suddetta responsabilità, della simulazione della trasformazione societaria, dell’accertamento dell’unicità del centro di imputazione del rapporto di lavoro.
33. Con il quinto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 6 legge n. 604/1966, 1334, 1335 c.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte d’Appello ritenuto tempestiva l’impugnazione stragiudiziale dell’atto di recesso nei confronti dei soci nonostante le missive in esame siano state inviate presso la società semplice giuridicamente estinta.
34. Il motivo non è fondato. Come sopra evidenziato con riferimento ai paralleli motivi quarto e nono del ricorso di G.L. ed altri (§§ 9,10, 19,20), dalla ricostruzione della vicenda quale operazione di simulata cancellazione della società semplice e dall’accertamento di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, costituito dalle persone fisiche e giuridiche concorrenti nella gestione dell’azienda agricola discende l’efficacia dell’impugnativa del licenziamento nei confronti della società da ritenersi ancora esistente e per essa ai soci illimitatamente responsabili, stante il trasferimento ai soci dei debiti sociali qualora all’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, con determinazione di fenomeno di tipo successorio, salvo il necessario litisconsorzio processuale, regolarmente instaurato.
35. Con il sesto motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1345 c.c., 18 legge n. 300/1970, 115 c.p.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per avere la sentenza gravata ritenuto sussistente l’intento ritorsivo pur in presenza di incontestata cessazione dell’attività imprenditoriale.
36. Il motivo non è fondato. La cessazione dell’attività imprenditoriale al momento dell’impugnativa del licenziamento è stata esclusa in fatto dalla Corte di merito.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, ben potendo, tuttavia, il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (cfr. Cass. n. 23583/2019);
prova della ritorsività che la Corte di merito, con motivazione congrua sulla base degli elementi probatori raccolti, ha ancorato alla costituzione della s.r.l. e alla simulata cessione aziendale immediatamente successive alle richieste di pagamento dell’odierno controricorrente e del fratello in analoga condizione di rivendicazione di crediti lavorativi.
37. Con il settimo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 legge n. 300/1970, 1463 c.c. (ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte disposto la reintegrazione nonostante la materiale impossibilità giuridica e fattuale di giungere ad un ripristino del rapporto lavorativo alle dipendenze dei soggetti convenuti.
38. Il motivo è inammissibile, nella misura in cui la cessazione dell’attività è stata esclusa in fatto nel merito, mentre problematiche in sede di esecuzione o successiva liquidazione sono nuove e successive alla declaratoria di nullità del licenziamento con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di legge oggetto del presente giudizio.
39. I ricorsi devono, pertanto, essere entrambi respinti.
40. In ragione della soccombenza le parti ricorrenti devono essere condannate alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate per ciascuna di esse come da dispositivo.
41. Ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, principali (unitariamente considerati) e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi.
Condanna le parti ricorrenti, principali e incidentale, alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, che liquida per ciascuna parte in € 9.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, principali e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto rispettivamente per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.