Corte di Cassazione sentenza n. 9954 del 05 maggio 2011
RAPPORTO DI LAVORO – RAPINA IN BANCA – DANNO BIOLOGICO – RISARCIMENTO – SINDROME ANSIOSO-DEPRESSIVA
massima
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Il caso di rapina in banca con sequestro di persona, quest’ultimo non ha diritto al danno biologico, se non viene provato.
Il risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. va riconosciuto nella sua più ampia accezione nell’ipotesi in cui l’illecito integra gli estremi di un reato, ivi compreso il danno morale, quale sofferenza soggettiva derivante da reato, che può essere permanente o temporanea e può sussistere sia da solo sia unitamente ad altri pregiudizi di carattere non patrimoniali. Nell’ipotesi di lesioni alla persona, in particolare, spetta al danneggiato il danno non patrimoniale costituito dal biologico (inteso come lesione del bene salute medicalmente accertabile) ed il danno da sofferenza soggettiva che viene ricompreso, personalizzandolo, nel danno biologico del quale ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca costituisca componente (Cass. civ., Sez. III, 9 dicembre 2010, n. 24864; T.A.R. Puglia Lecce, Sez. III, 23 marzo 2007, n. 1202). In ogni caso il Giudice è tenuto ad un’adeguata personalizzazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Nel caso di specie, non è stato riconosciuto nessun di risarcimento dei danni biologico, esistenziale e morale – per una grave sindrome ansioso-depressiva – in quanto manca una specifica allegazione in tal senso da parte del lavoratore. Quest’ultimo deve in primo luogo precisare quali di essi ritenga in concreto di aver subito, fornendo tutti gli elementi, le modalità e le peculiarità della situazione in fatto, attraverso i quali possa emergere la prova del danno. Non è quindi sufficiente prospettare l’esistenza del danno biologico, e chiedere genericamente il risarcimento del danno, non potendo il giudice prescindere dalla natura del pregiudizio lamentato, e valendo il principio generale per cui il giudice – se può sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla esplicazione dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall’art. 421 cod. proc. civ. – non può invece mai sopperire all’onere di allegazione che concerne sia l’oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La causa è stata chiamata alla adunanza in camera di consiglio del 7 aprile 2011 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:
“Con ricorso notificato in data 29-30 aprile 2010, D.M.R. chiede, con sei motivi, la cassazione della sentenza depositata il 14 dicembre 2009 e notificata l’8 marzo 2010, con la quale la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado di rigetto delle sue domande nei confronti della datrice di lavoro Banca S.F. s.c. a r.l., di risarcimento dei danni biologico, esistenziale e morale – per una grave sindrome ansioso-depressiva contratta a seguito di una rapina con sequestro di persona – da lui subiti in occasione di un trasporto di lire 50.000.000 dalla filiale della banca di Canicattì a quella di Campobello di Licata in data 11 dicembre 1998 e aggravata da ulteriori tre rapine subite da quest’ultima filiale mentre lui vi prestava la propria attività lavorativa.
I motivi di ricorso attengono:
al vizio di motivazione (il 1°), alla violazione degli artt. 2087 e 2697 c.c. (il 2°) e alla violazione degli artt. 1175, 1375 e 2087 c.c. (3° motivo), alla violazione dell’art. 414 c.p.c. (6° motivo), laddove la Corte territoriale aveva ritenuto di gravare il dipendente dell’onere di allegazione e prova (che comunque sarebbe stato sufficientemente assolto nel ricorso introduttivo) del comportamento negligente della società (che peraltro sarebbe risultato dalle prove, senza che i giudici ne prendessero atto), anziché ritenere quest’ultima ritenuta a dedurre e provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad evitare l’evento (prova che sarebbe del tutto mancata in giudizio); alla violazione dell’art. 19 del CCNL della Federcasse del 20.2.1997, 2087 c.c. e 112 c.p.c., per avere i giudici di merito erroneamente interpretato la indicata norma contrattuale in ordine ai compiti degli addetti alla cassa che secondo il ricorrente non comprenderebbero il trasporto valori all’esterno dell’azienda; in ogni caso, secondo il ricorrente, la diversa interpretazione della norma contrattuale non escluderebbe l’obbligo per la datrice di lavoro di rispettare l’art. 2087 c.c. (4° motivo); alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la Corte d’appello pronunciata in ordine alla richiesta di ammissione di C.T.U. per accertare il danno patito dal lavoratore ed il nesso causale ditale danno con gli eventi criminosi indicati (5° motivo).
La società intimata resiste alle domande del dipendente con controricorso.
Ambedue le parti hanno depositato memorie.
Il procedimento è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e integrazioni apportate dalla legge 18 giugno 2009 n. 69.
Il ricorso è inammissibile e va pertanto trattato in camera di consiglio.
La Corte territoriale, oltre a ritenere non sufficientemente sostenuta in ricorso, sul piano dell’allegazione e della prova, la riferibilità alla società dell’evento rapina a norma dell’art. 2087 c.c. e a valutare come non provata in giudizio la presenza in azienda del ricorrente in occasione delle tre rapine successive a quella dell’11 dicembre 1998, ha infatti affrontato anche il tema pur subordinato all’accertamento della responsabilità aziendale della sussistenza di stabili conseguenze dannose a carico del D.M.R. derivanti dagli episodi indicati.
In proposito, la Corte ha affermato che anche la domanda risarcitoria è, ancor prima di essere sfornita di prova, generica e priva di allegazioni e ha rilevato come nel ricorso introduttivo l’indicazione dell’entità effettiva del danno alla salute e della sua riconducibilità alle rapine e, quanto ai danni esistenziale e morale, l’indicazione di “precisi elementi, quali durata, gravità, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita etc.”, a sostegno dell’esistenza degli stessi.
Un tale accertamento, posto dalla Corte territoriale a fondamento autonomo del rigetto delle domande, non è stato specificatamente impugnato in questa sede dal ricorrente, il quale si limita, col quinto motivo, a censurare la mancata ammissione di C.T.U. tesa ad accertare genericamente l’entità del danno patito e il nesso causale di tale danno con gli eventi criminosi.
Se una tale censura può essere tutt’al più riferita all’accertamento della sentenza sopra indicato quanto al danno alla salute (accertamento autonomamente rilevante e peraltro non investito direttamente e specificatamente dal ricorso, come sarebbe stato necessario), va comunque rilevato che la mancata considerazione della relativa istanza istruttoria da parte della Corte territoriale appare pienamente giustificata dal fatto che l’unica deduzione di sostegno in proposito rilevata dai giudici di merito (pag. 2 della sentenza) e l’unica specifica risultante dallo stesso ricorso per cassazione (seconda pagina del ricorso, mentre gli ulteriori richiami a certificati medici prodotti, effettuata nel quinto motivo, è del tutto generica, non rispettando la regola della autosufficienza del ricorso) è quella di un “disturbo da stress post-traumatico con deflessione dell’umore”, accertato tre giorni dopo la prima rapina con sequestro di persona e che come tale non meritava alcun accertamento aggiuntivo utile per le finalità del ricorso introduttivo. Tanto più che i giudici di merito hanno comunque accertato che alle successive tre rapine in banca non era provato che fosse presente il M.R. e anche tale accertamento non è stato da questi specificamente contestato.
Alle considerazioni svolte consegue l’inammissibilità del ricorso, la fondatezza delle cui censure non potrebbe infatti condurre all’annullamento della sentenza impugnata.
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in camera di consiglio.
Il Collegio condivide il contenuto della relazione, che il contenuto dell’ultima memoria non appare in grado di contrastare in maniera efficace.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese, operato, con la relativa liquidazione, in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla Banca le spese di questo giudizio, liquidate in E. 30,00 per esborsi ed E. 6.000,00, oltre 12,50%, IVA e CPA, per onorari.
Depositata in Cancelleria il 05.05.2011
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