La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 32956 del 30 luglio 2013 hanno affermato che il rimpatrio di denaro con lo scudo fiscale è incompatibile con l’accusa di dichiarazione infedele. La Procura potrebbe, invece, contestare il riciclaggio per le somme destinate all’aumento del capitale sociale.
Con la sentenza in esame la Corte torna ad occuparsi dello scudo (terza versione) per fissare i principi logici di imputazione del reato ex art. 4 del dlgs 74/2000. Nel fattispecie esaminata i giudici di legittimità hanno sostenuto che non si tratta precisamente di scudo fiscale. Gli imputati hanno scelto di far rientrare i capitali che erano già all’estero, verso la società, probabilmente allo scopo di effettuare un illecito riciclaggio degli stessi nella produzione di beni e servizi in Italia.
Non sussiste evasione sulle somme prodotte all’estero e rientrate in Italia grazie allo scudo fiscale come finanziamento dei soci all’impresa. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 32956 del 30 luglio 2013, ha respinto il ricorso della procura di Cagliari.
L’assoluzione confermata, dunque, in favore dell’amministratore di fatto e di diritto di una società che aveva ricevuto del denaro proveniente dall’estero sotto forma di finanziamento soci. L’accusa, fin davanti al Gip e ora di fronte alla terza sezione penale, ha sostenuto che il Tribunale avrebbe dovuto tener conto che l’evasione fiscale si può realizzare anche con il rientro delle somme detenute all’estero.
La tesi è stata bocciata dalla Suprema corte, secondo cui la situazione disciplinata dall’art. 13-bis del decreto legge n. 78 del 2009 non ha a che vedere con il caso in esame. Il denaro individuato dalla Guardia di finanza proveniva, infatti, dall’estero e confluiva nelle casse della società degli imputati come capitale sociale e finanziamento soci e non come reddito della società stessa. Infatti, al fine di realizzare l’evasione fiscale e, cioè, di sottrarre all’imposizione redditi della società, il percorso avrebbe dovuto invece essere quello, opposto, dell’esportazione clandestina di capitali.
La disposizione sul cosiddetto scudo fiscale si riferisce proprio a tale ipotesi, essendo diretta a favorire il rientro dei capitali sottratti all’imposizione tributaria in Italia attraverso il loro clandestino trasferimento all’estero. Nulla di tutto questo è successo nel caso in esame in cui, invece di sfruttare la favorevole circostanza che i capitali si trovano già all’estero, gli imputati hanno scelto di farli rientrare verso la società, più probabilmente allo scopo di effettuare un illecito riciclaggio degli stessi nella produzione di beni e servizi in Italia.
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