COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Puglia sentenza n. 925 sez. 6 depositata il 27 aprile 2015
Massima
La sentenza riguarda un contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate e un ente ospedaliero su un caso di deducibilità dei contributi regionali per lo svolgimento di servizi di assistenza sanitaria. I primi giudici, nell’accogliere il ricorso del contribuente, si sono serviti in gran parte di quanto contenuto nello scritto difensivo del contribuente, configurando secondo l’Ufficio un difetto di motivazione per “l’appiattimento del giudice sulle argomentazioni difensive di parte”. I giudici di appello respingono tale assunto facendo proprio un recente pronunciamento della Corte di Cassazione secondo cui nel processo civile e in quello tributario non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte, sempre che in tal modo risultino attribuibili al giudicante e esposte in modo chiaro ed esaustivo le ragioni su cui la decisione si fonda.
Ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione della sentenza, ciò che rileva non è la paternità o l’originalità dei contenuti in essa sviluppati, ma se il contenuto sia espressione del potere decisorio e la sua forma espositiva si connoti dei caratteri di logicità e congruenza giuridica. Pertanto, il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti non è sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice, sempre che in tal modo risultino attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata.
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale della Puglia Ufficio Contenzioso, in data 18.4.2012 notificava all’ “Ente XXX” di Acquaviva delle Fonti, l’avviso di accertamento n° TUB040100014/2012 relativo all’anno d’imposta 2008 con il quale, sulla scorta di quanto accertato in sede di verifica fiscale da propri funzionari, come da relativo pvc, recuperava l’importo complessivo di euro 5.104.396,85 per violazione delle disposizioni contenute nell’art.61 del DPR 22 dicembre 1986 n° 917.Più specificamente, con l’avviso veniva contestata la non corretta qualificazione, ai fini della determinazione del rapporto di deducibilità (pro-rata) degli interessi passivi ex art.61 cit. dei contributi erogati all’Ente dalla Regione Puglia per lo svolgimento – in regime di convenzione – di servizi di assistenza sanitaria, contributi detassati ex art.143 , comma 3 lett b) del TUIR. Secondo la tesi dell’Ufficio i contributi regionali non avrebbero dovuto essere computati (anche) al numeratore del rapporto di deducibilità degli interessi passivi, perché non rientranti nella categoria dei proventi esclusi.
L’Ente XXX impugnava il detto avviso di accertamento chiedendone l’annullamento limitatamente al su accennato rilievo, mentre prestava acquiescenza agli altri rilievi.
L’adita Commissione con sentenza n° 727/10/14 del 14.11.2013 accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava l’avviso di accertamento limitatamente alla parte impugnata.
Avverso la citata sentenza ha presentato appello l’Agenzia delle Entrate deducendone la illegittimità per i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art.61 del TUIR ; 2) violazione dell’art.132, secondo comma, n° 4) c.p.c. e dell’art.36 del D.lgs 546/92 per mancata motivazione. Conclude per la riforma della impugnata sentenza con vittoria di spese.
Resiste l’Ente XXX con atto di costituzione e controdeduzioni depositato in data 24.12.2014 con il quale contrasta puntualmente le avverse ragioni e argomentazioni delle quali ne chiede il rigetto, con vittoria di spese.
Replica l’Agenzia con memoria illustrativa depositata in data 10.3.2015.
Alla odierna udienza pubblica sono comparsi per l’Ente XXX gli Avvocati ______ e ______ e per l’A.F. il Dott. _______ i quali si riportano ai rispettivi scritti difensivi dei quali ne chiedono l’accoglimento.
La Commissione decide come da separato dispositivo in atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello dell’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale della Puglia è infondato, e, pertanto non merita accoglimento.
Prioritariamente, per ragioni logico-giuridiche, va esaminato il secondo motivo di gravame concernente l’eccepito difetto dì motivazione della sentenza in presunta violazione degli articoli 132, secondo comma, n° 4 cpc e art.36 del Dlgs n° 546/92.
La censura è infondata.
I primi giudici, contrariamente alle asserzioni dell’A.F, hanno dato piena contezza degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto, nonché dell’iter logico-deduttivo posti a fondamento della statuizione finale di accoglimento del ricorso del contribuente.
Per vero, essi, dopo aver rappresentato nella parte descrittiva della sentenza, le contrapposte tesi difensive delle parti processuali, hanno individuato il ( limite del) thema decidendum circoscrivendolo al solo recupero dei costi di euro 5.104.396,85, siccome assertivamente portati in deduzione in presunta violazione o errata applicazione dell’art.61 comma 1 del Tuir. Nella parte motiva della pronuncia hanno affermato, poi, in assonanza con le argomentazioni del contribuente, che i contributi regionali in questione, in quanto proventi esclusi che non concorrono alla formazione del reddito d’impresa, sono riconducibili nell’ambito della previsione di cui all’art.61 del Tuir e, dunque, includibili sia al numeratore che al denominatore del rapporto di deducibilità pro-quota degli interessi passivi. E tanto, alla stregua di una interpretazione letterale del citato art.61 (nonché delle indicazioni contenute nella circolare 19/E del 2009, nella circolare Assonime n° 46 del 2009 e nelle disposizioni della legge 244/2007), rispetto alla quale “non risultano evidenziati dall’Ufficio resistente idonei elementi motivazionali per non considerare nel rapporto i contributi della Regione Puglia”, avuto riguardo, altresì, alla natura dell’Ente XXX.
Né vale ad infirmare la valenza argomentativa dei primi giudici, l’asserito “appiattimento del Giudice sulle argomentazioni difensive di parte”, poiché ciò che rileva ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione non è la paternità o l’originalità dei contenuti sviluppati in sentenza, ma se il contenuto sia espressione del potere decisorio e la sua forma espositiva si connoti dei caratteri di logicità e congruenza giuridica di tal che la sentenza risulti sufficientemente ed idoneamente motivata. In tal senso il recente pronunciamento della Corte di Cassazione secondo cui, “Nel processo civile ed in quello tributario, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’art.1 del Dlgs 546/92 – non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimeli giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal modo risultino attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata. E’ inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente costituita dalla copia dello scritto difensivo di una delle parti”. (Cass. 16.1.2015 n° 642).
Motivazione quella dei primi giudici che questo Collegio condivide e fa propria, dacché la ritenuta riconducibilità dei contributi regionali nell’alveo dei ricavi /proventi esclusi trova supporto normativo nel dato testuale e nella ratio del combinato disposto del citato art. 61 del TUIR a mente del quale “Gli interessi passivi inerenti all’esercizio d’impresa sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanti esclusi e l’ammontare di tutti i ricavi e proventi” e del successivo art. 143 comma 3 lett b) ai sensi del quale “Non concorrono in ogni caso alla formazione del reddito degli enti non commerciali di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art.73 b) i contributi corrisposti da Amministrazioni pubbliche ai predetti enti per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’art.8, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n° 502, come sostituito dall’art.9, comma 1, lett g), del decreto legislativo 7 dicembre 1993 n° 517, di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi”. In senso conforme depone la relazione governativa al Dlgs n° 460 del 1997, modificativo dell’art.143 del TUIR (prima art.108) nella quale è dato leggere testualmente: “la lettera b) del medesimo art.2, comma 1, esclude dall’imposizione i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche ad enti non commerciali per lo svolgimento di attività in regime di convenzione o accreditamento “.
La riproposta tesi dell’A.F, già disattesa dai primi giudici, secondo cui i contributi regionali corrisposti all’Ente XXX “godono di un regime di esenzione non scontando l’imposta in alcuno modo alternativo” , si appalesa poco persuasiva e il richiamo a supporto di codesto assunto, del diverso regime fiscale dei dividendi, dei contributi a favore degli enti commerciali e dei contributi erogati alle imprese di trasporto pubblico locale, è del tutto inconferente trattandosi di fattispecie incomparabili per la natura diversa delle relative attività e del diverso scopo che esse perseguono. E’ noto, infatti, che gli Enti (come l’XXX), operando in regime di convenzione e/o di accreditamento di attività con finalità sociali e solidaristiche scontano, in termini di minori ricavi e perdite sensibili, l’obbligo di assicurare prestazioni sanitarie secondo standard qualitativi e tariffe predeterminati e imposti dal Servizio Sanitario Nazionale, con la conseguenza che , ove una interpretazione restrittiva della normativa de qua portasse ad escludere dal numeratore del rapporto di deducibilità degli interessi passivi “i ricavi e altri proventi che non concorrono alla formazione del reddito in quanto esclusi” (innovativamente ammessi dalla legge n°244 del 2007, modificativa del citato art.61 del TUIR), si giungerebbe al paradosso di ottenere effetti pregiudizievoli e non favorevoli per il contribuente, in palese contrasto con la logica premiale ispiratrice della citata novità introdotta con la Finanziaria 2008, altrimenti inspiegabile. Conclusivamente, può affermarsi, con il conforto anche di autorevole dottrina, che in assenza di espressa qualificazione legislativa, in termini di esclusione o di esenzione, devono considerarsi esclusi (e, dunque, integrare il numeratore del rapporto di cui all’art.61 del Tuir), i ricavi/proventi “che venendo sottratti a tassazione in ragione di esigenze strutturali, abbiano comportato costi il cui mancato concorso in diminuzione del reddito d’impresa risulterebbe sistematicamente irrazionale”.
Onde il rigetto dell’appello, con la compensazione integrale fra le parti delle spese di giudizio, attesa la complessità e novità della problematica affrontata , unitamente alla oggettiva incertezza interpretativa della sottesa normativa.
P.Q.M.
La Commissione rigetta l’appello. Spese compensate
Bari, 23/03/2015
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