Corte di Cassazione ordinanza n. 17942 depositata il 1° giugno 2022
accertamento – motivazione per relationem – obbligo di contraddittorio – violazione dei diritti della difesa – principio di lealtà processuale – principio di equivalenza – principio di effettività – prova di resistenza – spese di manutenzione – processo verbale di constatazione
RILEVATO CHE
L’Agenzia delle entrate inviava a A.P. Sas di G.A. & C., esercente attività di panificazione, questionario con cui chiedeva chiarimenti ed invitava a produrre documentazione utile ai fini della verifica dell’attività per il 2006.
L’Ufficio, ritenuta l’inadeguatezza dei chiarimenti e dei documenti forniti, effettuava ulteriore istruttoria, da cui emergeva l’irregolare tenuta della contabilità e l’antieconomicità dell’attività d’impresa per la bassa redditività, nonché la deduzione di costi non inerenti e non di competenza, di spese relative a più esercizi, l’omessa contabilizzazione di ricavi, sicché emetteva avviso di accertamento nei confronti della società e, per trasparenza, dei soci ai fini Iva, Ires ed Irap per il 2006, rideterminando i maggiori ricavi e irrogando le conseguenti sanzioni.
L’impugnazione della società e dei soci, previa riunione dei ricorsi, era rigettata dalla CTP di Vercelli. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.
A.P. Sas di G.A. & C., G.A., G.X e G.E. propongono ricorso per cassazione con quattro motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
I contribuenti hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1. Preliminarmente va dato atto che i contribuenti, con la memoria del 16 febbraio 2022, hanno altresì depositato numerosi documenti (avviso di accertamento, studi di settore, inventario al 31/12/2006; 3 fatture per spese di manutenzione immobili) a corredo e integrazione delle doglianze di cui al ricorso.
1.1 Tale produzione è inammissibile per tardività.
Si tratta di documenti che avrebbero dovuto essere allegati ab origine e anzi, per il principio di specificità, avrebbero dovuto essere utilmente riprodotti nello stesso ricorso originario, traducendosi la successiva allegazione in una inammissibile integrazione dei motivi proposti con il ricorso stesso.
essere prodotti, dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369 c.p.c. e ai sensi dell’art. 372 c.p.c., solo i documenti che attengono all’ammissibilità del ricorso e non anche quelli concernenti l’asserita fondatezza del medesimo (v. ex multis Cass. n. 9685 del 26/05/2020), mentre il richiamo al protocollo d’intesa del 27/10/2020 (in relazione al deposito a mezzo PEC effettuato in data 21/1/2022) non determina la rimessione in termini, esplicitamente esclusa dallo stesso protocollo al par. 5 («La trasmissione della copia informatica dell’originale cartaceo non sostituisce il deposito nelle forme previste dal codice di rito, e non determina rimessione in termini per le eventuali decadenze già maturate»).
2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 c.c. per aver la CTR ritenuto valido l’avviso di accertamento nonostante la mancata allegazione del documento sulle “Metodologie di controllo dei panifici”, e ciò, tanto più, a fronte dell’espresso riconoscimento, da parte della stessa CTR, dell’illegittimità dell’avviso.
Rileva inoltre che, illegittimamente, la CTR ha ritenuto onere della contribuente fornire una ricostruzione alternativa a quella dell’Ufficio.
2.1 Il motivo è inammissibile
La CTR, infatti, non solo ha escluso la necessità dell’allegazione del documento in questione posto che «tale metodologia (come per gli altri settori produttivi) è disponibile sul sito internet dell’Agenzia e non si può ritenere sconosciuta anche se non allegata», ma ha anche precisato, senza soluzione di continuità, che «comunque la sola lettura del provvedimento impugnato (in particolare pagg. 7 e 8 e allegato 2) consente agli interessati di conoscere gli specifici criteri adottati dall’Ufficio per rilevare le incongruenze documentali a fondamento della determinazione dei ricavi».
Il giudice d’appello, quindi, ha univocamente accertato che l’avviso era adeguatamente e congruamente motivato anche, e proprio, sui criteri in concreto impiegati per determinazione dei ricavi e tale motivazione, specifica e puntuale, non è stata oggetto di censura, sicché il motivo neppure coglie l’effettiva ratio della sentenza.
Va ricordato, del resto, che secondo il consolidato orientamento della Corte «in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, comma 3, legge 7 agosto 1990, n. 241: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia, rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione» (Cass. n. 2614 del 10/02/2016; Cass. n. 26683 del 18/12/2009; v. anche Cass. n. 24417 del 05/10/2018).
2.2 Neppure sussiste l’asserita contraddittorietà e la lamentata violazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova.
Diversamente da quanto pretendono i ricorrenti, infatti, la CTR non ha ritenuto, nel prosieguo della motivazione, illegittimo l’avviso ma, al contrario, ha ritenuto «superata la questione di legittimità» dell’atto per essere infondata la relativa doglianza, sicché, a fronte delle irregolarità contabili (in questa sede neppure oggetto di contestazione) e degli elementi presuntivi attestanti l’antieconomicità dell’attività d’impresa, spettava ai contribuenti fornire la prova contraria e ciò, a maggior ragione, tenuto conto che la tesi prospettata dai contribuenti – alla luce della quale il prodotto finito (pane e altri prodotti) aveva una resa inferiore alla materia prima (farina) – si poneva in diretto contrasto «con il normale buonsenso» sì da far concludere la CTR che «anche in base alle conoscenze della materia sviluppate in ambito domestico, è inaccettabile supporre un così carente indice di produttività in relazione alla materia prima impiegata; ciò quindi è ancora meno verosimile per un professionista del settore».
3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 24 l. n. 4 del 1929 e 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 per non aver l’Ufficio emesso processo verbale di constatazione e non aver concesso il termine per contraddire ai rilievi formulati.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una “verifica fiscale” presso l’impresa, né ha effettuato “accessi mirati” volti ad acquisire eventuale documentazione.
L’avviso – come pacificamente riconosciuto nello stesso ricorso – trae origine da una richiesta di informazioni attivata a seguito di invio di questionario, sicché la ripresa era riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd. “a tavolino”, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in ispecie per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (v. Sez. U n. 24823 del 09/12/2015).
Già da tale fatto, dunque, deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass. n. 16546 del 27/04/2018; v. anche per una vicenda particolare Cass. n. 12094 del 08/05/2019).
Né ha rilievo, in senso contrario, il richiamo all’art. 24 l. n. 4 del 1929, che, ad avviso del ricorrente, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con cui siano contestate le violazioni finanziarie.
Si è infatti pure precisato che «in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di IVA), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dall’art. 24 della l. n.4 del 1929, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento» (Cass. n. 27711 del 11/12/2013; Cass. n. 31120 del 29/12/2017), da cui la conclusione che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perché è in esso che si esterna ciò che si è constatato.
3.3 Ne deriva, quanto alle imposte dirette, l’infondatezza della denunciata violazione trattandosi di ambito in cui non è previsto un obbligo generalizzato di preventivo contraddittorio, ossia al di fuori dalle ipotesi specificamente previste, non essendo annoverabile tra esse l’accertamento operato a seguito di invio di questionario.
3.4 Parimenti infondata è la doglianza quanto all’Iva
3.5 È ben vero, infatti, che, con riguardo ai tributi armonizzati, in particolare, nella vicenda in giudizio, all’Iva, l’obbligo del contraddittorio preventivo discende direttamente dalla disciplina unionale alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, sicché l’Amministrazione, ove adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari, è tenuta a mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (già Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2008, in C-349/07, Sopropé, punto 37; ex multis sentenza 22 ottobre 2013, in C-276/12, Sabou, punto 38; sentenza 17 dicembre 2015, in C-419/14, WebMindLicenses, punto 84).
La giurisprudenza unionale, peraltro, ha chiarito che qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione – in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze (come pure precisato, per il nostro ordinamento, da Cass. n. 701 del 15/01/2019) – comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (cd. prova di resistenza), ossia se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte di Giustizia, sentenze 1° ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware, in C-141/08, punto 94; 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in C-383/13, punto 38; 26 settembre 2013, Texdata Software, in C- 418/11, punto 84; 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, in C-129/13 e C-130/13, punti 79 e 79).
Il parametro di riferimento a tal fine è, dunque, costituito dal principio di effettività – per il quale le modalità procedurali interne «non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione» – che, tuttavia, come anche recentemente ribadito dalla Corte di Giustizia, «non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso» (sentenza 4 giugno 2020, SC C.F. SRL, in C-430/19, punti 35 e 37). Non ha invece incidenza, quantomeno nel nostro ordinamento, il principio di equivalenza attesa l’inesistenza di regole procedurali specificamente dettate per l’imposizione in materia di Iva.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, hanno poi utilmente precisato che il requisito in questione va inteso «nel senso che l’effetto della nullità dell’accertamento si verifichi allorché, in sede giudiziale, risulti che il contraddittorio procedimentale, se vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragion d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non del tutto vacui e, dunque, non puramente fittizi o strumentali» ossia che «non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, ma è, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato …, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali l’ordinamento lo ha predisposto» (recentemente v. anche Cass. n. 20036 del 27/07/2018; Cass. n. 218 del 08/01/2019).
3.6 Orbene, nella vicenda in giudizio è decisivo che la doglianza, come pure le complessive deduzioni nei gradi precedenti per come riprodotte dai ricorrenti, è del tutto carente quanto alla richiesta prova di resistenza.
Uniche argomentazioni dedotte sul punto sono quelle formulate – e molto tardivamente – con la memoria, che, tuttavia, sono ben lontane dall’integrare la richiesta prova di resistenza, poiché riguardano, alcune (sulla ripresa dei costi per le opere di ristrutturazione), profili estranei alla ripresa Iva e, per il resto, si limitano a ripercorrere le contestazioni sul merito della pretesa (sull’antieconomicità; sulla rilevanza degli studi di settore) secondo una diversa e contrapposta ricostruzione dei fatti rispetto a quella del giudice di merito, dunque oggettivamente inidonee a far ritenere – come si esprime la Corte di Giustizia – che «il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso» (sentenza SC C.F. SRL cit., punti 35 e 37).
4. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 per aver la CTR considerato legittima la ripresa in base alle incongruenze e all’antieconomicità contestate dall’Ufficio.
4.1 Il motivo è inammissibile.
La doglianza, in evidenza, pur formulata come violazione di legge, contesta la valutazione operata dalla CTR sulle prove e sugli elementi presuntivi introdotti in giudizio ed oggetto, come sopra evidenziato, di ampia ed articolata motivazione da parte del giudice d’appello, risolvendosi in un’istanza, formulata, tra l’altro, in termini meramente assertivi e generici, per un riesame del merito del giudizio, non consentita in sede di legittimità.
Spetta al giudice di merito, difatti, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e l’individuazione di quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti, neppure potendosi, in sede di legittimità, a seguito del novellato art. 360 n. 5 c.p.c., verificare la sufficienza della motivazione ove essa attinga la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.
5. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 108 tuir per aver la CTR ricondotto la deducibilità delle spese di ristrutturazione a detta norma anziché all’art. 102, comma 3, tuir.
5.1 Il motivo è fondato.
5.2 Come questa Corte ha chiarito, «in tema di determinazione del reddito d’impresa, le spese sostenute per la manutenzione, riparazione, trasformazione ed ammodernamento di beni strumentali, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo degli stessi, ex art. 102, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986, non assumendo rilevanza, a tal fine, il carattere eccezionale di dette spese» (Cass. n.3170 del 09/02/2018; vedi anche Cass. n. 7885/2016 e n. 18810/2017).
La disposizione normativa, pertanto, «consente all’imprenditore di esercitare l’opzione tra la capitalizzazione delle spese incrementative, quale aumento del costo del bene ammortizzabile, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati (deduzione di importo non superiore al 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili; deduzione dell’eccedenza per quote costanti nei cinque esercizi successivi)».
Pertanto, ai fini dell’applicabilità delle norme in tema di deducibilità, non rileva di per sé la natura della spesa sostenuta (ordinaria o straordinaria), ma il criterio adottato nella redazione del bilancio nonché il rispetto dei limiti previsti dall’art. 102, comma 6, tuir.
5.3 Orbene, la CTR, omettendo ogni valutazione sulla correttezza del criterio adottato dalla società e sul rispetto dei limiti quantitativi previsti dall’art. 102, comma 6, tuir, riconducendo la vicenda nell’alveo dell’art. 108, comma 3 tuir, non ha fatto corretta applicazione della normativa riferibile al caso di specie.
6. In conclusione, in accoglimento del quarto motivo, rigettati gli altri, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione per l’ulteriore esame.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del quarto motivo, inammissibili il primo e il terzo, infondato il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per spese, alla CTR del Piemonte in diversa composizione.
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