CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 luglio 2020, n. 15543
Tributi – Accertamento – Compravendite immobiliari – Rideterminazione del prezzo di vendita – Utilizzo delle risposte fornite dai terzi acquirenti ai questionari di verifica – Legittimità. – Sanzioni – Applicazione del cumulo giuridico – Condizioni
Rilevato che
1. La Guardia di Finanza ha effettuato una verifica fiscale nei confronti della A. s.r.l., relativa agli anni d’imposta da 2004 al 2008, in materia di Ires, Irap ed Iva, relativamente alla vendita, da parte di quest’ultima a terzi acquirenti, di 10 unità immobiliari ristrutturate, site in Pistoia.
Sulla base di alcune delle risposte sul prezzo d’acquisto fornite dai terzi acquirenti ai questionari loro sottoposti in occasione della stessa verifica, oltre che in ragione delle stime del valore degli immobili compravenduti effettuate dalla locale ripartizione dell’Agenzia del territorio, la verifica si è conclusa con la notifica alla A. s.r.l. di un processo verbale di constatazione,con il quale sono stati contestati alla contribuente l’incasso di maggiori corrispettivi per gli anni d’imposta 2004 e 2005 e la mancata fatturazione di acconti, sul corrispettivo di compravendita degli immobili, per gli anni d’imposta 2002 e 2003.
2. L’Agenzia delle entrate, sulla base del predetto processo verbale, ha notificato alla A. s.r.l. quattro distinti avvisi d’accertamento, due dei quali in materia d’Iva, relativi rispettivamente agli anni d’imposta 2002 e 2003 ed al rilievo concernete gli acconti; e gli altri due in materia di Ires, Irap ed Iva, relativi rispettivamente agli anni d’imposta 2004 e 2005.
3. La contribuente ha proposto autonomo ricorso avverso ciascuno di tali accertamenti dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Pistoia, che, dopo averli riuniti, per quanto qui ancora interessa, ha accolto quelli contro i due avvisi in materia di Ires, Irap ed Iva, relativi rispettivamente agli anni d’imposta 2004 e 2005.
4. L’Ufficio ha impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Toscana che, con la sentenza n. 11/16/2012, depositata in data 10 febbraio 2012, dopo aver dato atto della cessata materia del contendere in ordine all’impugnazione degli avvisi d’accertamento di cui agli anni d’imposta 2002 e 2003, ha accolto l’appello erariale avverso il capo della sentenza della CTP avente ad oggetto gli avvisi di cui agli anni d’imposta 2004 e 2005, «con riferimento alla determinazione dei valori delle compravendite, con le sanzioni conseguenti in applicazione del cumulo giuridico come specificato in motivazione» (così la sentenza impugnata, nel dispositivo).
5. Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per revocazione ai sensi degli artt. 64 ss. d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 395, comma 1, num. 4, cod. proc. civ., dinnanzi la Commissione tributaria regionale della Toscana che, con sentenza n. 449/35/2014, depositata il 3 marzo 2014, lo ha rigettato.
6. La contribuente ha quindi proposto ricorso (che ha assunto il r.g.n. 24976/2014), affidato a due motivi, per la cassazione della predetta sentenza in materia di revocazione.
7. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
8. La ricorrente ha prodotto memoria.
9. La stessa contribuente, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 11/16/2012, depositata in data 10 febbraio 2012, che ha accolto l’appello erariale, ha proposto, oltre al predetto ricorso per revocazione, anche ricorso (che ha assunto il r.g.n. 8968/2013), affidato a due motivi, per la cassazione.
10. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
11. La ricorrente ha prodotto memoria.
12. I ricorsi per la cassazione delle due sentenze, per la loro connessione oggettiva e soggettiva, sono stati riuniti all’adunanza in camera di consiglio del 28 febbraio 2020, alla quale entrambi erano chiamati per la trattazione.
Considerato che
1. I ricorsi per cassazione contro la decisione di appello (la sentenza n. 11/16/2012, depositata in data 10 febbraio 2012) e contro quella (la sentenza n. 449/35/2014, depositata il 3 marzo 2014) che ha deciso l’impugnazione per revocazione avverso la prima, contemporaneamente pendenti in sede di legittimità, vanno riuniti, nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’ art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione, che deve, pertanto, essere esaminato con precedenza «(Cass. 05/08/2016, n. 16435).
2. Con il primo motivo del ricorso avente r.g.n. 24976/2014, la contribuente censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., la sentenza n. 449/35/2014, resa dalla CTR toscana nel giudizio di revocazione, per l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nel ricorso per la revocazione della sentenza d’appello, proposto ai sensi dell’art. 395, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la contribuente aveva sostenuto che, pur risultando dagli atti e dai documenti del giudizio di secondo grado il fatto, incontestato, che sei degli acquirenti degli immobili avevano dichiarato alla Guardia di Finanza di aver pagato all’alienante A. s.r.l. gli stessi corrispettivi dichiarati nei rispettivi atti di compravendita, la CTR toscana ha invece erroneamente supposto, come risulterebbe dalla motivazione della sentenza che ha accolto l’appello erariale, che essi non avessero reso alcuna dichiarazione ai verbalizzanti, ovvero che gli unici terzi che avevano reso dichiarazioni fossero i quattro acquirenti che hanno invece riconosciuto di aver pagato alla contribuente un corrispettivo maggiore di quello dichiarato nei rispettivi atti di compravendita.
Tanto premesso, a fronte di tale doglianza, la CTR adita come giudice della revocazione avrebbe respinto il ricorso della contribuente senza motivare con riferimento al caso concreto sub iudice, ma limitandosi ad affermare principi generali di diritto in materia di revocazione.
Invero, il motivo è inammissibile, atteso che esso si sostanzia piuttosto nella denuncia di una pretesa motivazione meramente apparente, estranea al vizio di cui all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., nella versione applicabile ratione temporis in ragione della data della sentenza, e rilevante eventualmente, quale vizio processuale, ai sensi del num. 4 della stessa disposizione.
Comunque, il motivo è pure infondato, posto che la motivazione della sentenza impugnata, per quanto in modo particolarmente sintetico, connette le affermazioni in diritto alla fattispecie processuale sub iudice (ampiamente descritta nella parte introduttiva della motivazione, relativa ai fatti di causa ed all ‘iter processuale), laddove, subito dopo aver precisato che «in sostanza» l’errore che consente la revocazione deve consistere in una «mera svista di carattere materiale e la realtà desumibile dalla sentenza deve essere frutto di errata supposizione e non di valutazione o di giudizio», con il periodo immediatamente successivo esclude, implicitamente ma inequivocabilmente, che tali r-
caratteristiche ricorrano nel caso concreto, concludendo che «pertanto» il ricorso non può essere accolto.
Sussiste, quindi, una motivazione della decisione impugnata, che non si esaurisce in una mera espressione grafica.
3. Con il secondo motivo del ricorso avente r.g.n. 24976/2014, la contribuente censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la sentenza n. 449/35/2014, resa dalla CTR toscana nel giudizio di revocazione, per la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 64 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 395, primo comma, num. 4, cod. proc. civ..
Non appaiono invero univoci la rubrica ed il contenuto del motivo, che comunque non può essere accolto.
Infatti, se la denuncia del vizio processuale deve intendersi come censura della mancanza della motivazione della sentenza impugnata, valga quanto si è già argomentato e deciso nel paragrafo che precede, in ordine all’infondatezza di tale tesi.
Se invece, come effettivamente sembra ricavarsi dalla lettura del corpo del motivo, l’intento della ricorrente è quello di censurare la valutazione, in fatto, del giudice a quo circa la sussistenza e le caratteristiche dell’assunto errore che dovrebbe rinvenirsi nella sentenza che si vorrebbe revocare, allora il motivo è inammissibile, perché estraneo al mezzo (l’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) utilizzato per denunciarlo, e perché, in ogni caso, la mera rivalutazione in fatto della controversia non è ammissibile in questa sede di legittimità.
4. Pertanto, il ricorso avente r.g.n. 24976/2014, proposto dalla contribuente avverso la sentenza n. 449/35/2014, resa dalla CTR toscana all’esito del giudizio di revocazione, va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese di questo giudizio.
5. Venendo ora al ricorso della contribuente avente r.g.n. 8968/2013, che ha per oggetto la sentenza della CTR toscana n. 11/16/2012, depositata in data 10 febbraio 2012, che ha accolto l’appello erariale, con il primo motivo la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la nullità del predetto provvedimento per la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., assumendo che il giudice a quo avrebbe omesso ogni pronuncia in ordine alla sua eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Amministrazione, in quanto sottoscritto da «soggetto delegato in assenza di delega in atti».
6. Con il secondo motivo del ricorso avente r.g.n. 8968/2013, la contribuente censura la sentenza della CTR toscana n. 11/16/2012, che ha accolto l’appello erariale, denunciando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la nullità del predetto provvedimento per la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ.
Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo avrebbe omesso ogni pronuncia in ordine alla sua eccezione di inammissibilità dell’appello dell’Amministrazione, «che introduce motivi a difesa non dedotti dallo stesso ufficio nel giudizio di primo grado».
6.1. Il primo ed il secondo motivo del ricorso avente r.g.n. 8968/2013 possono essere decisi congiuntamente e sono entrambi infondati, atteso che il rigetto, da parte della CTR, delle eccezioni, di natura processuale e potenzialmente impeditive dell’accesso ad ogni ulteriore decisione sull’impugnazione erariale o su alcuni dei suoi motivi, è necessariamente implicito nella decisione resa dal giudice a quo anche nel merito della controversia, rispetto a tutti i motivi d’impugnazione (in questo senso, con specifico riferimento all’eccezione di inammissibilità del gravame, cfr. Cass. 30/06/2016, n. 13425).
7. Con il terzo motivo del ricorso avente r.g.n. 8968/2013, la contribuente censura la sentenza della CTR toscana n. 11/16/2012, che ha accolto l’appello erariale, denunciando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; dell’art. 56, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; e dell’art. 7, comma 1, legge 27 luglio 2000, n. 212.
Assume infatti la ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato nel non ritenere la nullità degli avvisi d’accertamento controversi per la carenza delle loro motivazioni, riferite per relationem all’allegato processo verbale di constatazione, privo tuttavia degli allegati in esso menzionati, e quindi dei verbali relativi alle dichiarazioni rese dai quattro acquirenti che avevano ammesso di aver pagato alla contribuente corrispettivi maggiori di quelli dichiarati negli atti di compravendita.
Inoltre, gli stessi accertamenti non menzionavano la memoria endoprocedimentale prodotta dalla contribuente nel contraddittorio preventivo.
Infine, la copia del processo verbale notificata alla contribuente, pur comprendendo gli allegati costituiti dai verbali relativi alle dichiarazioni rese dai predetti quattro acquirenti, non includeva invece la documentazione che questi ultimi avevano consegnato ai verbalizzanti in occasione della loro audizione.
Il motivo è infondato.
Infatti, si deve innanzitutto rilevare che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, anche recentemente ribadito (Cass., 13/02/2019, n. 4176, in motivazione), è consentito adempiere l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., 25/03/2011, n. 6914), o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass., 25/07/2012, n. 13110).
Nel caso di specie, la stessa ricorrente ammette che le era stato notificato il processo verbale in questione, con allegati anche i verbali delle dichiarazioni dei quattro acquirenti che hanno ammesso di aver corrisposto alla contribuente alienante un pagamento maggiore di quello formalmente dichiarato.
Pertanto, per effetto di tale precedente notifica alla ricorrente del processo verbale, e di tali suoi allegati, e della conseguente conoscenza legale che ne ha maturato la stessa parte privata, non sussiste alcun difetto di motivazione degli avvisi di accertamento che a tali atti si riferiscano per relationem (cfr., ex plurimis, la citata Cass., 25/07/2012, n. 13110 e Cass. 19/11/2019, n. 29968; più in generale, con riferimento specifico alla legittima motivazione dell’accertamento per relationem al verbale della Guardia di Finanza, Cass. 20/12/2018, n. 32957 del 20/12/2018).
Quanto poi alla documentazione che i predetti quattro acquirenti hanno consegnato ai verbalizzanti in occasione dell’acquisizione delle loro dichiarazioni, la ricorrente ne lamenta la mancata allegazione non solo agli avvisi d’accertamento controversi, ma anche al processo verbale che le è stato notificato.
Tuttavia, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, « In tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi dell’art. 3, comma 3, della I. n. 241 del 1990, sicché detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva» (Cass. 05/10/2018, n. 24417).
Ed è stato altresì precisato che «In tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’ “an” ed il “quantum debeatur”, sicché lo stesso è correttamente motivato quando fa riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, senza che l’Amministrazione sia tenuta ad includervi notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti o a riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto» (Cass. 30/10/2019, n. 27800).
Sempre a proposito del rapporto tra motivazione dell’accertamento ed atti in essa menzionati, è stato, altresì, chiarito che «in tema di motivazione degli avvisi di accertamento (nella specie, per INVIM), l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, legge 27 luglio 2000, n. 212) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione» (così Cass. 18/12/2009, n. 26683; conf. Cass. 29/10/2010, n. 22118; Cass. 16/05/2012, n. 7654).
Nel caso di specie, con riferimento alla documentazione consegnata dai ridetti quattro acquirenti ai verbalizzanti, il motivo di ricorso, innanzitutto, non si duole specificamente della mancata conoscenza di singoli documenti, ciò che sarebbe stato invece indispensabile, al fine di apprezzare l’ipotizzata carenza di conoscenza di atti menzionati nella motivazione per relationem degli accertamenti, atteso che diversi documenti che risultano (dalla riproduzione, nel ricorso, dei verbali delle relative audizioni) consegnati dai terzi erano già necessariamente conosciuti dalla contribuente (come nel caso dei contratti di compravendita di cui essa era parte o delle fatture da essa emesse).
A tale carente allegazione si aggiunge poi, per conseguenza, anche la mancata puntuale indicazione del ruolo essenziale, al fine di sostenere ciascun singolo atto impositivo impugnato e di rendere nota alla contribuente ciascuna pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, che dovrebbe riconoscersi ai singoli documenti consegnati ai verificatori dai quattro acquirenti in questione, laddove sono piuttosto le dichiarazioni di questi ultimi che sostanzialmente assolvono la relativa funzione motiva degli atti impositivi.
Altrettanto generico, poi, è il riferimento, nello stesso motivo, all’omessa menzione, nella motivazione degli accertamenti, della memoria della contribuente nella fase precedente all’emissione di questi ultimi, senza evidenziare puntualmente in che modo, e con riferimento a quali aspetti, tale pretesa carenza avrebbe minato la funzione della stessa motivazione di rendere nota alla contribuente ciascuna pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali.
8. Con il quarto motivo del ricorso avente r.g.n. 8968/2013, la contribuente censura la sentenza della CTR toscana n. 11/16/2012, che ha accolto l’appello erariale, denunciando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia.
Il vizio motivazionale si sostanzia, secondo la ricorrente, nella circostanza che il giudice a quo non avrebbe considerato che anche altri sei terzi acquirenti, oltre ai quattro che hanno ammesso di aver pagato alla contribuente corrispettivi maggiori di quelli dichiarati negli atti di acquisto, hanno reso dichiarazioni ai verificatori, con le quali hanno invece confermato di aver corrisposto all’alienante A. s.r.l. gli stessi importi formalmente dichiarati.
Il motivo è infondato.
Invero (come peraltro già in sede di revocazione), la ricorrente vorrebbe accreditare l’interpretazione della motivazione della sentenza impugnata nel senso che il giudice d’appello ha escluso in radice che sei dei terzi acquirenti abbiano reso dichiarazioni che essa contribuente ritiene a sé favorevoli, in quanto negano di aver corrisposto pagamenti maggiori di quelli dichiarati ai fini fiscali.
Tuttavia, una lettura complessiva della decisione di secondo grado evidenzia piuttosto che la CTR, a prescindere dalla sintesi nell’esposizione, ha, nella motivazione, evidenziato che solo quattro dei predetti terzi avevano fornito dichiarazioni indizianti in ordine al maggior corrispettivo effettivamente pagato, apprezzandone l’attendibilità in considerazione della circostanza che ciascuno di loro ha dichiarato, anche contra se, di aver concorso nell’illecito tributario, esponendosi a sua volta al rischio di un accertamento personale. Contemporaneamente, la stessa CTR (cfr., in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata) ha dato atto che invece gli altri acquirenti, definiti «più prudenti», non hanno reso analoghe dichiarazioni indizianti dell’illecito tributario (in questo senso va letta I’ espressione «in assenza delle loro dichiarazioni»), con la conseguenza che l’Ufficio ha fatto ricorso ad ulteriori e diversi elementi istruttori di supporto alla sua pretesa, relativi alla determinazione del valore degli immobili, effettuata dall’Agenzia del territorio. Pertanto, l’accertamento della “sottofatturazione” delle vendite è stata motivata dalla CTR da un lato con le dichiarazioni rese dai quattro acquirenti con riferimento ai loro acquisti; dall’altro, rispetto agli altri acquisti, con riferimento alle predette stime del valore; e, comunque, sottolineando come il maggior valore risultante da queste ultime fosse anche coerente con quello risultante dalle dichiarazioni dei quattro acquirenti “meno prudenti”. Tanto premesso, non si comprende allora dove e perché tale argomentazione si riveli contraddittoria od insufficiente, ed il motivo in decisione tradisce, piuttosto, l’intenzione della ricorrente di sovvertire la coordinata valutazione della CTR di attendibilità delle quattro dichiarazioni “confessorie” e di supporto istruttorio ulteriore della pretesa tributaria, sostituendola con un nuovo apprezzamento in fatto di incondizionata prevalenza delle sei dichiarazioni favorevoli alla contribuente, ciò che non è consentito in questa sede di legittimità.
9. Con il quinto motivo del ricorso avente r.g.n. 8968/2013, la contribuente censura la sentenza della CTR toscana n. 11/16/2012, che ha accolto l’appello erariale, denunciando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, secondo comma, e 41 – bis d.P.R. n. 600 del 1973; e 54, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972.
Secondo la ricorrente, il vizio si sostanzia nella circostanza che, secondo il giudice a quo, le pretese tributarie di cui agli accertamenti controversi sarebbero fondate unicamente sulle perizie dell’Agenzia del territorio, senza concordanza dei dati da queste ultime risultanti con alcun ulteriore elemento istruttorio.
Il motivo è inammissibile, atteso che non coglie la ratio decidendi espressa, sul punto, dalla sentenza impugnata e già riassunta nel paragrafo che precede, in sede di decisione del quarto motivo, dove si è evidenziato come la CTR abbia non solo separatamente valutato, ciascuna per il relativo ambito oggettivo di pertinenza, le quattro dichiarazioni indiziami e le stime del valore degli immobili, ma anche coordinato tra loro tali risultanze, evidenziandone la reciproca coerenza, rispetto all’intero ambito dell’accertamento.
Anche in questo caso, invero, dal motivo traspare piuttosto l’inammissibile tentativo di rivisitazione del giudizio di fatto operato dal giudice d’appello, con l’intento di far prevalere piuttosto, in maniera incondizionata, le dichiarazioni dei terzi che siano favorevoli alla contribuente.
10. Con il sesto motivo del ricorso avente r.g.n. 8968/2013, la contribuente censura la sentenza della CTR toscana n. 11/16/2012, che ha accolto l’appello erariale, denunciando, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 12 e 17 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per avere applicato d’ufficio, e senza preventivamente verificare se esso si risolvesse in un reale beneficio per la contribuente, il cumulo giuridico tra le sanzioni comminate dai diversi avvisi d’accertamento tuttora controversi, sebbene lo stesso art. 12, settimo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997 preveda che «Nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni».
Il motivo è fondato, atteso che, come risulta chiaro dalla norma appena richiamata, non vi è luogo all’applicazione del cumulo giuridico quando, come secondo la ricorrente sarebbe accaduto nel caso di specie, esso si risolva nel determinare una sanzione superiore a quella derivante dal mero cumulo tra quelle previste per le singole violazioni.
Non risultando che la CTR abbia effettuato tale valutazione in fatto, il motivo va accolto e la sentenza va cassata nel relativo capo, con rinvio al giudice a quo, anche per ogni eventuale applicazione dello ius superveniens in materia di sanzioni tributarie. 4.
11. Pertanto, il ricorso avente r.g.n. 8968/2013, proposto dalla contribuente avverso la sentenza d’appello della CTR toscana n. 11/16/2012, va accolto limitatamente al sesto motivo, con contestuale rigetto dei restanti, e la sentenza impugnata va cassata nei limiti del motivo accolto, con rinvio al giudice a quo.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso n. 24976/14 e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del relativo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; accoglie, nei termini di cui in motivazione, il sesto motivo del ricorso n. 8969/13, rigetta gli altri, cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del relativo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso riunito avente r.g.n. 24976/2014, a norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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