COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Toscana Giulio sez. 13 sentenza n. 993 depositata il 13 aprile 2017
FATTO
Il Sig. ………… si opponeva avverso gli avvisi di intimazione ex art. 50 D.P.R. 602/73: -n…………….., di € 250.259,21, relativo alla cartella di pagamento n………. notificatagli in qualità di socio della ………… S.n.c. dei F.lli ……….. e C. s.n.c. per il mancato pagamento dell’IVA e dell’IRAP con riferimento agli anni 1998/1999 di cui agli avvisi di accertamento n. ………. e n. …………….; -n………….., per € 156.359,66 relativo alla cartella di pagamento n……….. notificatagli il 21.4.2005 per il mancato pagamento dell’IVA e dell’IRAP con riferimento all’anno 2000 di cui all’avviso di accertamento n. …………..
Con ricorso depositato il 13/11/2013 parte contribuente Sig. …………. ricorreva contro le due intimazioni di pagamento a suo carico in qualità di socio della società ………. S.n.c. eccependo che gli atti della Agenzia delle Entrate non erano definitivi e pertanto l’iscrizione a ruolo era frutto di un errore, pendendo in Cassazione i due diversi procedimenti, chiedendo al contempo la sospensiva.
Si costituiva in giudizio il 10/01/2014 il concessionario rappresentando che l’Agenzia delle Entrate aveva con atto 18/12/2013 comunicato di avere disposto lo sgravio in quanto effettivamente non vi erano le condizioni per l’iscrizione a ruolo non essendo definitivi gli avvisi di accertamento e che doveva essere dichiarata l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, senza che alcun addebito di responsabilità potesse essere messo a carico del concessionario avendo agito su legittimo input dell’ente tributario.
In subordine chiedeva integrarsi il contraddittorio chiamando in causa l’Agenzia delle Entrate. Evidenziava intatti che l’avviso di accertamento era stato impugnato innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze la quale aveva accolto il ricorso con sentenza n. 168/01/05, sentenza che era stata successivamente impugnata dall’Agenzia delle Entrate innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Firenze che respingeva l’appello con sentenza n. 20/01/09.
Avverso detta pronuncia era stata proposta impugnazione dall’Agenzia delle Entrate che promuoveva ricorso per Cassazione, giudizio allo stato ancora pendente. Parte contribuente, concludeva, previa sospensione degli atti impugnati, affinché le intimazioni di pagamento opposte fossero dichiarate illegittime o comunque inefficaci con condanna dell’ Agente della riscossione alle refusione delle spese del giudizio nonché al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..
Con la pronuncia oggi appellata, la C.T.P. di Firenze ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in ragione dello sgravio intervenuto nelle more del procedimento ed ha compensato le spese, nulla provvedendo in ordine alla richiesta di indennizzo ex art. 96 c.p.c. formulata dalla parte privata.
Il Sig. ………… impugna oggi la sentenza, dolendosi del fatto che Equitalia non è stata in alcun modo ritenuta “colpevole” di aver emesso cartelle e gli avvisi di intimazione, stante il ruolo formato e iscritto dall’ente impositore, per cui nessuna responsabilità ex art. 96 C.p.c. è ad essa stata ascritta e che semmai tali condotte potevano imputarsi all’ente impositore tuttavia non evocato in giudizio dall’opponente, sostiene inoltre che non aveva nessuna possibilità di chiamare in giudizio l’Agenzia delle Entrate, compito al quale era invece tenuto l’agente della riscossione.
Pertanto il Sig. ………. insiste nel richiedere la condanna alle spese di Equitalia per il primo giudizio nonché ad un indennizzo ex art. 96 C.p.c. da determinarsi equitativamente, nonché alle spese del secondo grado.
Si costituisce in giudizio Equitalia Centro S.p.A per sostenere l’assoluta correttezza della sentenza impugnata in quanto oggetto del contenzioso promosso dall’opponente, per quanto inerisse agli avvisi di intimazione e le cartelle di pagamento ad essi sottese, era in realtà fondato su aspetti che riguardavano strettamente il merito della pretesa tributaria e della sua fondatezza e questo consentirebbe di affermare che l’appellante aveva titolo per procedere nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Questa Commissione osserva che le deduzioni dell’Agente della Riscossione appaiono infondate in quanto emerge con evidenza che non è in alcun modo in dubbio il fatto che la presente vicenda giudiziaria sia palesemente da addebitare alle responsabilità dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Firenze, ma insufficienti risultino le difese dell’Agente della Riscossione, tendenti a sostenere che la parte privata avrebbe avuto gli strumenti e quindi avrebbe dovuto proporre il proprio ricorso avverso l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Firenze, non potendo essa rispondere di una “colpa” ascrivibile ad altri in conseguenza di atti indotti dai quali non poteva sottrarsi.
Questa Commissione ritiene che dopo il primo grado di giudizio l’Agente della Riscossione era perfettamente in grado di coinvolgere nella controversia l’Agenzia delle Entrate, per conto della quale continuava illegittimamente a sostenere la pretesa tributaria nei confronti di un soggetto che chiaramente non era più tenuto ad adempiere in presenza di uno sgravio avvenuto nell’anno 2013 e di cui l’Agente della Riscossione era sicuramente a conoscenza.
Qui vale giustappunto, rammentare quanto disposto dall’art.39 del D.lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (decreto che disciplina il riordino del Servizio nazionale della riscossione ed i rapporti tra agente della riscossione ed ente creditore), che dispone: “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.
Non occorre qui disquisire sulla differenziazione delle diverse modalità di chiamata in causa, di cui all’art. 39 del D.lgs. n. 112/1999, che si distingue nettamente dalle fattispecie processual-civilistiche disciplinate dall’art. 106 c.p.c. sarà sufficiente ricordare che la chiamata in causa prevista dall’art. 39 del D.lgs. n. 112/1999 non ha natura processuale, bensì sostanziale.
Conferma quanto sopra esposto la stessa collocazione topografica della norma, inserita nel provvedimento normativo che disciplina proprio il rapporto (squisitamente di natura sostanziale) tra agente delia riscossione ed ente creditore, in relazione all’affidamento al primo del servizio di riscossione delle entrate tributarie, nonché la circostanza per cui l’omessa chiamata in causa dell’ente creditore determina conseguenze solo sul piano meramente sostanziale (obbligo di risarcimento del danno), mentre non incide minimamente sul rapporto processuale già instaurato tra contribuente ed agente della riscossione, come confermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con la pronuncia del 25.07.2007 n. 16412, i principi enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione, qui avente funzione nomo filattica, sono stati fatti propri dalla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 51/E del 17.07.2008.
Dalla natura meramente sostanziale della litis denuntiatio consegue che la chiamata in causa dell’ente creditore, ex art. 39 del D.lgs. n. 112/1999, può avvenire con qualunque modalità (raccomandata a.r; notifica tramite ufficiale giudiziario, ecc.), liberamente scelta dall’agente della riscossione, idoneo a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite.
L’agente della riscossione non abbisogna di alcuna autorizzazione da parte del giudice per chiamare in causa l’ente creditore, perché l’art. 269, terzo comma, c.p.c. impone solo all’attore, che intenda chiamare un terzo, l’onere di chiederne preventiva autorizzazione al giudice, mentre l’agente della riscossione, nel processo tributario, assume la posizione processuale di resistente, assimilabile a quella del convenuto nel giudizio ordinario di cognizione. Attendere, dunque, l’udienza di trattazione del merito del ricorso per chiedere e ottenere l’autorizzazione a chiamare in causa l’ente creditore appare, oltre che sommamente inutile, gravemente lesivo della posizione del contribuente e dei principi che sorreggono l’intero sistema processuale. La chiamata in causa dell’ente creditore successivamente alla udienza di trattazione, non consentendo a quest’ultimo di esercitare alcuna attività difensiva è, pertanto, priva di utilità alcuna, e non vale, di certo, ad esonerare l’agente della riscossione dall’obbligo del risarcimento del danno previsto dall’art. 39 del D.lgs. n. 112/1999. Tanto premesso si evidenzia come a fronte della contestazione del ricorrente (la sottoscrizione del ruolo da parte dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate) scatta l’onere della prova del fatto contestato.
Nei casi di censura su vizi della pretesa, il “vero” resistente è l’Agenzia ma, dall’altro canto, le norme consentono al contribuente di evocare in giudizio il solo concessionario, onerando questi (e non il ricorrente o il giudice) di evocare in giudizio l’Agenzia, esponendosi a responsabilità in caso di omissione. Ne consegue che, se il concessionario chiama in giudizio l’Agenzia, essa potrà adempiere il proprio onere della prova e nessuna conseguenza si produce per il concessionario, viceversa se questi, invece sceglie di non effettuare la chiamata, come è possibile senza alcuna conseguenza sulla validità del processo stante l’art. 39 D.lgs. 112/1999, il giudice non dovrà difatti supplire con un ordine proprio a una negligenza della parte che avrebbe dovuto provvedervi e, quindi, giustamente, non dispone una chiamata che il concessionario poteva tranquillamente fare da sé perdendo la lite per negligenza propria. Per tali ragioni i ruoli dovranno essere considerati tamquam non esset, tale inesistenza dei ruoli si ridonda sulla infondatezza delle cartelle che ne rappresentano il suo contenitore.
Ciò precisato e sottolineato, dobbiamo necessariamente concludere che nella presente vicenda giudiziaria, emerge la indiscussa responsabilità dell’Agenzia delle Entrate, ma debba rispondere l’Agente della Riscossione “colpevole” di non essersi tempestivamente attivato nel coinvolgere l’unico responsabile.
Appare legittima e corretta la richiesta del risarcimento alle spese del contribuente che questa Commissione dovrà riconoscere limitatamente al presente grado di giudizio rientrante propria competenza.
La Commissione accoglie l’appello limitatamente alla richiesta delle spese relative al presente grado di giudizio che determina in euro 2.500,00 (Duemilacinquecento/00) oltre accessori di legge e C. U. T..
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