COMMISSIONE TRIBUTARIA Regionale di Milano – Sentenza n. 3533 sez. 20 del 30 luglio 2015
ACCERTAMENTO – DIRIGENTI NOMINATI SENZA CONCORSO – ILLEGITTIMITA’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società contribuente presentava ricorso avverso l’avviso di accertamento n. (…), notificato in data 19 luglio 2013, mediante il quale si rettificava la imposizione della società consolidante, ai fini IRES, per l’anno d’imposta 2008. Veniva computata una maggiore imposta IRES per Euro 2.129.586,00. In applicazione dell’art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997 veniva applicata la sanzione amministrativa pecuniaria unica di Euro 4.253.850,00. L’accertamento traeva origine da una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Mantova a carico della società del gruppo U.F. S.p.A., relativamente ai rapporti commerciali intercorsi con le sue controllate U.F.S.C. Ltd (nel prosieguo U.F.S.) e S.S.C. Ltd (nel prosieguo S.S.).
L’accertamento era finalizzato all’accertamento del transfer pricing relativo alle operazioni di acquisto infragruppo di filtri per auto motive, effettuati dalla società italiana dalle altre due controllate. L’accertamento veniva motivato per relationem mediante rinvio al PVC redatto a carico della U.F. S.p.A. Quest’ultima aveva optato, per l’esercizio 2008, per il regime della tassazione di gruppo, ai sensi dell’art. 117 del TUIR. Pertanto, il reddito prodotto aveva determinato il computo di un’unica base imponibile in capo alla G. S.p.A.
Venivano ripresi a tassazione i maggiori costi ritenuti non sostenuti dalla consolidata. Ai sensi del TUIR gli accertatori avevano confrontato i valori d’acquisto con i valori di mercato in condizioni di libera concorrenza. Nel verbale richiamato veniva fatto rilevare come i metodi di controllo del transfer pricing fossero riconducibili essenzialmente nel confronto del prezzo, nel prezzo di rivendita e nel costo maggiorato. Quest’ultimo era stato individuato come applicabile alla situazione di specie, circostanza contestata dalla società appellante. Venivano rilevati i motivi che avevano indotto a ritenere inaffidabile il metodo utilizzato dagli accertatori.
A giudizio della società ricorrente, il metodo utilizzato avrebbe necessitato di una comparabilità del prodotto, delle condizioni e del mercato di riferimento.
La insussistenza di tali circostanza era già stata evidenziata in sede di memorie conseguenziali alla notifica del PVC. La G. S.p.A. versava in atti una perizia, redatta dall’Ing. A.M., atta a verificare la disomogeneità tra le aziende indicate per il raffronto dei dati di bilancio dalla G. di F. e quella oggetto di accertamento. La perizia rilevava che l’acquisto dei prodotti presso la controllata estera era risultato economicamente vantaggioso, rispetto alla produzione degli stessi in Italia. In termini di diritto, la società ricorrente rilevava come l’art. 110 del TUIR indicasse le modalità del computo del valore normale di un bene e che, mentre incombeva sul contribuente la dimostrazione dell’inerenza dei costi, ricadeva sull’Amministrazione: finanziaria l’onere della dimostrazione dell’elusione. Solo in una seconda fase al contribuente veniva attribuito l’onere di superare e confutare le valutazioni espresse dagli accertatori.
A giudizio della società G. S.p.A., gli accertatori non avevano seguito le indicazioni della dottrina prevalente, conformi a quelle emanate dall’OCSE, in materia di prezzo di trasferimento, così come indicato anche dalla giurisprudenza constante dei giudici di legittimità. Il deficit probatorio che ne era scaturito aveva reso l’atto impugnato sprovvisto dei requisiti minimi di sussistenza dei fatti contestati.
Veniva rilevata la violazione dell’art. 10 dello Statuto del Contribuente, laddove, a fronte di un comportamento sempre corretto della società contribuente, non si riteneva legittima l’irrogazione delle sanzioni. Veniva chiesta la sospensione dell’atto impugnato, attesa la perdita d’esercizio dichiarata negli ultimi anni e ritenuto fondato il ricorso per quanto in precedenza articolato e l’annullamento dell’atto impugnato.
L’Ufficio si costituiva in giudizio, rilevando come, al fine di verificare la correttezza dei prezzi applicati per i trasferimenti infragruppo, si fosse fatto riferimento correttamente al metodo del costo maggiorato. Veniva ribadito il percorso seguito ai fini accertativi. L’Ufficio faceva rilevare come la società ricorrente rappresentasse la holding del gruppo e, controllando U.F. S.p.A., a sua volta, controllava U.F.S. e S.S.. U.F. S.p.A. effettuava prestazioni di servizi e distacco di personale presso le controllate. L’elevata marginalità delle società cinesi aveva indotto a ritenere sussistente una politica dei prezzi infragruppo, atta a veicolare i profitti verso le aziende residenti in Paesi a tassazione previlegiata. Veniva chiesto il rigetto del ricorso, con condanna della controparte al pagamento delle spese.
La società contribuente presentava memorie illustrative, riprendendo le valutazioni già offerte in merito alla non comparabilità delle attività economiche utilizzate dall’Amministrazione finanziaria per verificare la ricorrente. Si ribadivano le richieste di cui al ricorso introduttivo.
La CTP di Milano, Sez. 2, pronunciava la sentenza in oggetto, di accoglimento del ricorso, atteso l’accoglimento del ricorso promosso dalla società controllata sulla medesima materia impositiva.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza appena richiamata e riproponeva le valutazioni che erano state già prodotte nella parte motiva dell’avviso di accertamento in oggetto.
L’Ufficio censurava la decisione dei giudici di prime cure per i seguenti motivi:
1) illegittimità nella parte in cui riteneva che l’Amministrazione finanziaria avesse provveduto alla comparazione di elementi non omogenei;
2) illegittimità della sentenza nella parte in cui riteneva anomalo il codice attività “NACE 2932”. Veniva censurata la valutazione della CTP di Milano che, facendo proprie le motivazioni espresse dalla CTP in merito al ricorso promosso, per gli stessi fatti, dalla U.F. S.p.A., aveva ritenuto che il codice attività non fosse aderente alla realtà commerciale indagata;
3) Illegittimità della decisione nella parte in cui riteneva che le presunzioni sul fatturato delle società cinesi, avanzate dall’Ufficio, risultassero non provate;
4) illegittimità della sentenza nella parte in cui ritiene assorbite le eccepite violazioni sollevate in relazione allo Statuto del Contribuente, agli art. 5, 6 e 17 del D.Lgs. n. 472 del 1997 ed art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Veniva altresì evidenziato come i giudici di legittimità avessero ricondotto la non applicabilità delle sanzioni al caso dell’oggettiva incertezza derivante da una caratteristica intrinseca ed obiettiva del dato normativo. Il contribuente non era riuscito a fornire un quadro della effettiva incertezza sull’applicazione della norma in esame, pertanto, appariva npn accoglibile la richiesta di controparte.
Veniva chiesta la riforma della sentenza di primo grado e, per l’effetto, la conferma dell’atto impugnato, con condanna della parte soccombente al pagamento delle spese di lite, riferite ai due gradi di giudizio.
La società contribuente si costituiva in giudizio censurando le valutazioni di controparte, secondo le quali l’applicazione del metodo del cost plus, prescindendo dalla identità dei beni e basandosi sulla comparabilità delle funzioni, avrebbe determinato un computo che prescinderebbe dalla natura e comparabilità del prodotto. Veniva riproposto quanto già articolato nel ricorso introduttivo.
Veniva chiesto il rigetto dell’atto di appello, la conferma della sentenza impugnata ed in subordine l’annullamento delle sanzioni, con vittoria di spese, diritti ed onorari.
La società resistente depositava un parere pro veritate, predisposto dal Prof. S., docente di diritto tributario presso l’Università di Trieste, concorde nel confutare le valutazioni dell’Amministrazione finanziaria che aveva erroneamente computato il valore normale delle cessioni infragruppo.
Veniva presentata un’ulteriore memoria difensiva atta a far rilevare che l’atto originariamente impugnato era stato sottoscritto dal Dott. M.L. su delega del Direttore Regionale Edoardo Ursilli. Entrambi i dirigenti erano stati nominati senza che avessero superato l’apposito concorso. Per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 37/15, gli atti da essi sottoscritto dovevano essere considerati affetti da nullità assoluta. Sul merito si era già espressa la CTR Lombardia, con concorde sentenza nr. 2842/1/15 del 22 giugno 2015, che veniva versata in atti. Si chiedeva alla CTR adita di dichiarare la nullità dell’atto impositivo, con conferma delle precedenti richieste nel merito del contenzioso in essere.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Commissione sentite le parti, esaminati i documenti agli atti e riunitasi in camera di consiglio, osserva quanto segue:
In via preliminare Questa Commissione approfondisce il motivo di impugnazione prodotto in giudizio, in via incidentale, in secondo grado, dalla società resistente nel merito della nullità assoluta dell’atto per vizio di sottoscrizione.
Con la sentenza n. 37/2015 (pubblicata in G.U. del 25.3.2015) la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme:
A) art. 8, comma 24 D.L. n. 16 del 2012 (conv. in L. n. 44 del 2012);
B) art. 1, comma 14, D.L. n. 150 del 2013 (conv. in L. n. 15 del 2014);
C) art. 1, comma 8, D.L. n. 192 del 2014, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della (///) Carta (///) Costituzionale.
In particolare, a parte le norme sub B) e C), contenenti solo proroghe di incarichi dirigenziali conferiti, la principale censura di costituzionalità ha investito il comma 24 dell’art. 8 sub A) che, nell’autorizzare l’attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari delle Agenzie Fiscali, faceva salvi gli incarichi già affidati a funzionari privi della qualifica dirigenziale, trattandosi di sanatoria di posizione illegittima poiché il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di una Amministrazione pubblica deve avvenire previo espletamento di un pubblico concorso, concorso necessario anche in caso di nuovo inquadramento di dipendente già in servizio. L’intervento di tale decisione determina la necessità di valutare ex post la validità degli atti impositivi sottoscritti da soggetti di fatto decaduti. L’atto impositivo, avente natura amministrativa, deve essere sottoscritto da un soggetto detentore delle attribuzioni necessarie alla sottoscrizione, assunte anche mediante delega.
L’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 sancisce: “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”. A norma dell’art. 21 septies della L. n. 241 del 1990 gli atti sottoscritti dai soggetti soprarichiamati sarebbero attinti da difetto assoluto di attribuzione, da cui deriva l’inesistenza giuridica dell’atto impositivo. Nel caso oggetto di decisione appare pacifica la decadenza del soggetto delegato.
La società resistente ha dimostrato in atti che il Dott. M.L. non ha assunto l’incarico superiore mediante il superamento di un concorso e, pertanto, deve ritenersi non legittimato alla sottoscrizione dell’atto impositivo originario. Tanto valutato, si ritiene assorbente il motivo di nullità dell’atto impositivo per difetto di attribuzione. Questa Commissione respinge l’appello promosso dall’Agenzia delle Entrate e, in ragione della particolarità del thema decidendum, dispone la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Commissione respinge l’appello. Spese compensate.
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