Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, sezione 9, sentenza n. 4239 depositata l’ 11 luglio 2019
FINANZA LOCALE – IMU – ICI – Accertamento – Immobile concesso in godimento gratuito ai figli – Regolamento comunale – Previa comunicazione al Comune – Condizione non prevista dalla legge – Sussistenza dati anagrafici non contestati – Fatti noti all’amministrazione comunale – Agevolazione – Compete.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto spedito a mezzo del servizio postale il 17.11.2017, notificato il 23.11.2017, C. S. ha proposto appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 9631/4/2017, depositata il 18.4.2017, che ha rigettato il ricorso presentato dalla medesima contribuente, condannandola alle spese, avverso gli avvisi di accertamento nn. 141044341/2/3 emessi da Roma Capitale per omesso versamento dell’ ici per gli anni dal 2009, 2010 e 2011, in relazione all’immobile ad uso abitativo ubicato in Roma, viale xxx.
La CTP ha respinto l’eccezione di decadenza dalla potestà di accertamento, sollevata dalla ricorrente relativamente all’anno d’imposta 2009, reputando che la prescrizione fosse stata interrotta dalla consegna dell’atto all’ufficio postale (avvenuta il 29.12.2014), rigettando altresì il ricorso nel merito, sul duplice presupposto che, per godere dei benefici fiscali riservati all’abitazione principale, nel caso di immobile concesso in godimento gratuito al figlio, il soggetto passivo d’imposta avrebbe dovuto darne comunicazione al Comune (in realtà mai effettuata), e che comunque dal certificato anagrafico e dalle utenze versate in atti si evinceva che il figlio della ricorrente dimorava abitualmente altrove (e precisamente in viale XXX).
La contribuente ha chiesto la riforma della sentenza impugnata, con annullamento degli avvisi di accertamento contestati e vittoria delle spese di entrambi i gradi del giudizio, riproponendo le medesime questioni sollevate con il ricorso introduttivo.
Ha, in particolare, sostenuto di aver documentato che l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2009 era stato inviato a mezzo r.a.r. consegnata a Poste Italiane l’ 8.1.2016; mentre, quanto alla sussistenza dei presupposti per l’esenzione dall’imposta, il primo Giudice non aveva compreso che l’immobile di Viale XXX è lo stesso di quello sito nel Piano di Zona Viale XXX, negando altresì che fosse dovuta alcuna comunicazione al Comune, sia perché non prevista per legge, sia perché l’ente aveva già acquisito la notizia dell’utilizzo dell’immobile come abitazione principale del figlio della proprietaria con l’aggiornamento dei registri anagrafici.
Ha pertanto chiesto l’accoglimento dell’appello, con vittoria di spese del doppio grado del giudizio.
Si è costituita Roma Capitale, eccependo preliminarmente inammissibilità dell’appello, per carenza del requisito della specificità dei motivi, trattandosi della mera reiterazione delle questioni sollevate nel primo grado.
Nel merito, ha ribadito l’infondatezza delle deduzioni avverse, sul presupposto che la presentazione dell’apposita comunicazione, nella specie mai inoltrata dalla contribuente, costituisce condizione essenziale per godere del beneficio in esame.
Ha pertanto chiesto il rigetto dell’appello, con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite.
All’esito della pubblica udienza dell’11.7.2019, questa Commissione ha deliberato come di seguito illustrato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è fondato e deve essere accolto.
E’ pacifico, perché riconosciuto dall’amministrazione convenuta, che Roma Capitale, recependo la previsione di cui all’art. 1, comma 2 del D.L. n. 93/08, conv. L. n. 126/08, ha introdotto l’esenzione dall’ICI per le unità immobiliari assimilate alle abitazioni principali, comprendendo nella categoria le abitazioni concesse in uso gratuito a parenti e affini fino al secondo grado (art. 11 Regolamento ICI), sia pure subordinatamente alla presentazione di “una comunicazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 comma 3 del D.Lgs. n. 504/92 e dell’art. 14 comma 4 del Regolamento ICI, attestante la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, utilizzando gli appositi moduli predisposti dal Comune”, in assenza della quale, oltre alla debenza dell’imposta, è applicabile anche la sanzione di cui all’art. 14 co. 3 del D. Lgs. n. 504/1992.
Le predette disposizioni devono, però, essere raccordate con il generale principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1), di cui è espressione anche la regola secondo la quale al contribuente non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all’ente impositore (L. n. 212 del 2000, art 6, comma 4).
La norma da ultimo richiamata dispone, in particolare, che non possano essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, con la conseguenza che il Comune non può imporre ai contribuenti un obbligo di comunicazione relativo al possesso dei requisiti per la fruizione dell’agevolazione ICI che siano già noti all’Ufficio.
In tal senso si è recente espressa anche la giurisprudenza di legittimità, riconoscendo che “tenuto conto del princìpio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente – sancito dall’art. 10, comma 1, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), di cui costituisce espressione la previsione dell’art. 6, comma 4, della stessa legge – a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al comune“ (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12304 del 17/05/2017, che, in relazione ad una fattispecie, analoga a quella di cui si tratta, di immobile adibito a negozio o bottega direttamente dal soggetto passivo dell’imposta per il quale il comune, con apposito regolamento, abbia stabilito il diritto a fruire di aliquota ICI agevolata ove il contribuente presenti una dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi per il godimento dell’agevolazione, ha affermato che essa spetta comunque al contribuente ancorché questi non abbia presentato la suddetta dichiarazione quando l’ente territoriale è già autonomamente a conoscenza del presupposto fattuale per l’applicazione, cfr. nello stesso senso, con riferimento al trattamento agevolato a fini ICI di immobile inagibile o inabitabile, Cass. n. 18455/2016).
Nel caso in esame, risulta dal certificato anagrafico depositato in atti (datato 19.1.2015) che F. E. E., figlio dell’odierna appellante, è residente in viale XXX dal 22.9.1992 (dunque ben prima dei fatti in contestazione). Sono state altresì prodotte due bollette telefoniche intestate al F. risalenti al 2005 e 2006.
Dalla copia dell’atto di vendita datato 16.2.2001, prodotto solo in allegato all’appello, si evince poi l’identità tra l’unità immobiliare situata all’indirizzo predetto e quella di viale XXX.
Il Comune non ha contestato che, nel periodo cui si riferisce la pretesa impositiva, l’immobile in oggetto sia stato abitato dal figlio della proprietaria, il quale, avendo lì la propria residenza anagrafica, in assenza di prova contraria, deve presumersi avesse in quel luogo la propria abitazione principale.
Risulta, inoltre, dal certificato storico di residenza in atti, che tale circostanza era nota all’Ufficio fin dal 1992.
Deve pertanto riconoscersi il diritto della contribuente al trattamento agevolato ai sensi della normativa citata, senza che possa imporsi ad essa alcun altro onere probatorio.
Considerato, tuttavia, che l’identità dell’immobile contraddistinto in atti da diversi indirizzi non era evincibile dalle produzioni del primo grado del giudizio, per un fatto ascrivibile alla contribuente, pur accogliendosi l’appello, si reputano sussistere eccezionali motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite.
La Commissione accoglie l’appello e compensa le spese per entrambi i gradi del giudizio.
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