Commissione Tributaria Regionale per il Molise sez. 1 sentenza n. 41 depositata il 7 febbraio 2018
ROCESSO TRIBUTARIO – SANZIONI – NON DISAPPLICABILI IN ASSENZA DI SPECIFICA RICHIESTA
FATTO
Con rituale e tempestivo ricorso datato 26/l 0/2012 il Sig. (omissis) impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di (omissis) la cartella di pagamento n. (omissis), emessa da Equitalia Sud s.p.a. e notificata il 28/08/2012, recante l’iscrizione a ruolo della complessiva somma di euro 69.015,13 per carente versamento Irpef, Iva ed Irap relativamente alla dichiarazione dei redditi Mod. Unico 2007, oltre sanzioni ed interessi, nonché ogni altro atto connesso e conseguente ivi compreso l’avviso di accertamento n. (omissis). Il ricorrente deduceva in via preliminare la decadenza dell’Amministrazione Finanziaria dal potere di recupero della somma richiesta mediante la cartella impugnata in quanto notificata oltre il termine perentorio previsto dalla legge.
Proseguiva deducendo l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo per violazione e falsa applicazione del DPR 600/73 e DPR 602/73, poiché la debenza imposta fondava le proprie ragioni sulla ricostruzione induttiva del proprio reddito d’impresa.
Concludeva lamentando l’illegittimità della cartella di pagamento in quanto carente dei presupposti di legge legittimanti l’obbligazione tributaria. Si costituiva in giudizio Equitalia Sud spa deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva per aver il ricorrente sollevato contestazioni riguardo esclusivamente l’infondatezza e l’illegittimità della pretesa creditoria e non vizi propri della cartella.
Concludeva deducendo la correttezza del proprio operato.
Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate di (omissis), deducendo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso poiché proposto avverso la cartella esattoriale preceduta da un avviso di accertamento regolarmente notificato e non impugnato, nonché l’infondatezza dell’eccezione di decadenza dell’amministrazione dal diritto al recupero d’imposta.
A tal riguardo riferiva di aver notificato l’avviso in data 2/09/2011, divenuto definitivo il 14/11/2011, e che la notifica della cartella era avvenuta in data 28/12/2012, nel pieno rispetto dei termini previsti dalla legge.
La Commissione Tributaria Provinciale di (omissis), con la sentenza n. (omissis) del (omissis) depositata in Segreteria il (omissis) accoglieva parzialmente il ricorso e, per l’effetto, annullava le sanzioni iscritte a ruolo. Compensava integralmente le spese di giustizia.
Avverso la predetta statuizione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate di (omissis) deducendone l’erroneità e la non condivisibilità sotto molteplici profili. Si costituiva in giudizio il contribuente appellato chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
DIRITTO
Con un unico motivo di gravame parte appellante deduce un evidente error in judicado da parte del primo Giudice, consistente nell’annullamento delle sanzioni irrogate con un accertamento divenuto ormai definitivo, nonché un vizio di ultrapezione in relazione alla disapplicazione delle sanzioni irrogate, giustificata dalla crisi economica ed incertezza della base imponibile determinata presuntivamente, in mancanza di una specifica richiesta di parte.
L’Agenzia delle Entrate affronta in maniera condivisibile, a giudizio del Collegio, la problematica dell’annullamento, da parte del primo Giudice, delle sanzioni irrogate mediante un atto di accertamento divenuto definitivo, tra l’altro in assenza di una rituale domanda di parte, richiamando anche costante giurisprudenza sul tema; pertanto il motivo di doglianza proposto dall’appellante merita accoglimento.
La fondatezza del motivo di gravame innanzi evidenziato merita alcune osservazioni.
A norma dell’art. 8 del D.Lgs. 546/92 la Commissione Tributaria può dichiarare non applicabili le sanzioni tributarie, diverse da quelle penali, allorquando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata ed ambito di applicazione delle disposizioni a cui la sanzione si riferisce.
L’art. 6 del D.Lgs. 472/97, rubricato “cause di non punibilità”, consente, in presenza di taluni presupposti, la non punibilità con conseguente possibile richiesta di annullamento delle sanzioni irrogate a seguito di talune violazioni, quali, solo per richiamarne alcune, “(..)
Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.
Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore. 5-bis.
Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.
Tuttavia, come insegna costante Giurisprudenza, affinché si possa procedere all’annullamento delle sanzioni irrogate è necessario che il contribuente deduca “tempestivamente la relativa questione nel giudizio, la quale non può essere proposta per la prima volta in appello in quanto soggetta all’ordinario principio della domanda e non rilevabile d’ufficio” (Cass. civ. Sez. V, 28-01-2015, n. 1570; id Cass. civ. Sez. V, 02-10-2013, n. 22524); ed impone che le ragioni che inducano all’annullamento siano provate.
Orbene, dalla lettura degli atti si evince che, nel ricorso proposto in primo grado dall’odierno appellato, non è stata mossa alcuna specifica censura in merito alle sanzioni applicate mediante accertamento o una domanda tesa alla richiesta di annullamento delle sanzioni in presenza di cause di esclusione della punibilità.
Ciò rilevato, posto che il Giudice tributario non può rilevare d’ufficio l’esistenza di una esimente in mancanza di una domanda del contribuente, la sentenza risulta essere emessa in violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver il primo Giudice disposto l’inapplicabilità delle sanzioni in assenza di specifica domanda di parte. Inoltre, al fine di ritenere la pronuncia in esame erronea si aggiunge la circostanza che l’atto di accertamento n. (omissis), regolarmente emesso e notificato dall’Ufficio accertatore, è da ritenersi definitivo e dunque insindacabile a seguito dell’omessa impugnazione dello stesso nei termini di legge.
Per quel che riguarda le ulteriori problematiche affrontate nella sentenza oggetto d’impugnazione e su cui il contribuente risulta soccombente (decadenza dell’amministrazione finanziaria dal diritto di recupero dell’imposta e dal difetto di motivazione del provvedimento impugnato), rileva il Collegio che le stesse non possono formare oggetto di cognizione in questo grado di giudizio. Infatti quelle questioni, ed i relativi motivi di censura proposti dal (omissis) in primo grado, sono stati oggetto di specifico esame da parte del primo Giudice nella sentenza impugnata. Ebbene, quei motivi avrebbero dovuto essere tempestivamente riproposti dal contribuente, ricorrente in primo grado, e vittorioso solo relativamente alla questione delle sanzioni, ma appellato in questo grado di giudizio.
Trattandosi di questioni specificatamente vagliate dal primo Giudice, e sulle quali lo stesso contribuente è risultato soccombente, le stesse avrebbero dovuto essere riproposte tempestivamente mediante appello incidentale. Ma ciò non è accaduto, consolidandosi in tal modo la loro reiezione. In definitiva l’appello dell’Ufficio deve essere accolto, con la conseguente riforma della sentenza impugnata.
Quanto alle spese, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale del (omissis), definitivamente pronunciando, accoglie l’appello dell’Ufficio, riforma la sentenza impugnata e condanna il contribuente alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio che quantifica in complessivi euro 1.000,00, oltre accessori di legge.
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