CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 20027 depositata il 13 luglio 2023
Tributi – Atto di definizione dell’accertamento – Dazi doganali – Misura tariffaria non agevolata – Controllo autenticità certificati di origine – Art. 220 comma 2 C.D.C. – Regime di esenzione o riduzione daziaria – Presupposto di regolarità formale e sostanziale della documentazione – Buona fede del debitore – Rigetto
Rilevato che
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria veniva respinto l’appello proposto dall’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Genova n. 1255/1/2017 ed avente ad oggetto il ricorso contro l’atto di definizione dell’accertamento n. (…) e i due relativi atti di contestazione nn. (…) e (…) notificati alla società G.A.L.A. F. DI C.G. E FIGLI S.R.L., importatrice in Italia di partite di aglio.
2. La controversia riguardava dazi doganali recuperati ad imposizione nella misura tariffaria non agevolata, in relazione a partite di merci dichiarate con origine preferenziale. Il controllo presso il paese di esportazione, l’Egitto, circa l’autenticità dei certificati di origine non veniva portato a termine dalle sue autorità doganali, procedure regolate dall’accordo E. recepito in sede UE con la Decisione n. 2004/635/CE, e da ciò derivava la decadenza della società dai benefici dell’origine preferenziale.
3. Tanto il giudice di prime cure quanto quello d’appello ritenevano che il mancato rispetto delle procedure regolate dall’accordo suddetto non fosse imputabile alla contribuente, la quale aveva tenuto comportamenti analoghi con riferimento ad altre partite della medesima merce importate in Italia ottenendo l’agevolazione tariffaria derivante dall’origine preferenziale, senza contestazioni.
4. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso l’Agenzia affidato a quattro motivi, mentre la contribuente non ha svolto difese.
Considerato che
5. Con il primo motivo del ricorso – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. -, viene dedotta la violazione ed erronea applicazione dell’art. 32 Protocollo n. 4 dell’Accordo E., recepito in ambito unionale con Decisione n. 2004/635/CE e dell’art. 201 Reg. CEE n. 2913/1992 (C.D.C. – Codice Doganale Comunitario) nel testo vigente ratione temporis in quanto la CTR avrebbe mancato di rilevare che i controlli sui certificati dl origine preferenziale richiesti dalle autorità italiane ai sensi dell’accordo suddetto non necessitano l’invio degli originali dei certificati, bastando le copie, e, se essi non si concludono in 10 mesi, l’origine preferenziale dichiarata dall’importatore decade obbligando il contribuente a corrispondere il dazio ordinario, a nulla rilevando che in altre importazioni si fosse seguita la diversa facoltativa prassi dl invio dell’originale.
5.1. Con il secondo motivo l’Agenzia ricorrente – in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. -, prospetta la violazione ed errata applicazione dell’art. 32 Protocollo n. 4 dell’Accordo E. summenzionato, letto in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. non avendo la CTR constatato che la mera certificazione dl origine preferenziale non fa prova se segue un controllo concluso per inattività delle autorità doganali del paese dl esportazione con la decadenza dal regime agevolativo e, conseguentemente, che è sull’importatore che incombe la prova dell’origine preferenziale.
5.2. Il terzo motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., censura la violazione ed errata applicazione dell’art. 220 C.D.C. nel testo vigente ratione temporis, in quanto il giudice d’appello non si è avveduto che la norma suddetta consente l’abbuono del dazio in caso dl errore attivo delle dogane, ma è norma sussidiaria rispetto all’accordo E., il quale fa decadere dal regime preferenziale in presenza di un certificato ad hoc non verificato nei termini dl legge.
5.3. Con il quarto motivo la ricorrente ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., prospetta la violazione ed errata applicazione degli artt. 132 c.p.c. e del d.lgs. n. 546 del 1992, 36 comma 2 n. 4, per apparente motivazione della sentenza impugnata e conseguente sua nullità, dal momento che non rende note le ragioni-del rigetto dei motivi dl appello.
6. Su di un piano logico dev’essere esaminata prima la quarta censura che, se accolta, determinerebbe la nullità della sentenza. La doglianza nondimeno non può trovare ingresso. Si deve ribadire che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01) e che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Nel caso di specie da un lato non sono neppure allegati dalla ricorrente i motivi su cui la ratio decidendi si sarebbe espressa in termini apparenti e, dall’altro, questa è stata ben colta con gli ulteriori tre motivi e si incentra sull’accertata assenza di negligenza e, quindi, di responsabilità in capo alla contribuente per la mancata collaborazione tra le autorità doganali dell’Egitto e dell’Italia, linea di ragionamento che rispetta il minimo costituzionale.
7. I tre restanti motivi primo, secondo e terzo, possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi e sono infondati.
7.1. I primi due commi dell’Articolo 32 del Protocollo 4 di cui all’Accordo E. che istituisce un’associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica araba d’Egitto dall’altra, Documento 22004A0930(03) rubricato “Controllo delle prove dell’origine”, dispongono:
“1. Il controllo a posteriori delle prove dell’origine è effettuato per sondaggio o ogniqualvolta le autorità doganali dello Stato di importazione abbiano validi motivi di dubitare dell’autenticità dei documenti, del carattere originario dei prodotti in questione o dell’osservanza degli altri requisiti del presente protocollo.
2. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del paragrafo 1, le autorità doganali del paese d’importazione rispediscono alle autorità doganali del paese di esportazione il certificato di circolazione EUR.1 e la fattura, se è stata presentata, la dichiarazione su fattura, ovvero una copia di questi documenti, indicando, se del caso, i motivi che giustificano un’inchiesta. A corredo della richiesta di controllo, devono essere inviati tutti i documenti e le informazioni ottenute che facciano sospettare la presenza di inesattezze nelle informazioni relative alla prova dell’origine.”.
8. Orbene, nel caso di specie è pacifico il fatto, riportato anche in ricorso, che l’Ufficio doganale di (…) inviava i certificati di origine preferenziale EUR 1 prodotti dalla G.A.L.A. F. di C.G. e Figli S.R.L. in allegato alle dichiarazioni di immissione in libera pratica delle merci per un controllo, ma le competenti Autorità egiziane non hanno evaso la richiesta di cooperazione amministrativa, negando il rilascio della necessaria documentazione in quanto la Dogana di (…) aveva trasmesso solo le copie e negato la trasmissione degli originali dei certificati di origine preferenziale EUR 1 in questione.
8.1. La Corte osserva che il disposto normativo dell’accordo sopra riportato consente la trasmissione del certificato in originale o una sua copia, ma è altrettanto pacifico che in casi analoghi di importazione della medesima merce da parte del medesimo importatore presso le medesime autorità doganali, erano stati trasmessi dall’Ufficio doganale di (…) gli originali dei certificati e non le copie, e allora le autorità doganali egiziane avevano rilasciato tutta la documentazione necessaria per l’individuazione dell’origine preferenziale delle merci e conseguente applicazione di tariffa agevolata. Non è inoltre stata neppure allegata l’impossibilità o particolare difficoltà di trasmissione degli originali dei certificati nel caso di specie, a fronte di una prassi idonea a ingenerare un legittimo affidamento del contribuente.
9. Inoltre, l’art. 220 comma 2 C.D.C., per la parte che qui interessa, dispone: “La buona fede del debitore può essere invocata qualora questi possa dimostrare che, per la durata delle operazioni commerciali in questione, ha agito con diligenza per assicurarsi che sono state rispettate tutte le condizioni per il trattamento preferenziale.”.
9.1. E’ stato statuito che in tema di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce, intendendosi per “origine” il luogo dove la merce è stata realizzata e per “provenienza” il luogo dal quale essa giunge o dove è stata oggetto di lavorazione o trasformazione (a tal fine non essendo sufficienti le operazioni di spolveratura, lavaggio, verniciatura, selezione, riduzione a pezzi, ecc.); pertanto, considerato che un certificato di origine “ignota” va considerato come “inesatto”, le Autorità doganali, qualora constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi doganali, salve le deroghe nei seguenti casi tipizzati che devono concorrere cumulativamente: riscossione dovuta ad errore delle autorità competenti (sia di quella alla quale spetta procedere al recupero sia di quella di rilascio del certificato preferenziale di esportazione); errore tale da non poter essere ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e diligenza, provocato da un comportamento “attivo” delle autorità che rilasciarono il certificato, non rientrandovi l’errore indotto da dichiarazioni inesatte rese dall’esportatore, salvo che le autorità di quel paese fossero informate o dovessero sapere dell’inoperatività dell’esenzione; osservanza di tutte le disposizioni previste dalla normativa vigente per la dichiarazione in dogana (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 31466 del 03/12/2019, Rv. 656026 – 01).
9.2. Infatti, in tema di tributi doganali, le Autorità doganali devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi per errori attivi dell’Amministrazione nel rilascio dei certificati di origine delle merci, a meno che non ricorra l’esimente della buona fede dell’importatore per la cui sussistenza è necessaria, oltre all’osservanza di tutte le prescrizioni in vigore, anche la non riconoscibilità di tali errori da parte dell’importatore secondo standard obiettivi di diligenza. Non costituisce errore attivo, rilevante ai fini di detta esimente, il mero silenzio delle Autorità competenti sulle dichiarazioni rese dall’importatore circa l’origine preferenziale della merce, non essendo l’Amministrazione tenuta a verificarne la veridicità e non potendo il rischio della inesattezza di dette dichiarazioni ricadere sull’Unione Europea la quale non è tenuta a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti scorretti dei fornitori degli importatori. In applicazione di tale principio, la Corte ha confermato la sentenza impugnata secondo la quale il rilascio di un certificato di origine inesatto non costituisce errore scriminante laddove le inesattezze siano conseguenti a una inesatta situazione riferita dall’esportatore. (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17501 del 28/06/2019, Rv. 654510 – 01).
9.3. Quanto poi all’esimente, è pacifico che in tema di dazi doganali, la buona fede dell’importatore, quand’anche sussistente in astratto, non ha valore esimente in “re ipsa” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 4639 del 21/02/2020): l’onere della prova circa la dimostrazione dell’errore attivo grava sul contribuente, il quale si assume la responsabilità, spettando a lui dare prova anche della sua buona fede (Cfr. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 22647 del 11/09/2019, fattispecie).
Inoltre, è un dato acquisito che, in tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220, paragrafo 2, lett. b), del regolamento CEE n. 2913 del 1992 a fini dell’esenzione della contabilizzazione “a posteriori”, non ha valenza “in re ipsa”, ma solo in quanto sia riconducibile a situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile al comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto dalle dichiarazioni inesatte dello stesso operatore (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 33314 del 17/12/2019).
9.4. Infine, va rammentato che la Sezione ha già fatto applicazione nei confronti della P.A. dei principi di autoresponsabilità e di lealtà – quest’ultimo ricavabile, in materia tributaria, dalla l. n. 212 del 2000, art. 10 e, quanto al contribuente, di affidamento desumibile, in materia doganale, secondo la costante giurisprudenza comunitaria, dagli artt. 5, n. 2, reg. CEE n. 1697/79 e 220, par. 2, lett. b), CDC – con la conseguenza che l’Amministrazione non può agire per il recupero dei diritti non riscossi nei confronti del debitore in buona fede ed osservante della regolamentazione vigente per la sua dichiarazione in dogana (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12766 del 26/06/2020).
10. Il Collegio ritiene che il preciso accertamento fattuale della CTR sia sostanzialmente conforme alla giurisprudenza sopra riportata, nella parte in cui afferma che “la società aveva presentato tutta la documentazione necessaria per effettuare le importazioni, compresi i certificati di origine della merce, non emerge dagli atti e dagli scritti difensivi alcuna omissione, negligenza o errore professionale imputabile alla stessa” (cfr. penultima pag. sentenza impugnata). Il fatto decisivo, sempre accertato dalla sentenza, è la “mancata collaborazione tra le autorità doganali dei due Paesi” (ibidem), per la mancata trasmissione degli originali dei certificati, di cui non può essere chiamato a rispondere il contribuente “a prescindere dagli eventuali errori commessi da una di esse” (ibidem).
11. Conseguentemente, trova applicazione l’Articolo 220 comma 2 lett. b) C.D.C., dovendosi rinvenire nel caso di specie l’accertamento motivatamente supportato dal giudice del merito della “buona fede del debitore”. Deve perciò essere affermato il seguente principio di diritto: “In tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede, rilevante ai fini dell’art. 220, paragrafo 2, lett. b), del regolamento CEE n. 2913 del 1992 per l’esenzione della contabilizzazione “a posteriori” sussiste allorquando l’importatore abbia presentato tutta la documentazione necessaria per effettuare le importazioni, compresi i certificati di origine della merce, non potendo essere a lui imputata la mancata prova dell’origine preferenziale della merce per il solo fatto che l’autorità doganale nazionale non abbia trasmesso gli originali dei certificati di origine EUR 1 onde procedere alla richiesta verifica di autenticità, ma solo le copie, ritenute insufficienti dall’autorità doganale egiziana, a prescindere dall’eventuale errore da questa commesso alla luce dell’Articolo 32, Protocollo 4, Accordo E. che istituisce un’associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica araba d’Egitto.”.
12. Il ricorso va conseguentemente rigettato e non vi è regolamento delle spese di lite secondo soccombenza, in assenza di costituzione della contribuente.
Si dà atto che, ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.