Commissione Tributaria Regionale per la Liguria sez. 5 sentenza n. 204 depositata il 17 gennaio 2018
PROCESSO TRIBUTARIO – CONTRIBUENTE ADEMPIE ALL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA AFFIDANDOSI A FUNZIONARIO DISONESTO – NON E’ SANZIONABILE
IN FATTO E IN DIRITTO
B.C., ricorreva avverso l’avviso, emesso dall’Agenzia delle Entrate Ufficio Prov.le di Spezia, con il quale venivano liquidate le imposte ipotecaria, catastale e bollo, dovute su beni immobili indicati nella denuncia di successione, in morte di A.M.; con il medesimo atto erano irrogate sanzioni per omesso versamento nella misura del 30%.
La parte, dopo aver ripercorso la complessa vicenda, ancora al vaglio del giudice penale, che vedeva coinvolta la dipendente dell’Ufficio finanziario, tale D.ssa D. C., la quale aveva ricevuto e liquidato la detta dichiarazione, assumeva l’illegittimità dell’avviso in quanto lesivo dei principi di buona fede e di legittimo affidamento, dettati dall’art. 10 della legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente), del principio che sancisce il divieto di doppia imposizione, nonché del principio costituzionale di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.
Faceva presente di aver puntualmente assolto ai propri obblighi contributivi, avendo gli eredi provveduto al versamento di euro 3.622,08, anche se non confluiti nelle casse erariali per fatto esclusivamente addebitabile al dipendente, i cui comportamenti erano immediatamente imputabili all’ente e con diretta responsabilità dell’ente medesimo, per aver disatteso agli obblighi di vigilanza della correttezza dell’operato dei propri funzionari.
Concludeva, pertanto, chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato con vittoria di spese, anche ex art. 96 c.p.c..
L’Ufficio, ritualmente costituendosi, pur rilevando la condotta illecita da parte del dipendente, che aveva abusato dell’affidamento del contribuente riscuotendo personalmente le somme dovute a titolo di imposta e dal medesimo trattenute, evidenziava come tale illecito comportamento non fosse imputabile all’Amministrazione ma al dipendente medesimo, che aveva agito nel suo esclusivo interesse.
Insisteva, pertanto, per la conferma del proprio operato.
Integratosi il contraddittorio, all’udienza del 29 settembre 2014, con sentenza n. 500/01/2014, la Commissione adita, in parziale accoglimento del ricorso, nel confermare la debenza delle imposte, atteso che l’Amministrazione non poteva rispondere di fatti illeciti posti in essere dai propri dipendenti, dichiarava, tuttavia, non dovute le sanzioni in virtù del principio, ex art. 10, c. 2 della legge n. 212/2000, che una sanzione è applicabile esclusivamente nei confronti della persona che ha realmente commesso la violazione.
Avverso tale decisione, propone appello l’Agenzia delle Entrate – Direz. Prov.le della Spezia ? ritenendo errata l’interpretazione offerta dai Primi Giudici, dovendo al caso in questione applicarsi la statuizione dell’art. 1189 c.c. a norma del quale il pagamento effettuato al creditore apparente, ovvero al pagamento effettuato alla persona che appare autorizzata a riceverlo per conto del creditore, libera il debitore solo se questi prova di aver confidato, senza colpa, nella situazione apparente; vengono, a tal fine, richiamate le sentenze della Corte di Cassazione n. 17484/2007 e n. 20906/2005.
Esclude, ancora, la parte pubblica la operatività dell’esimente di cui all’art. 10 dello statuto del contribuente, versandosi in ipotesi di reato con relativa interruzione del rapporto di immedesimazione organica, così come quella dell’art. 6, c. 3 del D.lgs. n. 472/97, invocata dalla contribuente, perché la violazione non risulta addebitabile esclusivamente al pur censurabile comportamento della dipendente.
Significa, da ultimo, l’Agenzia che sulla medesima fattispecie si è pronunciata la Sezione 1° di questa Commissione Regionale, la quale con sentenza n. 648/2014 ha accolto l’appello dell’Ufficio ritenendo dovuto da parte del contribuente il versamento dell’obbligazione tributaria e delle sanzioni, in presenza di un comportamento imprudente, quindi colpevole e concorrente con quello del dipendente, che non esclude tuttavia l’azione di risarcimento del danno subito.
Conclude, pertanto, la parte pubblica per la riforma della sentenza gravata.
Parimenti, la contribuente deposita memoria di costituzione con appello incidentale, per la parziale riforma della decisione di primo grado.
Eccepisce, preliminarmente, l’interessata l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, non essendo stato contestato il nucleo della motivazione che ha condotto i primi giudici all’annullamento parziale dell’avviso in contestazione, visto che la motivazione riportata dall’Ufficio non attenga in alcun modo a quella contenuta nella sentenza.
Incidentalmente, l’appellante assume la contraddittorietà della decisione in quanto i Giudici, prima, hanno rigettato i motivi di impugnazione proposti in primo grado e, poi, dichiarato non dovute le somme pretese a titolo di sanzioni adducendo che dalla semplice interpretazione letterale dell’art. 10, e 2 della L. n. 212/2000 appaiano pacifici gli effetti della tutela, posta da tale disposizione, consistenti nella esclusione della debenza della sanzioni e degli interessi, perché la buona fede esclude per ragioni logiche, prima ancora che normative, la possibilità di essere assoggettati a sanzioni.
Sottolinea, ancora, la parte, per ribadire la totale insussistenza della pretesa erariale, il comportamento gravemente colposo tenuto, nello specifico, dall’amministrazione che ha omesso ogni forma di controllo organico sul suo dipendente, nonostante questi si fosse già reso in passato colpevole di truffe nei confronti di altri contribuenti.
Da ultimo, insta per l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 6, c. 3 del richiamato decreto e per la condanna, ex art. 96 c.p.c., dell’Agenzia alla rifusione delle spese di giudizio.
Entrambe le parti depositano memorie, a conferma di quanto già assunto.
All’odierna udienza, sentiti i rispettivi procuratori, la causa viene ritenuta in decisione.
Ritiene il Collegio fondato l’appello incidentale presentato da B.C., per cui la sentenza oggetto di gravame, per i motivi di seguito esposti, deve essere riformata e, quindi, rigettato l’appello dell’Agenzia.
Il principio di tutela del legittimo affidamento, reso esplicito in materia tributaria dallo Statuto del contribuente (art. 10 legge n. 212/2000), trovando origine nella Costituzione (articoli 3, 23, 53 e 97), è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni.
A differenza di altre disposizioni dello Statuto, innovative, quella sul legittimo affidamento è espressiva di principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario, anche prima della legge n. 212/2000.
L’art. 10, c. l della legge afferma che” i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”.
Ebbene, nel caso di specie, sia il comportamento del dipendente che quello della stessa Agenzia hanno di fatto comportato una palese violazione del principio sopra enunciato, tenuto conto che la D.ssa C. era dipendente dell’Ufficio a cui la Sig.ra B. si è rivolta, si è interessata della redazione e ricezione della dichiarazione di successione, consegnando il modello F 23 di pagamento delle imposte, ed ha alterato la documentazione di successione, depositandone una falsa.
Orbene, per giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. n. 20986/07) affinché ricorra la responsabilità della P.A., per fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente, deve sussistere oltre al nesso di causalità fra il comportamento e l’evento dannoso, anche la riferibilità all’amministrazione del comportamento stesso che presuppone che l’attività posta in essere dal dipendente si manifesti come esplicitazione dell’attività pubblica.
Conformemente i Primi Giudici hanno sottolineato, nella sentenza qui appellata, come l’affidamento implichi una ragionevole valutazione delle circostanze che generano lo stato soggettivo (buona fede oggettiva) e che a giustificare l’affidamento del contribuente possono essere solo condotte ragionevolmente idonee a generare una erronea convinzione, caratterizzata da negligenza dell’Amministrazione.
Orbene, nella presente fattispecie, la stessa dipendente, già in precedenza, si era resa responsabile di altri fatti che avrebbero quantomeno dovuto indurre l’Agenzia ad esercitare un maggior controllo sull’operato della medesima, financo ad assegnarle compiti diversi da quelli che comportavano contatti con il pubblico.
E’ evidente che l’interessata, estranea ai fatti amministrativi, sia stata incolpevolmente indotta a ritenere che quanto dalla dipendente eseguito nell’esercizio delle proprie funzioni, ed all’interno dell’ufficio di appartenenza, fosse corretto e che il pagamento corrisposto fosse esaustivo di ogni pretesa erariale, considerato peraltro che le era stato rilasciato il modello di pagamento F. 23.
D’altra parte, non bisogna dimenticare che, in virtù del rapporto organico e del principio dell’appartenenza, gli atti compiuti dal pubblico dipendente nello svolgimento delle sue funzioni risultano immediatamente imputabili all’Ente.
Pertanto, giusta la statuizione dell’art. 10, c. 1 della più volte citata legge ed in via assorbente ogni altra questione ed eccezione, l’appello del contribuente va accolto e rigettato quello dell’Ufficio.
In punto di spese, la particolarità della questione trattata, giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie l’appello del contribuente rigettando quello dell’Ufficio. Spese compensate.
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